Su di un lato della strada che mi conduce a Concordia Sagittaria, vedo una bella chiesetta dedicata alla principessa Mafalda di Savoia. Allora mi chiedo se quelli che la scorgono, abbiano il tempo di fermarsi per recitare una preghiera a questa donna così coraggiosa. Un giorno ero in compagnia di un mio nipote che mi chiese di narrargli la storia di questa donna. Allora gli raccontai che la Principessa era la figlia del Re Vittorio Emanuele III di Savoia e della Regina Elena del Montenegro. La loro figlia era nata il 19 novembre del 1902 a Roma, un anno dopo la primogenita Jolanda. Si era sposata il 12 settembre 1925 con il principe Filippo d’Assia. Dalla loro felice unione erano nati quattro figli. A mio nipote che insisteva con delle domande, vista la suo giovane età, gli ho raccontato quello che avevo in cuore. La principessa Mafalda volle far un viaggio per venir in soccorso della sorella Giovanna che aveva sposato il Re Boris di Bulgaria. Il 28 agosto del 1943 il padre di Mafalda, chiese al suo uomo di fiducia, il Conte Federico di Vigliano di accompagnare la principessa Mafalda in Bulgaria per incontrare la sorella Giovanna che aveva il marito ammalato di una misteriosa malattia. Per questo Mafalda intendeva raggiungere la sorella, per portarle conforto in quelle ore difficili. Le due sorelle erano particolarmente legate da un grande affetto. Il viaggio verso la Bulgaria non fu tra i più facili. Nella fermata alla stazione di Udine si venne a sapere che il cognato Re Boris era morto. A Mafalda non rimase altro che proseguire il viaggio partecipare ai funerali, e consolare la sorella straziata dal dolore. Le due sorelle si salutarono per l’ultima volta alla stazione con il cuore colmo di dolore. Mafalda era tormentata per dover lasciare sola la sorella con un figlioletto piccolo, ma portarli con sé era impossibile. Il sospetto che aleggiava in quei momenti è che il Re Boris fosse stato avvelenato dai tedeschi, perché voleva uscire dal conflitto. Mafalda nel suo viaggio di ritorno fece una fermata a Sinaja, era stata la Regina di Romania, Elena a voler avvertire la figlia di Re Vittorio Emanuele III che in Italia era stato annunciato l’armistizio. La preoccupazione della principessa Mafalda erano i suoi quattro figli, rimasti in Italia. Il conte Vigliano riuscì a mettersi in contatto con Roma e la principessa si tranquillizzò, sapendo che i figli si trovavano sotto la protezione del Vaticano, in buone mani. La principessa arrivò a Roma con la morte nel cuore, non sapeva più cosa fare, temeva che Hitler potesse danneggiare suo marito che si trova in Germania. A Roma, finalmente, riuscì ad abbracciare i figli, e per un attimo il suo cuore fu colmo di felicità. La situazione nel frattempo era confusa, la famiglia Reale era partita per Brindisi. Venne convocata con una scusa all’ambasciata tedesca. Le dissero che suo marito l’avrebbe telefonato alle 11.00, e la principessa puntualmente si recò all’appuntamento, assieme al fedelissimo Conte di Vigliano. In seguito, Le fu detto che suo marito l’attendeva a Berlino e che un aereo sarebbe stato messo a sua disposizione per raggiungerlo. In realtà si trattava di un inganno. Venne prelevata da una donna tedesca e portata a Berlino. La verità era una sola, Hitler in persona aveva deciso di prendere in ostaggio la donna, per vendicarsi di quello che avevano fatto i Savoia: l’armistizio con gli anglo-americani. La principessa fu tradotta nel campo di concentramento di Buchenwald. Le venne assegnato un nome falso, non poteva contare su nessuno, non una mano amica. Fu rinchiusa nella baracca n. 15, riservata ai prigionieri speciali. Si trovò con altre persone che diffidavano di lei, e tra esse una donna che era una spia dei tedeschi. Qualsiasi persona sarebbe impazzita, ma la sua fede le permise di non disperare. La vita di Mafalda era sempre stata in armonia con il buon Dio. Nella sua vita aveva sempre cercato di fare del bene. Durante la Grande Guerra stava vicino ai feriti, li confortava, assieme alla madre, la Regina Elena. Nulla si poteva rimproverare a questa donna, nulla avrebbe dovuto rimproverarsi in quella baracca, dove aleggiavano la paura e la disperazione. La principessa aveva solo la certezza che possiedono quelli che