Doveri di un Capo dello Stato
Il Capo dello Stato, sia un
Imperatore, un Re o una Regina, un Presidente di Repubblica, un Fuhrer, un Duce
e via discorrendo, a prescindere anche dai loro poteri che possono essere più o
meno ampi, ha un dovere di rappresentanza e di simbolo della Nazione, della sua
Unità, nonché del vertice dello Stato e la sua mancanza, impedimento, scomparsa,
defezione e simili interrompe proprio il funzionamento della “macchina dello Stato”.
Ecco perché se Monarchia, il Sovrano e l’ Erede, in caso di spostamenti, anche
in periodi tranquilli, è bene siano separati, lo stesso vale per un Presidente ed
un suo Vice, oppure in altri casi nelle Monarchie sia previsto l’ istituto
della Luogotenenza o della Reggenza, o in Repubbliche sia costituzionalmente prevista
una scala di sostituti automatici. Se “morto il Re, viva il Re!”, così si può dire
“morto il Presidente, viva il Vice Presidente” o “viva il Presidente del Senato”
per affermare la continuità dello Stato. In caso di guerre la questione diviene
ancor più delicata perché in molti casi il Capo dello Stato è anche il Capo
delle Forze Armate, anche se oggi è sempre più rara una effettiva presenza ed
un diretto comando. Pensare ad un Capo dello Stato in mano al nemico apre una prospettiva
gravissima di crisi dello Stato. Lasciamo stare quindi Francesco I di Francia,
prigioniero di Carlo V, dopo la sfortunata battaglia di Pavia del 1525, e
guardiamo i casi nell’epoca moderna che sono perciò rari e l’esempio più clamoroso
è quello di Napoleone III, preso prigioniero dai prussiani a Sedan, il che
portò alla immediata dissoluzione dell’Impero ed anche la tragica vicenda di un
Massimiliano d’Asburgo fucilato a Queretaro dai ribelli messicani di Benito Juarez
( in cui onore –sic - poi vennero tanti Benito anche in Europa, nome prima
inesistente ) che assunsero il potere, cancellando anche in questo caso, l’impero.
Preservare perciò la propria libertà, nell’interesse generale e non della
salvezza della propria persona è quindi un dovere ineludibile. Ecco perché nel 1814
il Presidente degli USA, Madison, lascia precipitosamente la Casa Bianca, con
la colazione già in tavola,per non essere preso prigioniero, dagli inglesi che ivi
banchettarono, incendiando poi il palazzo presidenziale ! Qualcuno ha mai
parlato del fuggiasco Madison ? E poi perché lo Zar Alessandro lascia ed
incendia Mosca all’avvicinarsi di Napoleone, e Stalin fa lo stesso all’avvicinarsi
delle armate tedesche, nel 1941 ? Ed il Presidente francese che, nel 1940, abbandona
Parigi per andare a Bordeaux, e Churchill, il quale afferma in caso di sbarco
tedesco che, con il Re, sarebbe andato, non fuggito, in Canada a continuare la
guerra fino alla vittoria. Lasciamo poi stare la Regina d’Olanda, i Re di
Norvegia, di Grecia e di Jugoslavia, il Presidente della repubblica polacca e cecoslovacca
che abbandonano non solo la loro capitale, ma il territorio nazionale, mentre l’unico
che rimane in patria, il Re del Belgio, poi divenuto prigioniero di Hitler in
Germania, viene successivamente accusato proprio di questo e impedito a
rientrare nel territorio nazionale dopo la fine della guerra, da una assurda
legge nel 1945 aspettando il 1950 quando un referendum popolare dà la netta maggioranza
del 57,68% per il suo rientro e riassunzione dei poteri regi!
