NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

lunedì 24 febbraio 2020

S.A.R. Maria Gabriella Di Savoia custode della storia d’Italia


Da Residenze Sabaude a Residenze Reali Piemonte...

“Theatrum Sabaudiae”? Fino a quando? Forse una futura edizione dell'ammiratissima sontuosa opera verrà intitolata semplicemente “Teatro”. Via ogni riferimento alla (e ai) “Savoia”. Lo stesso varrà per la “Galleria Sabauda” nel 1984 amorevolmente descritta da Rosalba Tardito Amerio in un bel volume della Cassa di Risparmio di Torino? Diverrà “Galleria” o forse “Tunnel”, “Sottopasso”.
“Gutta cavat lapidem...”. Uno scialbo un giorno, una scalpellata l'altro, l'abrasione corruttiva del passato procede sempre più celere. Quasi 75 anni dopo il cambio istituzionale qualcuno ha sferrato un'altra mazzata: le Residenze Sabaude, patrimonio mondiale dell'Unesco, non saranno più tali. Divengono Residenze Reali Piemonte. Aleggia cupo il motto “Indietro Savoia”, lanciato da un libello di Lorenzo Del Boca, che però combatte a viso aperto.
La decisione di togliere o aggiungere un aggettivo non è mai casuale. Come ricorda il generale CdA Oreste Bovio in un insuperato volume dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore, all'indomani dell'Unità l'Esercito inizialmente fu “Italiano”. L'aggiunta dell'aggettivo Regio suggellò la sua piena identificazione con la monarchia che aveva unito l'Italia: e tale rimase con le bandiere fregiate dallo scudo di Savoia al centro della banda bianca, secondo le dinamiche descritte dallo stesso Bovio in altre sue opere sull'Araldica militare.
Ora le Residenze fatte erigere nei secoli e via via abbellite da conti e duchi di Savoia, poi re di Sardegna e d'Italia, da Sabaude declinano a un generico “Piemonte”, con drastica amputazione della Valle d'Aosta, pur orgogliosa del castello di Sarre, dal quale prese titolo comitale Umberto II alla partenza dal suolo patrio il 13 giugno 1946, come avevano fatto Vittorio Emanuele III, conte di Pollenzo alla partenza per Alessandria d'Egitto, e  Carlo Alberto, conte di Barge quando andò esule a Oporto. La burocrazia sforbicia la Storia. Anziché un passo innanzi nella ricomposizione della memoria ne fa uno di lato, verso il vuoto. “Era ora” pare abbia inneggiato un supporter del “cambio”. Un altro avrebbe aggiunto che “i Savoia hanno fatto di tutto, e solo nel male”. E quelle Residenze, dunque? Per coerenza giacobina andrebbero demolite come le Vele di Scampia. E, per conseguenza logico-cronologica, chi oggi vi si accampa dovrebbe dare alle fiamme sedia e scrivania e cercarsi un altro mestiere.