non fanno del male: il raggiungere il Buon Dio nell’al di là. La situazione nel campo di prigionia era di una desolazione unica, il cibo immangiabile, la paura dei tedeschi, la disperazione di tanta gente che sapeva che da quel posto non sarebbe più uscita viva. Le incursioni aeree degli angloamericani erano frequenti. In quel terribile luogo ebbe la possibilità di conoscere alcuni prigionieri italiani, che erano venuti a conoscenza che lei era la figlia del Re. Ebbe la possibilità di conoscere un medico triestino, il dottor Fausto Pecorari, e il soldato Leonardo Boninu . Per la principessa questi incontri furono importanti, finalmente aveva trovato delle persone con cui parlare la propria lingua ricordare il loro Paese. Nino Bolla, uno scrittore di un certo spessore, ricorda: “ Mafalda non voleva morire in quel luogo, perché le pareva impossibile di non dover più rivedere i suoi figli, soprattutto quelli in età minore, che a lei, benché priva d’ ogni aiuto e d’ogni cura, parevano i più bisognosi di questi e di quelli. A tanto giunge l’amore d’una madre, sia nata al Quirinale, sia nata alla Borgata Gordiani. Riposava su un lettino di ferro, senza molle. Doveva affrontare ogni tipo di disagio e la buona Mafalda accettava tutto. Quel poco che le davano di cibo lo divideva con gli altri, tra cui il soldato sardo che Le era diventato amico. Si dice che nei momenti peggiori ci si immerga nel passato, si pensi ai bei ricordi. La vita nel campo di concentramento procedeva, ma senza speranza per molte persone. Quello che accadde il 24 agosto del 1944, fu l’ultimo anello della sua sofferenza, che la donna sabauda aveva offerto a Dio. Quel giorno gli americani bombardarono il campo, distruggendo completamente le officine e parte delle baracche. Mafalda fu seppellita dalle macerie. Una volta estratta, fu trasportata nel postribolo, trasformato in lazzaretto di fortuna, assieme alla sua compagna di baracca. Il referto medico parlava di ischemia al braccio sinistro con ustione di secondo grado e altra scottatura alla guancia sinistra. Non vennero fatte medicazioni. Dopo due giorni di atroce sofferenza, ci fu un inizio di cancrena all’avambraccio sinistro. Un medico di Praga, internato, molto preparato, consigliò l’immediata amputazione del braccio. Ci furono altri due giorni di tentennamenti, finché fu deciso il trasferimento all’ospedale per l’intervento . Il lunedì 28 agosto, dopo 4 giorni di indicibili sofferenze, il direttore SS comunicò di voler operare lui la principessa- lui che non aveva mai operato – perché l’intervento non poteva essere compiuto da un medico prigioniero. Il referto spiega:“ Amputazione per disarticolazione alla spalla”. Ciò, contrariamente, all’indicazione del medico praghese. La principessa, ancora addormentata, fu trasferita al postribolo-infermeria. Non si risvegliò più. Si racconta che alla morte della Principessa fosse arrivato l’ordine della cremazione. Ma la Provvidenza, nella quale la principessa s’era sempre affidata, comunicandosi varie volte durante la prigionia, intervenne tramite il padre francescano Riccardo Steinof, assieme al padre francescano internato, Giuseppe Tyl che fecero appello all’ Oberscharzfuherdel crematorio affinché ricevesse degna sepoltura. La bara fu trasferita a Weimer e seppellita nel reparto “ riservato ai morti per causa di guerra”. Lo scrittore Nino bolla scrisse sul mensile Historia del 1964, alcune righe che meritano la massima attenzione:
“ Poco tempo dopo, alcuni
marinai italiani recatesi a Weimar e
giunti dinanzi alla tomba n.262 contenente
le spoglie della signora Abeba pietosamente porranno per primi una croce
ed una lapide. La donna ivi sepolta, e per molto tempo “sconosciuta” proveniva
da una famiglia che già aveva dato alla Chiesa ed all’Italia alcuni Beati e
qualche Santo. Solo otto mesi dopo la fine atroce di Mafalda di Savoia, la
notizia giunse la Quirinale. Ai primi di maggio del 1945 i telefoni nel palazzo
Reale squillarono a lungo ininterrottamente: chi sperava ancora, chi ormai
disperava: ed era come un brancolare nel buio. Purtroppo, la radio confermò la
notizia, sempre taciuta dai nazisti. L’ allora il luogo tenente generale del
re, molto affezionato alla sorella, parve d’un tratto invecchiato di 10 anni.
