NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

domenica 9 agosto 2020

Io difendo la Monarchia Cap IX - 7


Il diario Caviglia continua:
«Carboni esaltava lo sbarco americano a Salerno, che avrebbe costretto i tedeschi, egli affermava, a ritirarsi subito a nord di Roma.
- Questa è erba trastulla da propaganda - dissi « Osservai, che lo sbarco degli alleati a Salerno non portava alcun beneficio per la liberazione di Roma e dell'Italia dai tedeschi, che solo uno sbarco a nord di Roma avrebbe potuto essere utile per la liberazione della Capitale e dell'Italia Meridionale.
«Carboni disse che egli era in buone relazioni di amicizia col colonnello americano Taylor, e che con lui avrebbe, combinato uno sbarco a nord di Roma. Gli risposi di andarlo a raccontare alle cameriere degli alberghi. Carboni è frutto dei tempi — facciatosta; millantatore, pronto ad abbordare le buone posizioni, 'capace di darla ad intendere. Cori altra disciplina e sotto buoni capi, sarebbe diventato un bravo generale: ha delle qua­lità » (1). A giudizio di tutti, dunque, Roma non poteva essere difesa. E allora il Re doveva partire. Nel lasciare la Ca­pitale, su invito del Governo, egli non faceva che com­piere un atto del suo pesante ufficio; tanto più pesante per il Sovrano che fu tante volte nelle trincee dell'altra guerra e che, anche questa volta, conoscendo le bizzarre reazioni sentimentali del suo popolo e presagendo le spe­culazioni dei demagoghi non voleva in nessun modo allontanarsi dalla sua sede. È interessante notare che la prima violenta gazzarra contro il Sovrano si ebbe dai servi dei tedeschi. Furono i vari Romersa a scagliarsi alla radio contro il tradimento italiano e la fuga di Pe­scara. Vi fu purtroppo un maresciallo, per ignote ragioni non ancora processato, il quale iniziò la sua ultima avventura sotto panni tedeschi, con un violento atto di ac­cusa contro il suo Re e il suo Governo. Questo stesso maresciallo — il Graziani — si era congratulato, 24 ore prima di accettare il suo triste ufficio, con un valoroso generale, il Grazioli, che si era rifiutato di accettare il comando delle forze armate repubblicane. La fine di Cavallero gli aveva fatto forse mutare opinione e così a fondo da indurlo a pronunciare alla radio un discorso che non si ricorda senza rossore e senza vergogna per lui.Vi fu dunque tradimento? Tradimento, vogliamo di­re, dell'Italia verso la Germania? L'argomento è quasi ridicolo dopo sei anni di lotta del mondo civile contro un paese che tradì tutti i suoi patti e mancò a tutti i suoi impegni d'onore, ma poi che è stato affrontato e l'accusa è stata lanciata dall'uno all'altro lato della linea del Garigliano e di quella gotica conviene pure parlarne. Per non fare dell'accademia atteniamoci agli avvenimenti più vicini. L'Italia avrebbe tradito l'alleanza con la Germania perché il patto d'acciaio non prevedeva una pace separata? Ma questa è stata la situazione di tutte le alleanze di questa guerra. Neppure la Francia poteva trattare nel 194= un armistizio separato con i tedeschi. Churchill si precipitò in Francia a ricordare quell'impe­gno: offrì perfino un'unione indivisibile e perenne tra le Nazioni, ma il Governo di Parigi fece a suo modo, seguì quello che considerò l'interesse supremo del paese pur dopo soli 4o giorni di vera guerra e si arrese ai te­deschi. Oggi il Governo di Francia, ha posto tra le mag­giori Potenze come se- De Gaulle fosse al p&tere dal 1940 e non dal 1944. E che dire dell'alleanza anglo-turca dell'ottobre 1939 e delle sue vicissitudini! La Turchia non aiutò le nazioni alleate quando l'Italia intervenne portando la guerra nel Mediterraneo, e neppure quando attaccò la Grecia e neppure quando la Germania occupò la Jugoslavia, la Grecia, la Romania e la Bulgaria e l'Isola di Creta e minacciò, con l'Italia, Suez. A un certo punto anzi intervenne un accordo con la Germania; accordo divenuto, nei momenti di maggiore potenza del­l'Asse, tanto stretto da far pensare ad un intervento turco a favore della Germania. Se si farà il processo a von Papen ambasciatore di Hitler ad Ankara ne senti­remo delle belle. E la Romania e la Finlandia e l'Un­gheria non hanno mutato fronte come l'Italia. in piena guerra? In realtà una alleanza con la Germania, da parte d'un qualsiasi stato, non è sostenibile, perché essa, tra­disce fatalmente i suoi- amici come i suoi nemici. È un tradimento di natura organica, barbarico e perenne, im­manente e fatale, legato alla natura tedesca che consiste nell'aggredire i vicini per sedere alla loro tavola. Se non si stringe un patto con lei si è aggrediti per comprovata ostilità (vedi il caso del Belgio, dell’Olanda, della Norvegia, della Danimarca) se si stringe un patto si è stritolati dal suo meccanismo (vedi il caso dell'Austria, della Polonia, della Cecoslovacchia e dell'Italia). Guai a strin­gere un accordo con la Germania. Quella diplomazia ne altera immediatamente le formule, ne muta le interpre­tazioni, ne dimentica le premesse. Si ricordino le vicende del Patto d'acciaio. Quel patto fu stipulato dall'Italia per impedire che Hitler creasse nuovi fatti compiuti co­me quello di Vienna e di Praga senza consultarci e che scoppiasse una guerra europea prima di un periodo di tre anni. Ebbene, subito dopo, nonostante quel patto, la Germania attaccava la Polonia e scatenava il conflitto.
La Germania tradita dall'Italia? Non si può tratte­nere il riso quando l'accusa viene enunciata, ma poi si finisce con un moto di indignazione e di rancore. Ma co­noscono gli italiani la somma degli inganni, delle falsità, dei raggiri, delle impronte bugie di un Ribbentrop e di un Hitler? Conoscono le infinite assicurazioni circa la indipendenza austriaca tra il '933 e il 1937 e ricordano il colpo -di testa dell' Anschluss? Ricordano il Patto di Monaco e la sua violazione senza un cenno di preavviso e di allarme? Ricordano la misteriosa e perentoria chia­mata del Presidente Hacha a Berlino e. il suo appello in­comprensibile alla protezione tedesca?
E ancora si sente dire che via, a stretto rigore, sì, andiamo, noi abbiamo tradito i tedeschi. Ma quale eser­cito ha sparato per primo? L'italiano o il tedesco? Chi ha fatto ricorso ai più infami stratagemmi e ai più vieti tranelli nel settembre 1943? Ogni condizione posta e ac­cettata da un comando all'altro veniva subito smentita; la stessa tregua con «la città aperta » di Roma imme­diatamente violata; il suo comandante arrestato e de­portato, la città sfacciatamente invasa: Le divisioni ita­liane in Jugoslavia e in Grecia venivano disarmate con promessa di rimpatrio e poi deportate in Germania. Ogni inganno fu lecito allora, ogni abbandono ogni tradimento era stato possibile per tre anni su tutti i campi di battaglia comuni, in Africa come in Russia. No: non vi fu un tradimento italiano verso la Germania, ma una serie di tradimenti tedeschi verso l'Italia. E solo contro l'Italia? Ma quale paese, la Ger­mania hitleriana, non ha ingannato; quali patti essa ha rispettato, quali solenni dichiarazioni e promesse non ha immediatamente smentito con i fatti? Non c'è terra eu­ropea che non abbia sofferto un tradimento germanico e il processo che si sta facendo ai Goering, ai Ribbentrop e ai von Papen ne dà la prova.


