NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 26 settembre 2020

Io difendo la Monarchia Cap X - 2

 

Sembra allora logico prevedere che le democrazie occidentali debbano rivedere la formula di Governo nei paesi da loro militarmente occupati. Esse non debbono far posto al partito comunista più di quel tanto che in Serbia, in Bulgaria, in Romania e in Polonia vien fatto posto, per esempio, ai liberali. Se il continente euro-asiatico dominato dal comunismo arriva ormai al centro della Germania, a Vienna, all'Adriatico e domanda di controllare gli Stretti, il Dodecanneso e di avere il pro­prio posto al sole in Africa, ci sembra un atto di legit­tima difesa provvedere negli Stati occidentali alla for­mazione di integrali governi democratici con esclusione di ogni totalitarismo sia fascista che comunista. Questo è in parte compito di Londra e di Washington, in parte compito dei paesi occidentali a mano a mano che essi riacquistano coscienza della loro funzione e delle loro fi­nalità. Meglio sarebbe stato senza dubbio raggiungere dopo le due guerre mondiali una forma federativa del Continente, ma le due guerre hanno seminato non solo tante rovine, ma .tanti odii e tanti rancori e hanno sca­tenato così fatte ambizioni da rendere impossibile  un ac­cordo generale. Già pesa sull'Europa il grande problema tedesco : questo vacuum germanico nel cuore del Con­tinente che impedisce ogni accordo proficuo; poi esiste l'ostilità sovietica a ogni intesa regionale occidentale con il pretesto di opporsi ad un ritorno all'antico cordone sanitario. I russi gradiscono però una unione dei piccoli slavi sotto il dominio di Mosca e dei suoi Tito. Perfino un modesto accenno di Léon Blum ad- una unione dei paesi occidentali è stato violentemente criticato dalla Prawda di Mosca. L'Europa deve quindi andare in rovina e deve divenire tutt'al più un'appendice dell'Asia. Se questo costituisce un interesse della Russia esso non è certamente, nè un interesse anglosassone, nè un interesse scandinavo, francese, italiano, spagnolo, portoghe­se, greco, turco, ecc.


E veniamo all'Italia. Cerchiamo di comprendere co­me e su quale base si può ricostituire una classe politica e una forma durevole e unitaria di governo. Il fascismo ha interrotto il processo di democrazia parlamentare nel paese. La logica e il buon senso suggerirebbero di ritor­nare al punto in cui quel processo nel 1922 o nel 1925, fu interrotto. Ma qualcuno osserverà che in venti anni troppi altri frutti sono venuti a maturazione, troppe altre esperienze e rivoluzioni sono accadute, sì che pare im­possibile il ritorno puro e semplice all'antico. Rifaccia­moci dunque a esaminare la formazione unitaria dai suoi inizi poiché nessuno, pensiamo, intende rinunciare al­l'unità della nazione e alla sua indipendenza. La storia d'Italia non comincia con il Risorgimento, ma la storia dell'unità italiana retta da una costituzione politica mo­derna coincide solo con il Risorgimento. Durante il Medioevo abbiamo certamente una nazione italiana ma non una storia unitaria dell'Italia. E così durante il Rinasci­mento e così nei secoli del predominio straniero. La na­zione non coincideva allora con lo Stato. Il Risorgimen­to inizia un'età nuova, compie una rivoluzione profonda nel sistema politico degli Stati italiani che si fondono o raccolgono in un solo Stato. La vita italiana che era stata in ascesa dal 1100 al 1300 con i Comuni, poi mantenutasi ad un alto livello sino al 1500, poi rapidamente declinata con la caduta di Firenze nel 153o, continua a cadere, specie in confronto dei grandi Stati d'Europa, sino alla metà del 700. Poi comincia lentamente a risa­lire sino a risplendere di nuova luce nel Risorgimento.

 

Cesare Balbo, fu, tra i maggiori autori del Risorgi­mento, quegli che più si preoccupò della introduzione presso di noi del sistema politico rappresentativo di tipo inglese. Nel suo Discorso. sulle Rivoluzioni il motivo della libertà é considerato il più importante. Prima del 1848 egli pensava che all'indipendenza si potesse sacrificare almeno in parte la libertà. Dopo l'infelice risultato della guerra del 1848 egli pensa che non si possa raggiungere l'indipendenza senza la libertà.

