NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 7 dicembre 2012

Il Partito Nazionale Monarchico - XI parte



AL PARTITO NAZIONALE MONARCHICO
LA FIEREZZA DI UNA IDEALE IMPOSTAZIONE DEMOCRATICA

Eppure la profonda malinconia di questo excursus nella ritenuta Costituzione della Repubblica – della quale ostentano di essere i difensori coloro che certamente ignorano gli articoli 40 (sia pure estremamente generico), 41 esplicito nella linea, distruggibile nel generico che lo segue, 42 ut supra (e le esperienze in atto consacrano la realtà che si tratta di "parole" in libertà) - consente al Partito Nazionale Monarchico la fierezza di una ideale impostazione, esaltatrice del metodo democratico sino alla attuazione del referendum del Popolo italiano a suffragio universale diretto e segreto sul tutto della Costituzione.

Come scrivevo all'inizio di queste pagine la impostazione del P.N.M. - come consacrata dal II Congresso - non si riferisce alla tesi del referendum sull'art. 139, il quale recita: «La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale». Non si rinuncia certo a denunciare l'assurdo di una disposizione siffatta che pretenderebbe in regime democratico - da parte di una Repubblica nata da un referendum, ad opera di una Costituente - di negare quello che essa ha, in Italia, voluto, determinato, introdotto.

Ma mentre, in relazione anche alla discussione seguita alla Costituente su detto articolo, molto si potrebbe osservare, richiamandosi agli interventi soprattutto degli on.li Codacci Pisanelli e Condorelli, la tesi del Partito Nazionale Monarchico trova proprio nell'on. Gronchi l'attuale Presidente della Repubblica - la sua perfetta giustificazione.


L'on. Gronchi, a nome del Gruppo democristiano, in sede di votazione dichiarò di essere favorevole alla norma perché la questione del regime repubblicano e stata decisa da una consultazione popolare traverso il referendum ed è, quindi, «evidente che, data l'origine attraverso la quale l'attuale forma dello Stato è nata e va consolidandosi, essa non potrebbe essere modificata che da una consultazione diretta fatta nella stessa forma attraverso la quale essa è sorta».


UN PRECEDENTE INDICATIVO

Così, proprio così.
Non sarà male a questo proposito richiamare le oneste preoccupazioni che insorsero in molti spiriti liberi e democratici. Fu in allora sottoposto ai soci e non soci del «Controllo Democratico» - una nobile, coraggiosa associazione della quale fecero parte, in tempi oscuri, limpide coscienze - un questionario. Tre erano i quesiti proposti: il primo diretto a stabilire se la nuova Costituzione dovesse essere sottoposta a referendum; il secondo a precisare se tale referendum dovesse essere integrale o parziale; il terzo, infine, ad indicare quali articoli o titoli dovessero essere sottoposti al corpo elettorale.

A riassumere i risultati della consultazione sta la relazione jarach - un libero spirito democratico, avvocato e giurista - il quale diede atto che circa l'85% delle risposte al primo quesito furono affermative, aggiungendo che la grande maggioranza di coloro che risposero affermativamente al primo quesito si dimostrarono anche favorevoli alla integrale sottoposizione della Costituzione a referendum.

Ma ciò che apparve particolarmente significativo fu che nessuno (dicesi nessuno, anche di quelli che pur si espressero contro il nuovo referendum) ebbe ad eccepirne la illegittimità! Ettore Janni - del quale nessuno oserebbe negare il coraggio e la linearità liberale e democratica (egli fu il Direttore del «Corriere della Sera» designato dopo il 25 luglio 1943) ebbe a rispondere cosi: « La Costituzione deve essere sottoposta a referendum integralmente per la difficoltà di annoverare e far chiare alla mentalità degli elettori le questioni più dibattute. Quando si volesse specificare: principali questioni, i patti lateranensi, i limiti della libertà di stampa: principalissima che consiglierebbe da sola il ricorso al referendum la questione delle autonomie regionali ».

Rispondeva allora il Senatore Mario Abbiate - altra luce di fierezza civile e di intemeratezza democratica -: « Ritengo che il referendum debba valere anche come ratifica della seconda proroga della Costituente oltre il termine di diritto ».

Eucardio Momigliano si dichiarò favorevole al referendum integrale «anche perché la proroga della Costituente è contraria al precedente referendum».

Federico Sorbaro, Segretario della Associazione, così si esprimeva: «Ritengo doverosa una nuova consultazione del corpo elettorale per un elementare rispetto verso ciò che in Democrazia chiamiamo sovranità popolare. Innanzitutto perché la votazione del 2 giugno 1946 si espresse su una alternativa della forma istituzionale senza però che al corpo elettorale fosse stato in precedenza presentato un embrione di Statuto nazionale sul quale far cadere o meno i suoi suffragi Secondo perché la legittimità dell'autoproroga della Costituente dovrebbe essere rimessa alla interpretazione della sovranità popolare se non si vorrà che, restando il dubbio su tale legittimità, permanga nello spirito pubblico un senso di delusione e di sfiducia che andrebbe ad indebolire il prestigio che il nuovo statuto dovrebbe avere per sua natura per non apparire ai cittadini uno strumento di arbitrio sorto da una Costituente che aveva alterato i limiti della sua esistenza e messo mano ad un potere nato a sua volta con un difetto di origine».

Mons. Carlo Castiglioni, dottore dell'Ambrosiana, pure affermando che «la forma istituzionale dello Stato fu già definita dal plebiscito e ritornarvi sopra equivarrebbe a svalutare lo stesso istituto democratico del plebiscito» scrisse, peraltro, queste gravi parole: «Ritengo poi che l'Assemblea Costituente e il Governo dal giorno che col sotterfugio di una votazione segreta si sono autoprorogati, sono due organi che funzionano illegalmente. Siamo, dunque, usciti dalla democrazia per entrare nel demagogismo».

Questi richiami di uomini politici e studiosi - ben al di sopra della mischia - hanno un profondo significato di monito - anzi di invocazione - e la loro attualità è impressionantemente manifesta.

Si può, anzi, aggiungere che la impostazione democratica di allora è divenuta ancor maggiore necessità democratica.
Dal forcipe del 2 giugno, traverso la balia dallo scarso latte della Democrazia Cristiana, alle consultazioni coi pediatri di estrema sinistra, si è passati all'inerzia nella educazione, anzi nel contrasto tra i maestri, i quali, disputando ed aggredendosi tra loro, hanno dimenticato i... corsi. Soltanto, a corso parecchi anni ripetuto, è stata promossa la Corte Costituzionale. Nessun altro Istituto se si eccettua lo strano organismo corporativo para-legislativo del Consiglio Superiore della Economia, dove non assisteremo che a dispute babeliche - è stato costituito. E incombe lo spettro delle Regioni, ombra vana fuor che nell'aspetto.

Nessun commento:

Posta un commento