Tutto ciò premesso, veniamo al
caso italiano e cerchiamo di seguirne la storia passo per passo. E’ notoria l’avversione
di Hitler nei confronti dei Savoia e la sua rabbia per l’esautorazione dell’amico
Mussolini, la decisione di poterlo liberare ed averlo nuovamente al suo fianco,
e contemporaneamente punire il Re d’Italia per il cosiddetto tradimento. Perciò
è fuori da ogni realtà pensare che, specie dopo l’armistizio, Hitler non
avrebbe tentato di impadronirsi di Vittorio Emanuele III, costasse quel che
costasse ( l’anno dopo l’operazione tedesca, perfettamente riuscita, fu quella
condotta contro il Reggente ungherese Horthy che aveva il 15 ottobre 1944 annunciato
l’armistizio, e preso prigioniero dai tedeschi aveva dovuto smentirlo nello
stesso giorno!). Di questa necessità che il Re non fosse preso prigioniero,
erano convinti anche gli angloamericani, che avevano stipulato l’armistizio con
il Governo del Re, tanto che era stata ventilata l’idea di un suo trasferimento
in quel di Palermo, già da tempo nelle loro mani, ma che avrebbe tolto al Re ogni
libertà e dignità. Quindi lasciare Roma capitale era una necessità storica, istituzionale
e costituzionale, non potendo trasformare questa duplice capitale, pensiamo al Pontefice,
in un campo di battaglia come Leningrado, e simili, per cui la sua difesa avrebbe
potuto procurarle danni ancor maggiori di quelli procurati dai due sciagurati
bombardamenti del 19 luglio e 13 agosto. Con ciò non possiamo non dare atto del
nobile comportamento e del sacrificio dei nostri soldati che si batterono valorosamente
contro i tedeschi a Porta San Paolo e dell’azione svolta a Roma da un tale generale
Calvi di Bergolo, guarda caso genero del Re ! Sempre relativamente al
trasferimento vi era stata una ipotesi descritta in un libro poco noto di
Arturo Catalano Gonzaga “ Per l’onore dei Savoia”, edito da Mursia nel 1996, di
un trasferimento del Re, Famiglia Reale e Governo, in Sardegna, con partenza il
12 settembre, da Civitavecchia, su un cacciatorpediniere, o il “Vivaldi” o il
“Da Noli”, ed arrivo a La Maddalena, quando, appunto si pensava fosse quella la
data dell’annuncio dell’armistizio. Perché, in questo balletto di date, tra
l’effettivo 8 e l’ipotetico 12 settembre, sta la spiegazione degli eventi realmente
accaduti. Quella del 12 settembre, anche se più logica, era stata una semplice supposizione
del generale Castellano in quanto in sede di firma dell’armistizio, il 3
settembre, nulla di preciso al riguardo avevano detto gli americani. Dico più
logica perché avrebbe giovato ad entrambe le parti, anche se in maggior misura per
noi, specie per ulteriori istruzioni all’Esercito, a maggior chiarimento della
famosa circolare segreta OP 44, inviata da giorni. La comunicazione della data
dell’8, se, in ogni caso, fosse stata data con maggiore anticipo avrebbe
consentito migliori disposizioni all’esercito ed una partenza da Roma meno turbinosa.
Appresa invece la stessa mattina dell’8 con obbligo di comunicare l’avvenuto armistizio
da parte del nostro Governo, nella stessa giornata, il che avvenne alle 19,45 con
il messaggio radio del Maresciallo Badoglio, la scelta del trasferimento
dovette essere presa in tempi brevissimi. Infatti la famosa colonna di
automobili si mosse da Roma, Ministero della Guerra, in Via Venti Settembre,
alle 5,10 del mattino del 9 settembre. Il fattore rapidità era essenziale perché
tutti conoscevano le intenzioni hitleriane di bloccare il Re ed il tempo giuocava
a nostro favore solo nel caso di una immediata decisione, presa dal capo del
Governo ed accettata, se non subita, dal Re ed ancor di più dal Principe Umberto.