Un atlante geo-storico di personaggi evocativi: il caso della Spagna
Sarà Wikipedia a far memoria di ogni Paese? L'esempio salutare (o allarme?) arriva dalla Spagna, che ha classificato i personaggi più rappresentativi della sua storia millenaria provincia per provincia sulla base degli “articoli” nei quali essi vi compaiono: duemila anni di vicende complesse e al tempo stesso lineari lungo i quali si sono susseguiti romanizzazione, età dei Visigoti, invasione araba, Riconquista, il balzo a impero mondiale con Carlo V d'Asburgo, il lungo regno da Filippo II ai Borbone e le convulsioni dell'Otto-Novecento sino all'età presente, incarnata da Filippo VI di Borbone. Lo spagnolo più antico svettante nella classifica di Wikipedia non è Viriato, strenuo combattente contro la conquista dell'Iberia da parte dei Romani, assassinato a tradimento nel 139 a.Cr. e celebrato a Zamora, ma Lucio Anneo Seneca, nativo di Cordova, filosofo, precettore sfortunato di Nerone, che gli ordinò di suicidarsi dopo la fallita congiura di Pisone. Lo seguono Traiano, l'imperatore di Roma (98-117 d.Cr.) nato a Italica, il suo immediato successore, Adriano (117-138), e Teodosio (380-395), della provincia di Segovia.
Nella celebre e abusatissima enciclopedia informatica i più citati tra gli “eroi” rappresentativi della storia di Spagna sono anzitutto i sovrani: Filippo II d'Asburgo, nato a Valladolid, come suo nipote Filippo IV (altrettanto famoso: terzo in assoluto per numero di “articoli”), Filippo III d'Asburgo, nato a Madrid, da poco “inventata” quale capitale di uno Stato policefalico e centrifugo, Carlo II (ultimo Asburgo), il discusso Fernando VII di Borbone, Alfonso XIII, che lasciò la Spagna (ma non la corona) all'indomani di banali elezioni amministrative. Tra le teste coronate ispaniche non mancano donne memorabili, da Urraca la Temeraria, rappresentativa della provincia di León, a Isabella la Cattolica, moglie di Ferdinando di Aragona, nativo di Saragozza, ove il suo nome è oscurato da quello del pittore Francisco de Goya. La “mappa” dei Re è una sorta di catena di unione che conduce da Pedro I di Castiglia il Crudele (o Giustiziere?) a Pedro IV di Castiglia il Cerimonioso e ad Alfonso VIII di Castiglia che sconfisse gli almoavidi a Las Navas de Tolosa: battaglia decisiva per le sorti della Spagna e dell'intero Occidente.
Oltre a teste coronate la Spagna vanta anche un papa, Alessandro VI Borgia, rappresentativo della provincia di Valencia (ma andrebbe ricordato anche l'antipapa Benedetto XIII  “de Luna”, morto a Peñiscola), e Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, originario della provincia di Guipúzcoa. Seguono conquistatori che hanno ampliato i confini dell'Europa: Hernan Cortés, originario di Badajoz, vincitore sugli Aztechi in Messico, e Francisco Pizarro, nativo della provincia di Cáceres, che soggiogò gli Incas in Perù. L'Ottocento risulta povero di “politici”, a parte Práxedes Mateo Sagasta (La Rioja). Nel Novecento con oltre mille “articoli” spicca ovviamente Francisco Franco y Bahamonde (el Ferrol), superato in classifica nazionale solo da Filippo II, e molte lunghezze avanti rispetto ai conterranei Manuel Fraga Iribarne (Lugo) e Mariano Rajoy (Pontevedra). Il “caso Franco” è eloquente. La sua salma è stata deportata dal Valle de los Caidos per cocciuto capriccio del socialista Pedro Sánchez “l'Obliabile”, ma la sua opera rimane nella Storia.
L'“atlante” delle celebrità designate da Wikipedia a rappresentare la Spagna “Una, grande y libre” si completa con una pleiade di musicisti (Manuel de Falla per Cadice), pittori (Salvador Dalì per Gerona) e Picasso (Malaga), architetti (è il caso di Gaudì, tarragonese), poeti (Federico García Lorca, granadino), filosofi e pensatori  (Melchor Gáspar de Jovellanos, illuminista ma non massone; Menéndez Pelayo e Miguel de Unamuno).
Data la reciprocità tra domanda e offerta, che vale per Wikipedia come per ogni altra rappresentazione del sapere, dal I secolo dopo Cristo a oggi la Spagna si racconta ed è narrata all'insegna della continuità: Roma, cristianità, impero universale, costruzione e ricostruzione, tra arroccamento sulla propria identità e missione planetaria. Il ritratto che ne emerge è nell'insieme appagante, anche se qualche gigante rimane soccombente. È il caso del madrileno Miguel de Cervantes, surclassato da Filippo III d'Asburgo. Ma l'elenco delle celebrità forzatamente restate in secondo piano (o “di riserva”) potrebbe essere lunghissimo, a conferma della straordinaria ricchezza storica e culturale di un Paese che ha tutti i requisiti di un Continente. Ed è motivo di riflessione che, malgrado settecento anni di presenza su suolo ispanico con tutte le ben note ricadute demografiche, costumali e toponomastiche in regioni vastissime dall'Aragonese a El Ándaluz, gli “Arabi” non abbiano lasciato alcun nome capace di far sintesi di una delle tante province da loro dominate per secoli (lo stesso, del resto, vale per la Sicilia).

