NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 1 settembre 2020

Io difendo la Monarchia Cap X - 1


LA MONARCHIA PARLAMENTARE UNICA GARANZIA DI LIBERTÀ

Dopo due anni dalla caduta del fascismo - Come ricostituire una classe politica e una forma durevole di Governo Il Risorgimento nella storia d'Italia - Balbo e il suo «Discorso sulle Rivoluzioni » - Democrazia diretta e democrazia indiretta - La tirannia e il terrore come fondamento delle repubbliche italiane - D'Azeglio e le sue « Riflessioni» sugli «Ultimi casi di Romagna» - Vi fu mai vera democrazia in Italia? - Croce difende l'età liberale del nostro Parlamento - Come impedire una nuova dittatura - Repubblica borghese e repubblica proletaria - Il mito delle masse e la caduta della libertà - Un vecchio opuscolo di A. C. De Meis e la condanna del demagogo.

Abbiamo esposto i fatti della più recente storia d'Italia cercando di coglierne il significato, di studiarne l'origine, di seguirne il corso, di indovinarne lo sbocco. Né il socialismo, né il movimento operaio, né la democrazia parlamentare, né il liberalismo, né il nazionalismo, ma tanto meno la Monarchia, cercarono o vollero la dittatura di Mussolini. Essa fu il prodotto di alcune correnti di idee, non solo italiane, ma universali e di alcuni avvenimenti determinati dalla crisi bellica e post-bellica del 1914-1922, cui tutti hanno consciamente o inconsciamente concorso. Senza dubbio quando Vincenzo Morello (Rastignac) si accaniva nella critica al Parlamento, nei suoi articoli sulla Tribuna tra il 1905 e il 1915 (1), egli non faceva che obbedire come ogni giornalista politico a una (1) Benedetto Croce ricordava In un suo scritto sulla Città libera (13 settembre 1945) che il Morello era stato nominato senatore per Il merito attribuitogli da Mussolini di avere «discreditato il Parlamento ».