(1)   (1) Il giorno prima il maresciallo aveva già parlato con Car­boni che egli non conosceva. Ecco la sua prima impressione. Si presentò il generale Carboni, in divisa. Il giorno avanti So-rice, al quale avevo chiesto qualche notizia su questo generale, mi aveva detto che era molto volitivo, e che si dava molto da fare. A me pareva di ricordare che fosse uno scrittore di arti­coli sui giornali quotidiani. In generale, questi militari giorna­listi sanno sfoggiare il loro genio strategico in forma attraente. Di media statura, ben fatta, simpatico, Carboni cominciò a dir­mi dove erano le sue divisioni, e come la divisione « Ariete » si trovasse verso Viterbo in contrasto con una panzer division; che vi era stato uno scontro, che la divisione tedesca aveva avuto gravi perdite e che egli speculava su questo successo per ottenere da Kesselring buoni risultati nelle trattative. Mi ven­ne il dubbio che fosse un bagolone. Dove sono ora le sue divi­sioni? Erano in movimento ai 4 punti cardinali intorno a Roma. Io gli feci notare che avrebbero dovuto essere raccolte nella sua mano. Ma un ordine di Roatta aveva disposto da tempo che le quattro divisioni dovessero difendere Roma su tutte le strade affluenti alla Capitale. Pensai che questa disposizione di Roatta fosse un reliquato delle precauzioni prese da tempo, quando il governo Badoglio temeva che Hitler, malcontento per la deposizione dal potere di Mussolini, volesse far occupare Roma dalle truppe germaniche. Non insistetti su quell'ordine, ma chiesi a Carboni, notizie sullo stato materiale e morale delle sue divisioni. Egli si soffermò soprattutto sulla divisione «Centauro». Questa era costituita con battaglioni «M», ed era fa­vorevole ai tedeschi. La comandava il generale Calvi di Bergolo, secondo Carboni, filotedesco, per esser stato con Rommel in Li­bia. Anche lo stato maggiore della «Centauro» era favorevole ai tedeschi. Mi era nota una divergenza di vedute fra i vari generali ed i vari stati maggiori. Vi erano generali, come Ge­loso, e vi erano reggimenti e divisioni che si consideravano fra­telli d'armi con le truppe tedesche. Geloso mi aveva in altra occasione detto : « Un esercito ed una nazione possono perdere una guerra, ma dopo si rialzano e riprendono il loro posto nel mondo. Ma quando si perde l'onore, ci vogliono secoli di valore, di fedeltà, e di onestà per riacquistarlo». Sorice era filoinglese. Egli mi indicava il colonnello Giaccone, capo di stato maggiore della «Centauro», come tedescofilo, cosicché, diceva, favoriva le operazioni di Kesselring. Carboni aveva domandato a Calvi se le sue truppe si sarebbero battute contro i tedeschi, e Calvi aveva risposto che era molto difficile. Allora Carboni gli aveva ordinato di lasciare il comando della «Centauro». Come mai Carboni si era accorto solo in quel momento dello stato d'ani­mo della «Centauro»? A chi avrebbe dato in quel momento il comando di quella divisione? Bastava questo cambiamento a mutare l'animo delle truppe? Fortunatamente Calvi non rice­vette l'ordine, e non ne tenne conto. Però questo incidente o qualche altra notizia avuta successivamente, mi fecero pensare che Carboni non avesse molto autorità, né prestigio sui suoi divisionari.

Nessun commento:

Posta un commento