NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 21 gennaio 2023

Il Re, i Soldati, il Generale che vinse, XI parte

 


Per quanto poco valesse, quella terra era li: aperta a chi la prendesse. La Germania che, fallito il colpo di Agadir, e pur avendone cavato i compensi al Camerun non dimetteva l'idea di creare nel Mediterraneo una sua base, trattava sottomano con la Turchia per l'affitto di novant'anni; limitato alla Cirenaica e, potremo dire, al porto di Tobruk: imprendibile piazzaforte. Il Re e Giolitti capirono, dopo questo, la «fatalità» dell'impresa e la vararono.

Una difficile lotta (non conchiusa o solo apparentemente conchiusa con gli accordi lateranensi e il concordato del 1929 sosteneva, poi, Vittorio Emanuele per rendere indipendente il Paese dalle più forti e sensibili influenze della Chiesa Romana. Egli seguì, in sostanza, il sentiero della rivoluzione liberale: coerente anche in questo; temperando l'atteggiamento dello Stato nei confronti della Fede cattolica, nella quale era nato e allevato, e molte volte opponendosi agli zelatori di drastiche misure anticlericali. Ma l'indirizzo era quello e non poteva mutare coerentemente con i fatti del XX settembre 1870. La classe dirigente democratica e laica gli suggeriva di opporre ostilità a ostilità, ed egli pur profondamente convinto di non poter accedere, per la contradizione che non consentiva, alla intransigenza vaticana si rendeva conto della forza con la quale aveva da combattere. Solo al principio del Regno e sotto la preponderante influenza del massone Zanardelli (1902) si risolse ad una aperta e persino troppo scoperta avversione alla Santa Sede, minacciando di toccare uno degli istituti fondamentali della Chiesa, l'indissolubilità del matrimonio. Il Papa Leone XIII da parte sua lo accusò di mettersi persino contro il dettame dell'Evangelo; ma le manifestazioni di quel grande Pontefice, data la personalità veneranda e il particolare momento non richiamarono reazioni uguali e contrarie da parte sua. Con grande saggezza e misura Egli proclamò di voler «confinata nel santuario "l'influenza del clero e di "professare il più illimitato rispetto, serbando inflessibilmente incolumi le prerogative della potestà civile e dei diritti della sovranità nazionale, per la religione e la libertà di coscienza». Sapeva di non poter combattere l'influenza della Chiesa sulle anime dei credenti e non trovava saggio combatterla, questa influenza, in un paese come l'Italia sede della Cattedra di Pietro e centro della Cristianità. L'anticattolicesimo del suo Regno, sebbene di altra natura, non poteva paragonarsi a quello, accanito e settario, dei tempi di Re Umberto, che fu massone. Anche perché i successi personali, le buone fortune e gli esiti favorevoli della sua politica esterna e interna allontanavano velocemente dalla Monarchia il pericolo di crollare sotto gli scioperi e le sconfitte militari o le oscure influenze per le quali Crispi aveva potuto dire: «Leone XIII è inquieto; l'ambizione lo rode: egli si darebbe al diavolo per diventare Re». In qualche modo la Segreteria di Stato, obbediente all'intolleranza del Pontefice, operava nel senso, se pure con evidente esagerazione, detto da Crispi. Il Vaticano aveva taciuto sulle stragi degli armeni e dei candioti, per opportunità politica verso la Sublime Porta (tacerà anche per le stragi del 1945 in Italia settentrionale, per opportunità politica verso gli alleati di Potsdam). Seguendo un suo segreto disegno Leone XIII impose la repubblica massonica e anticlericale di Francia ai cattolici francesi, buttando a mare la Monarchia «primogenita della Chiesa»; ed era un gioco assai sottile e complicato questo di far leva su Parigi per ottenerne la tradizionale protezione militare, cercando poi di disgregare la Triplice abbandonando l'Austria mentre la Francia avrebbe potuto come aveva proposto Napoleone III a Villafranca, abbattere la Monarchia italiana sostituendola con una Repubblica federale praticamente capeggiata dal Pontefice. S'era diffusa la voce, inoltre, che ricevendo Guglielmo II, il vecchissimo strenuo difensore dei diritti al Soglio gli avesse detto: «Rendetemi Rom».

La Questione romana pungeva nel fianco del Regno e la freccia tratto tratto era agitata nella profonda ferita. Si vide con la venuta di Loubet e con la tempesta che seguì all'astensione del presidente francese dal rendere omaggio a Colui che riteneva non estinto il suo principato su Roma. La nota inviata dal Papa Leone ai rappresentanti delle potenze accennava persino al particolare che l'incontro ira il Re d'Italia e Loubet fosse avvenuto nell'istesso « palazzo apostolico » (il Quirinale) occupato da «colui che contro ogni diritto detiene la sovranità civile». L'autore della terribile sfuriata era il Papa ma l'estensore, sì disse, il Merry del Val. I fatti vennero tradotti in termini espliciti al Parlamento francese: «Il Papa ci ha detto che abbiamo avuto l'impudenza di far visita a un ladro che ci ha ricevuto in una casa rubata a Pietro». A questa buriana s'aggiunga il tremendo malumore di Guglielmo II a placare il quale il Re spedì Giolitti a Bad Hamburg, dove Bulow faceva una cura, per chiarirgli che quelle feste e quel chiasso encomiastico s'era fatto per l'«eliminazione delle ultime velleità del potere temporale».

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