 

Particolarmente attuale appare oggi il secondo libro del Discorso. Egli vi distingue la libertà degli antichi da quella dei moderni. Gli antichi no conobbero che la libertà dello Stato, la stessa libertà che andavano in tempi recenti proclamando gli apologeti del fascismo e del na­zismo. Purché lo Stato sia libero tra le Potenze che lo circondano e lo insidiano, muoiano pure le libertà degli individui. Solo il principio rappresentativo, aveva per­messo di raggiungere negli Stati moderni una maggiore libertà dei singoli. Ora a noi pare più che saggio, dinnanzi ai miti della democrazia progressiva (l'unica no­vità di questo dopoguerra) ritornare con il Machiavelli al segno e cioè ai principi da cui nacque il nuovo Stato italiano. Il mondo antico dunque - secondo il Balbo - non conobbe la vera libertà. Gli antichi chiamarono li­bertà l'indipendenza, dello Stato; chiamarono libertà la uguaglianza, una 'uguaglianza così compiuta che ammet­teva la schiavitù; chiamarono libertà la repubblica e qualunque altro ordine si distinguesse, dal principato. Balbo cercava allora chi esprimere il senso moderno della parola, libertà, come facoltà in ogni cittadino di parte­cipare al governo politico dello Stato e di dispone delle sue azioni private. Sono qui due concetti distinti : quello della libertà politica e quello della libertà individuale. Ora presso gli antichi e così anche nella repubblica romana non erano molti coloro che partecipavano al go­verno, ma solo gli abitatori della città principale. Non si concepiva altra libertà politica da quella dell'esercizio diretto dei cittadini in piazza con il loro voto o la loro deliberazione. Non esisteva uso o diritto di rappresen­tanza indiretta. Alla libertà politica non faceva poi ri­scontro la libertà individuale. Sparta che fu l'esempio forse più ammirato delle antiche repubbliche non conob­be libertà per i suoi cittadini dalla nascita alla morte sottoposti alla città e alla Patria. La fortuna di Roma fu dovuta, secondo Balbo, a una migliore applicazione, rispetto agli Stati contemporanei, delle due libertà: la politica e l'individuale. Essa progredì quando le due libertà furono tenute in onore; decadde quando l'una e l'altra libertà si corruppero e si spensero nell'Impero.

 

Le libertà rinacquero dopo il 1100 con la rivoluzione dei Comuni che si sciolsero dall'obbedienza al principe straniero. Ne seguì la lega lombarda e il fiorire successivo delle arti e delle lettere e d'ogni lusso di civiltà, ma anche seguirono i tumulti, le rivoluzioni, la creazione e poi la caduta delle repubbliche e il loro mutarsi in tirannie. Furono i Comuni e le repubbliche italiane il primo esempio delle democrazie in Europa, ma anch'esse furono delle democrazie dirette. Si poteva allora affasci­nare un popolo nella piazza con l'eloquenza, scrive Bal­bo, « ingannare con le bugie, strascinare con le passioni, il che tutto si può anche dei popoli numerosi rappresen­tati; ma potevasi pur quello addormentare colle distribuzioni e con le feste, con il pane e i circensi, il che assolutamente non si può dal popolo rappresentato » (1)


 (1) Vale la pena — per la sua attualità — di riportare per intero questo brano del discorso di Cesare Balbo: «Prima della rappresentanza un grande di talento cui non bastasse essere uno tra parecchi ma volesse essere primo fra tutti, un Mario, un Silla, un Cesare, un Augusto poteva facilmente co' fascini della grandezza che tanto Possono sul popolo di una piazza, farsi seguire da lui, scagliarlo Contro gli altri, annientarli e spegnerli e farsi principe, signore, tiranno; come fecero, oltre quei romani tanti altri greci e italiani del medioevo, di tanti popoli quantunque gelosissimi di libertà, E se tutto è pur pos­sibile con i popoli rappresentati egli è per lo meno molto più difficile, più retro e principalmente poi meno durevole perché le rappresentanze avendo le radici in tutta la nazione, sono forse più difficili a distruggere che non quelle dell'assemblee di piazza e sono poi certamente più facili a risorgere come si vede nei due grandi esempi moderni di Cromwell e di Napoleone. Cesare, Cromwell e Napoleone sono tra i più noti e di che si possa discorrere scientemente, i tre più grandi usurpatori di libertà; ma Cesare, distruttore di una libertà di piazza fondò, quantunque trucidato, un'immane tirannia di cinque secoli in Roma, di undici a Costantinopoli, di diciotto nominalmente: e all'incontro Cromwell e Napoleone distruttori di due libertà rappresentative, quantunque ancora mal fondate, non ne di­strussero nemmeno quelle cattive fondamenta, non vi poterono edificare sopra se non brevi tirannie, precipitate le quali fu ricominciato l'edifizio della libertà ».

 

 

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