Non dimentichiamo, mentre moltissimi o lo hanno dimenticato o forse lo ignorano,
che nella stessa giornata dell’8 settembre l’aviazione americana aveva
effettuato un massiccio bombardamento della cittadina di Frascati, a venti
chilometri da Roma, in quanto sede del Comando germanico, che distrusse la
città, ma non uccise Kesserling, comandante delle truppe tedesche. Kesserling
non si trovava quel giorno a Frascati dovendosi occupare della difesa contro il
contestuale sbarco americano a Salerno. Questa assenza di Kesserling è la
migliore smentita della tesi sostenuta dallo Zangrandi di un accordo tra i due
Marescialli, Badoglio e Kesserling, per facilitare partenza e viaggio del Re da
Roma, verso Pescara sulla statale Tiburtina-Valeria. Quando e come sarebbe
avvenuto l’accordo in quelle pochissime ore? chi i plenipotenziari che si
sarebbero dovuti incontrare? Come e dove? Fu solo il fattore sorpresa che questa
volta giocò a nostro favore a consentire il lungo viaggio senza blocchi su di una
strada che specie fino ad Avezzano non permetteva alte velocità. Trasferimento perciò
e non fuga, con lunga sosta dei Reali a Crecchio nel Castello dei Duchi di
Bovino, la puntata di alcuni componenti il convoglio a Pescara per valutare una
possibile partenza aerea, il loro ritorno a Crecchio e la decisione definitiva
dell’imbarco su una nave della Regia Marina, la corvetta Baionetta, fatta
venire ad Ortona dal Ministro della Marina, ammiraglio De Courten, e
dell’incrociatore Scipione Africano, come scorta, con meta Brindisi, porto e
città saldamente nelle mani del nostro esercito e della nostra marina, dove non
erano né tedeschi né angloamericani, e sul palazzo del Comando, tenuto
dall’ammiraglio Rubartelli, sventolava la nostra grande bandiera. Con quel
trasferimento, come hanno poi riconosciuto storici seri, non monarchici, ed
anche un presidente della repubblica, Ciampi, si era conservata la continuità
dello stato e salvato Roma da altre distruzioni. La sciagurata frase della “fuga
di Pescara”, (e non Ortona, errore che dimostrava la scarsa conoscenza dei
fatti) venne tempo dopo e faceva parte della campagna denigratoria sul Re e
Casa Savoia che la repubblica di Salò scatenò per diciotto mesi su giornali e
sulla radio, campagna che contribuì notevolmente al voto repubblicano dell’Italia
del Nord, nel referendum del 1946, sostituendo alla repubblica fascista, la
repubblica antifascista (!) e coloro che inventarono la fuga, accusa ripresa
successivamente dalla propaganda repubblicana e divenuta un luogo comune, non
pensavano certo ad un altro ben triste viaggio lungo le rive del Lario.
Concludendo, i doveri per lo più sono amari, ma vanno assolti e questo, con la
partenza da Roma, dove, ipocritamente non gli fu consentito di far ritorno,
dopo il 5 giugno 1944, fece, non per sé, ma per l’Italia, Vittorio Emanuele,
come, dai microfoni di Radio Bari, purtroppo poco potente e poco conosciuta ed
ascoltata, disse la sera dell’11 settembre: “ Per il supremo bene della Patria che
è stato sempre il mio primo pensiero e lo scopo della mia vita, e nell’intento di
evitarle più gravi sofferenze e maggiori sacrifici, ho autorizzato la richiesta
di armistizio. Italiani, per la salvezza della Capitale e per poter pienamente
assolvere i miei doveri di Re, col Governo e con le Autorità Militari, mi sono
trasferito in altro punto del sacro e libero suolo nazionale. Italiani, faccio
sicuro affidamento su di voi per ogni evento, come voi potete contare fino all’estremo
sacrificio sul vostro Re. Che Dio assista l’Italia in quest’ora grave della sua
storia.”.
Domenico Giglio
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