Le Province d'Italia in cerca di personaggi rappresentativi
La “mappatura” proposta sulla scorta della frequenza in Wikipedia fa interrogare sull'immagine che gli italiani hanno oggi di sé e, ancor più, su quella che si stanno dando a colpi di spugna sul passato. Se si scorrono le più diffuse riviste di storia, le “terze pagine” dei quotidiani e i maggiori successi editoriali sorgono molte perplessità. A far la parte del leone è il Novecento. Nel suo ambito dominano il fascismo, elevato a canone universale, e il duce, Benito Mussolini. Piaccia o meno (a chi scrive, assai poco), il maggior successo editoriale del 2019 è stato “M. Il figlio del secolo” di Antonio Scurati (ed. Bompiani), presentato come “romanzo” dalle ambizioni storiografiche. Anni addietro trionfò il “Canale Mussolini” di Gianni Pennacchi. A nessuno scrittore è venuto in mente di incardinare la memoria sul meritorio Canale Cavour… A confronto delle dozzine di biografie più o meno sagaci dedicategli sin da quando era al potere (come dimenticare “Dux” dell'ebrea Margherita Sarfatti e “Colloqui con Mussolini” di Ludwig?), sono poca cose le opere sul coevo e anzi molto più importante (e sicuramente meno rovinoso) Vittorio Emanuele III, tuttora in attesa di un profilo biografico onesto.
Ma se anche per la storia d'Italia venisse utilizzata la chiave di lettura usata per quella di Spagna quale mosaico ne uscirebbe? A parte l'ovvia constatazione che i sette secoli di Roma già sono  affollati di nomi memorabili, in massima parte nati nell'Urbe o nella sua “provincia”, la romanocentricità dell'età dei re, dei consoli e dei Cesari renderebbe non indicativo il luogo di nascita, perché, come scrisse Quinto Ennio “Nos sumus Romani qui fuimus ante Rudini”. Il luogo di nascita di storici quali Tito Livio e Publio Cornelio Tacito o di poeti come Publio Virgilio Marone è del tutto secondario rispetto alla missione che essi si dettero: fissare le tavole della Latinità.  
Nei secoli seguenti i nomi rappresentativi della storia d'Italia risultano al tempo stesso innumerevoli ma non solo “nazionali”, per l'intreccio indissolubile tra Impero e Papato, tra Roma e l'Occidente e i radi falliti tentativi di riunificazione dell'Impero, con gli Ottoni di Sassonia. Il re dei Franchi, Carlo, non era nativo di una provincia italiana, ma è inseparabile dalla storia d'Italia, al pari di Federico I Barbarossa e di suo nipote, Federico II (peraltro nato a Jesi e sepolto nel Duomo di Palermo).
Passando all'età dei Comuni e delle Signorie, le potenziali candidature a simboleggiare una “terra” divengono una pletora. A chi assegnare la rappresentatività di Firenze dal Trecento di Dante, Boccaccio e Petrarca al Quattro-Cinquecento di Lorenzo il Magnifico, Poliziano, Brunelleschi, papa Leone X, e quella dell'Otto-Novecento? Lo stesso vale per il Mezzogiorno dai Normanni agli Angiò e agli Aragonesi, per i Ducati padani, a tacere di Milano (il più citato nelle enciclopedie informatiche rimane Ludovico il Moro, anche se poco suffragato da memoria positiva), di Venezia (il suo personaggio di spicco è lo sfortunato Marcantonio Bragadin, martirizzato dai Turchi nel 1571 dopo la conquista di Famagosta: tanto più memorabile rispetto alla serie secolare di dogi), della Genova di Andrea Doria, sicuramente secondo rispetto a Cristoforo Colombo, sia o no davvero genovese.
Il “caso” del Piemonte Sabaudo
Un caso a parte è infine costituito dal “Piemonte” lentamente unificato dai conti, duchi e re Sabaudi: un percorso plurisecolare approdato all'Ottocento di Carlo Alberto di Savoia-Carignano e a suo figlio, Vittorio Emanuele II (Torino, 20 marzo 1820-Roma, 9 gennaio 1878), primo re d'Italia. Posto che il suo volto meriterebbe di suggellare l'intera Italia, se Torino dovesse essere sintetizzata in un unico nome la palma spetterebbe a Emanuele Filiberto, che nel 1562 decise di trasferirvi la capitale del Ducato da Chambéry e ne segnò il destino storico, o a Camillo Cavour? E che cosa fare di Giuseppe Garibaldi? È l'italiano più popolare in patria e all'estero, il più raffigurato in statue, altorilievi, lapidi, targhe, intitolazioni di vie, piazze,stazioni ferroviarie  ma… fu nativo di Nizza, francese dal 1860. L'altro protagonista del Risorgimentale, Giuseppe Mazzini, sarebbe invece oscurato da conterranei di gran lunga più rappresentativi dei secoli della Superba. E quale rappresentatività attribuire ad Arduino, Marchese di Ivrea, primo “re d'Italia”?
Se poi da Torino l'occhio si volge alle altre province liguro-piemontesi la gara tra personaggi che ne scandirono i secoli si fa serrata. Sicuramente il Cuneese verrebbe sintetizzato da Giovanni Giolitti; mentre l'Alessandrino (una congerie di circondari dalle storie molto diverse) potrebbe essere evocato da papa Alessandro, che ne volle la fondazione, dal martire risorgimentale Andrea Vochieri o, su tutti, da papa san Pio V, al secolo Antonio Ghislieri (1504-1572), nativo di Bosco Marengo, domenicano, inquisitore, implacabile persecutore di eretici, ugonotti, ebrei (chiusi nei ghetti), ma anche promotore della vittoria navale sui turchi a Lepanto nel 1572, donde la pratica del rosario.