moda corrente o al gusto del paradosso e dell'esibizione intellettuale. Era lo stesso atteggiamento che gli faceva scrivere la difesa di Corrado Brando dopo la prima rappresentazione del «Più che l'amore ». Ogni epoca possiede nella sua atmosfera dei pollini dispersi e vaganti che vengono raccolti e servono alle più straordinarie e impreviste fecondazioni. Ma certo Rastignac che era ottimo italiano e patriota, non pensava di danneggiare il suo paese, ma di castigarne i difetti e di restaurarne i valori e accrescerne la cultura e il prestigio. Così Gabriele D'Annunzio nel marciare da Ronchi su Fiume con un battaglione di granatieri, e poi con l'instituire la Reggenza del Camaro per fare di quella città un centro di azione contro la politica di Roma, non pensava nel suo esasperato patriottismo e nella sua' accesa fantasia di poeta, di fare assai più male all'esercito e alla sua disciplina tradizionale con quell'atto di insubordinazione (che aveva la pretesa di parere eroica) che con una battaglia perduta. Così i socialisti, nel celebrare i loro saturnali sulla disfatta di Caporetto e nel convogliare tra l'autunno 1919 e l'autunno del 1920, tutto il malcontento della guerra da loro avversata, contro gli istituti tradizionali dello Stato (Monarchia, Parlamento, Esercito) non pensavano di aprire il varco alla dittatura fascista e alla servitù dei lavoratori, ma di promuovere l'avvento della democrazia e il benessere degli operai.
La conclusione fu però quella che tutti abbiamo do­lorosamente esperimentata. Gli istituti tradizionali furono colpiti a morte e l'avventura ebbe inizio. Il primo ad essere colpito fu il Parlamento che decadde tra il 1918 e il 1922 e fu poi imbavagliato il 3 gennaio 1925 e in seguito reso muto e inoperante. Poi la Monarchia che, privata del Parlamento, venne ricattata e costretta dal dittatore a una funzione meramente decorativa. Poi l'Esercito condotto senza preparazione e senza armi in una guerra ingiusta e disastrosa. Ne risultò la rovina dell'Italia: la sua divisione al di qua e al di là della linea del Garigliano e poi della linea Gotica; ne derivò la perdita, almeno temporanea, della unità, autonomia e indipendenza della Nazione conseguite durante il Ri­sorgimento. Il fascismo fu l'anti-risorgimento e non po­teva concludere il suo ciclo che con la distruzione di quella grande e quasi miracolosa opera.
Ora dopo due anni dalla caduta di quel regime nefasto incombe su tutti l'obbligo della ricostruzione. Si tratta di rimuovere le macerie e di ricostruire. Il destino ha voluto che le nazioni che hanno. abbattuto la Germa­nia non si proponessero scopi di conquista e di rapina. Se fossimo stati nel decimosesto o nel decimosettimo e decimottavo secolo la nostra unità sarebbe scomparsa per lungo tempo. Le nazioni vittoriose avrebbero diviso il nostro territorio a loro piacimento; e sarebbe stata colpa nostra e nostro danno l'averne provocato l'azione con delle dichiarazioni di guerra non si sa se più stolte o più infami. Per nostra fortuna gli anglosassoni portarono sulle loro bandiere le «quattro libertà». Avemmo così i danni assai gravi della guerra combattuta dall'uno all'altro capo della Penisola, ma salvammo l'unità del ter­ritorio nazionale. Dovremo certo difendere le frontiere; impedire che dalla frontiera giulia travalichino i Jugo­slavi che non sono animati dagli stessi principi degli anglosassoni; dovremo difendere le colonie che costarono grossi capitali alla nazione e molto lavoro ai nostri coloni e fecero dell'Eritrea, della Somalia, della Libia delle co­lonie non inferiori a nessun'altra del Continente Nero. Dovremo difendere l'equilibrio mediterraneo: rinunciare senza dubbio al dominio di questo mare che solo Ia mente esaltata di Mussolini poteva concepire e affermare; ma difenderne l'equilibrio in rapporto alle nostre vitali ne­cessità di rifornimento, alle nostre lunghe coste, alla nostra posizione geografica al centro di esso, alla nostra numerosa e densa popolazione.
Questi obiettivi potranno essere raggiunti con cau­tela e prudenza perché il risentimento inglese non po­trà durare troppo a lungo e sarà nell'interesse di quella nazione cercare di ricomporre l'interrotto equilibrio. Ma grosso modo, pur tra tante devastazioni e miserie noi abbiamo recuperato la nostra unità. Però essa non basta: essa va riempita della nostra volontà, delle nostre idee, delle nostre opere. Bisogna ricostituire le fondamenta e gli istituti dell'ordine politico e sociale. E in primo luogo bisogna definire il nostro nuovo Stato. Gli angloameri­cani hanno applicato in Italia una incerta, poco concorde e contradittoria politica. Essi si fondarono sul fuoruscitismo per muovere i primi