Non bastavano il dramma del padre, la salute malferma della madre, il distacco
da Maria Josè e dai figli. Chi si
trovava vicino ad Umberto di Savoia ne constatò in quell’ora, l’accorato
smarrimento. “La debole e sognate Mafalda, morta in terra straniera, dentro una
casa equivoca, trasformata in infermeria
dopo un terribile bombardamento … “.
I vecchi sovrani risiedevano a Napoli e vigeva per loro il divieto degli
anglo-americani di andare a Roma. Per
ventiquattro ore continuò un’ ansiosa attesa: conferme e smentite; e pare che
la sventurata regina abbia appreso la notizia definitiva a mezzo della radio.
Svenne. “
Quand’era in vita la
principessa Mafalda espresse il desiderio di essere sepolta vicino al suocero
Federico Carlo d’Assia, pertanto dal 26 settembre 1951 le sue spoglie mortali
riposano nel Burg di Cronberg, il piccolo cimitero di famiglia degli Assia.
All’esumazione della salma di Mafalda dal cimitero di Weimar , non fu permessa
la presenza di alcun familiare e avvenne senza alcun onore religioso,militare e
civile. L’autofurgone la trasportò fino a Cronberg ed erano le 21,30 quando
entrò nel castello duecentesco e rinascimentale illuminato da fiaccole. Ad attenderla c’era il marito assieme ai
figli Maurizio ed Enrico. Quando la notizia si diffuse nella cittadina ci fu un
affluire di persone commosse, fino alle 2 di notte. Il giorno seguente Filippo
d’Asssia inviò una lunga lettera alla Regina Elena per informarla dell’avvenuta
sepoltura della figlia a Cronberg. A sua volta la suocera le scrisse questa
lettera:
Carissimo Fili, “ Ti ringrazio moltissimo per
la tua cara lettera così toccante. Sapere la mia Mutilini vicino a te è per me
una grande consolazione. Io spero in Dio che la mia salute mi permetterà di
venire ad abbracciare la cara tomba e di
rivedere te, mio caro Fili. Ho dato
ordine al buon Olivieri di informarsi se il viaggio fino a Francoforte è
fattibile poiché tu sai come tutto è difficile per me. Non appena avrò saputo
qualcosa di preciso te ne informerò
inviandoti Olivieri per parlartene. Se tu solamente sapessi quanto è grande la
mia consolazione di sapere la mia cara povera bambina sotto la tua custodia e
così vicina a te. Essa ti amava tanto. “ Spero che il medico che mi cura mi
permetterà questo viaggio perché in
questo momento non mi sento troppo bene. “ Ringraziandoti ancora della felicità
che ho avuto leggendo la tua lettera ti
abbraccio, mio amato Fili, con tutto il cuore,
La tua affezionatissima mamma
Elena. ”
PREGHIERA
PER LA PRINCIPESSA MAFALDA
di SAVOIA
Pietosissimo Iddio, che nei
Tuoi imperscrutabili disegni, permettesti che la Tua serva Mafalda, nata e
vissuta nella regalità della corte, si dipartisse da questa terra in seguito
alle sofferenze ed all'abbandono vissuto negli ultimi mesi della sua esistenza
terrena, lontano dalle cure e dall'affetto dei suoi, umiliata e vilipesa in
suolo nemico, accetta il suo sacrificio! Fà che ella, spiritualmente
ricollegata alle grandi donne della sua casa che la precedettero, in una
dinastia di Santi e di Eroi, ascenda presto alla Beatitudine del Regno dei
Cieli, onde intercedere presso di Te per la grandezza del Regno d'Italia.
Così sia. Con l’approvazione
ecclesiastica Giuseppe Gagnor Vescovo di Napoli, 18 novembre 1945.
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