Maria Gabriella di Savoia custode della Memoria d'Italia
Capitolo a parte è Aosta. La sua figura più rappresentativa è Sant'Anselmo (Aosta, 1033-Canterbury, 1109), teologo, filosofo, uomo di fede e di ragione, propugnatore della dimostrazione ontologica dell'esistenza di Dio: un gigante del pensiero in un'Europa appena uscita dal leggendario “Anno Mille”. Alla sua rievocazione il 1° marzo 1988 presenziò la Regina Maria José per la prima volta in Italia dopo il lungo esilio cui era stata condannata dalla Costituente il 1° gennaio 1948, Ebbe a fianco sua figlia, Maria Gabriella di Savoia. Custode della memoria storica dell'Italia europea con la Fondazione Umberto II e Maria José, la Principessa è nata il 24 febbraio 1940 a Napoli: la Città del mistico Castel dell'Ovo e del Maschio Angioino dal solenne Portale aragonese, del Palazzo Reale voluto da Carlo III di Borbone (la cui statua equestre troneggia in piazza del Plebiscito: quello dell'annessione all'Italia...) ornato dai Re susseguitisi in Napoli sino a Gioacchino Murat e a Vittorio Emanuele II, e della Reggia di Capodimonte. Napoli è Storia: spesso tragica ma infine rasserenante se si sa da dove si arriva e dove si voglia andare. Da lì salparono Vittorio Emanuele III il 9 maggio 1946 (cittadino italiano all'estero, restituito all'Italia il 17 dicembre 2017) e la Regina con i quattro principini il 6 giugno seguente. Di quel lungo passato è depositaria e cultrice la Principessa, “Testimone del Tempo” per oculata decisione del Premio Acqui Storia.  
   L'Italia è in cerca di simboli condivisi. Declassare le Residenze Sabaude a generiche Residenze Reali Piemonte non è certo un passo in avanti verso la ricomposizione della Memoria di una Terra, quale il Piemonte, che fu ed è Italia e crocevia d'Europa: proprio come il millenario “Stato dei Savoia”. 

Aldo A. Mola

DIDASCALIA PER LA FOTO

S.A.R. la Principessa Maria Gabriella di Savoia, nata a Napoli, 24 febbraio 1940, Presidente della Fondazione “Umberto II e Maria José”.

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