passi nella Penisola, ma poi si avvidero subito, con il caso Sforza, che avevano sba­gliato. Come sempre succede nei periodi delle lunghe dit­tature gli emigrati politici non rappresentano che molto mediocremente e solo in modo paradossale e contradittorio il paese di origine. Essi portano nelle loro idee, nei loro propositi e nelle loro azioni assai più risentimento che ragionamento, assai più volontà di parte che spirito di comprensione e di giustizia. Essi sono, infine, una infima minoranza. Le lunghe dittature toccano tutto il paese: impegnano tutte le classi, coinvolgono tutte le responsabilità: vi sono certo i corruttori e i corrotti, i criminali e profittatori, ma la enorme maggioranza continua a vivere la propria vita senza dirette responsabilità nella errata condotta politica del paese. La enorme maggioranza non ha colpe da scontare ma solo piaghe da risanare e sventure da dimenticare. E’ stato quindi un grave errore affidare il potere, con l'appoggio delle proprie armi vittoriose, ai vendicatori e ai giustizieri del­l'emigrazione. Essi non cercheranno di riunire, ma di dividere ulteriormente, non cercheranno di sanare le piaghe comuni, ma le renderanno più dolorose e più aspre. Così è avvenuto con l'epurazione che da due anni pa­ralizza l'amministrazione del paese, così avviene con la campagna inaudita di ingiurie e di calunnie contro la Monarchia. Tanto più grave è stato l'errore alleato in quanto l'emigrazione non veniva solo dai paesi anglo­sassoni, ma anche dalla Russia. Dall'azione dei capi delle due opposte emigrazioni è risultato una politica folle e suicida che tende a dividere il paese per sempre e cioè a raggiungere il risultato che neppure Mussolini e i tede­schi poterono ottenere. Già la cultura, l'economia, l'am­biente sociale del Mezzogiorno e del Settentrione diffe­riscono tanto profondamente e sensibilmente da far pen­sare che noi ci troviamo non al 1945, ma al 1861 quando Costantino Nigra scriveva a Cavour le sue memorabili lettere da Napoli sulla situazione meridionale. Già i mo­vimenti autonomisti e separatisti si moltiplicano a nord e a sud e nelle Isole. Eppure la coalizione voluta dagli Alleati e da loro sostenuta come unica base di Governo continua nella sua azione pericolosa e distruttiva. Che questo possa rientrare nei piani del comunismo si com­prende facilmente. Asserviti a una potenza straniera e perfino a quella Jugoslavia che cerca di respingerci fino al confine del 1915 e ci domanda una somma di ripa­razioni (da pagare con macchine e utensili) tale da co­stringere alla fame le nostre maestranze operaie per alcu­ni decenni, essi non hanno altra cura che provocare il male irreparabile e la servitù perpetua' della nazione ai funzionari sovietici di cui essi sono l'avanguardia stipen­diata e disprezzata. Che lo stesso programma sia dei so­cialisti si comprende assai meno. Le vecchie campagne dell'Avanti! contro la Monarchia, l'Esercito, la borghe­sia, il clero, specialmente del periodo mussoliniano di quel giornale, possono spiegare certi ritorni e certe no­stalgie nel romagnolo Nenni, cresciuto allievo all'ombra del Mussolini, uscito con il predappiese dal socialismo per il dissenso sull'intervento; partito in guerra come lui e come lui ritornato sergente e fondatore di fasci; infine, rinsavito e rientrato nell'ovile socialista. Ma come uomini del valore e della cultura moderna di Saragat, di Calosso, di Silone, di Treves e l'antico ri­formista Modigliani possano seguire un tale indirizzo po­litico e vendicativo e distruttivo che giunge a porre sotto accusa il vecchio duca del Mare, glorioso superstite della guerra vittoriosa del x915 e D918, è assai più difficile a comprendere. I democristiani, i liberali, i demolaburisti, reagiscono sulla loro stampa con grande franchezza e a volte con dura violenza di linguaggio, ma poi rimango­no legati alla concentrazione. Tutto ciò si poteva com­prendere sino alla cacciata dei tedeschi dal suolo patrio, ma è ormai insostenibile. Bisognava allora che la coali­zione restasse unita perché essa corrispondesse all'allean­za delle Potenze anglosassoni con il comunismo per vin­cere la Germania. Ora gli anglosassoni hanno potuto già giudicare che cosa si nasconde sotto le formule della democrazia progressiva di Mosca. La recente conferenza di Londra non ha raggiunto nessuno degli obiettivi per i quali si era riunita. L'Italia non ha le sue frontiere e non ha la sua pace. È ancora un territorio occupato. Lo stesso fenomeno si verifica per i paesi balcanici ove il dominio russo si esercita incontrollato e violento come il dissidio tra il Gabinetto Groza e Re Michele ha di­mostrato.

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