NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

lunedì 24 febbraio 2020

Io difendo la Monarchia Cap IX - 1

L'ARMISTIZIO E LA DIFESA DI ROMA
Uscire dalla guerra fascista - Le difficili trattative di armistizio - La missione Castellano - Come si giunse all'otto settembre - Si poteva difendere Roma? - Il disinvolto generale Carboni e le sue due versioni - Il diario di Stimson - Il diario di Caviglia - Il Capo dello Stato non doveva rimanere prigioniero - La serie dei tradimenti tedeschi - Non c'è terra di Europa che non abbia sofferto di un inganno germanico.

Ed ora eccoci alla fase culminante del dramma. Scrive Montanelli nel suo saggio sulla Rivoluzione d'Italia: «La storia vera non è contemporanea. Mentre il conflitto ferve ancora vivo, noi siamo accusatori che citiamo in giudizio, accusati che ci difendiamo, testimoni che rendiamo testimonianze più o meno passionate e quindi più o meno sospette; nessuno di noi può, senza ridicola presunzione, arrogarsi la parte di giudice. Il giuri della storia comincia quando tacciono le passioni che accompagnano la lotta; i giudizi che preferisce sono le epigrafi mortuarie che una generazione scrive sulla tomba della generazione che fu. Fanno dunque pietà più che sdegno alcuni storici contemporanei i quali si piccano dar lezioni all'uman genere colla grave impostura di dottoroni sputasentenze e a noi che ne conosciamo vita, morte e miracoli vogliono dare ad intendere di essere i rappresentanti della posterità» (1).
Cerchiamo di essere degli onesti testimoni di quello che abbiamo vissuto e sofferto e vediamo di allontanare dalla narrazione gli elementi drammatici che esasperano le passioni e tolgono serenità al giudizio.
Che Mussolini andasse levato di seggio sono tutti concordi nell'affermare, almeno nei limiti in cui sia possibile indovinare e riassumere in una nazione la volontà generale. Certo non mancavano i fascisti fanatici e irriducibili, ma è importante notare che non uno in tutta la Penisola si levò per difendere il dittatore o per rivendicarne il merito e le azioni. Il fascismo e i mussoliniani scomparvero nei quarantacinque giorni e riapparvero solo dopo il dieci settembre con le schiere tedesche.
Levato di mezzo Mussolini tutti pensavano che si dovesse al più presto uscire dalla guerra. Se la caduta del fascismo era provocata dalla nozione ormai certa della sconfitta, bisognava uscire al più presto dalla tormenta, separare tempestivamente la nostra causa da quella tedesca. Non ci si poneva certo su di un sentiero fiorito. Avremmo avuto probabilmente un duro periodo di occupazione anglo-americano, certamente la guerra con la Germania, ma poi che tutto questo era fatale meglio era avvenisse subito. Si sperava che l'armistizio italiano potesse portare a conseguenze simili in tutti i paesi danubiani e balcanici; potesse incoraggiare la Turchia all'intervento e, insomma, far precipitare rapidamente il lungo dramma della guerra verso il suo epilogo. Così avvenne anche nel 1918 quando alla resa della Bulgaria successe, in brevi settimane, la sconfitta austriaca e quella tedesca.
Purtroppo gli avvenimenti politici e militari di questa guerra non hanno seguìto nei dettagli il corso di quelli del 1914-1918. Sì, la stessa aggressione della Germania, la stessa violazione della neutralità dei piccoli paesi, le stesse irresistibili vittorie tedesche all'inizio e poi il rafforzamento della coalizione avversaria, l'equilibrio delle parti e infine il regredire della Germania e la sua sconfitta. Questo in linea generale, ma nei dettagli le cose sono andate diversamente. Questa volta il declino della forza tedesca è stato assai lento e contrastato: la difesa è stata tenace, fanatica e feroce. Il maggior peso delle conseguenze di questo mutato corso degli avvenimenti ha gravato sull'Italia che per due anni è stata teatro della nuova guerra. Nessuno però nell'estate del 1943 poteva prevedere che il nazismo fosse un così accanito nemico della stessa patria tedesca, tanto da preferire alla resa la distruzione di tutte le sue città e lo smembramento forse definitivo del Reich.

A ogni modo per gli italiani non vi era dubbio. La caduta di Mussolini doveva significare la caduta del fascismo; la riprovazione e il ripudio della sua politica, delle sue alleanze, delle sue aggressioni, delle sue guerre. Via, dunque, dalla guerra fascista. Essa era la conseguenza di un'intesa ideologica, l'Asse, e di un patto derivato da tale intesa ideologica (2). Gli alleati promettevano il loro soccorso e si impegnavano a rimetterci le nostre colpe. Non si può proprio dire che questo sia avvenuto; purtroppo molte aspettative sono andate deluse, molte condizioni dell'occupazione sono parse troppo gravose, molte amarezze hanno fatto seguito alle troppo candide illusioni iniziali. Ma per giudicare obiettivamente del comportamento anglo-americano verso di noi, dobbiamo confrontare le nostre condizioni di paese vinto, non con quelle della. Francia, ma con quelle della Germania.
Gli italiani dunque volevano subito uscire dalla guerra. E il Governo Badoglio si propose di venire incontro al desiderio della generalità degli italiani. Esso prescelse nei confronti con i tedeschi la via della dissimulazione a quella dell'aperta denuncia dell'alleanza. Qui cade il discorso sul rapporto che deve correre tra la politica e la morale. Discorso che ad ogni stagione della politica si rinnova in Italia da quattro secoli.
Anche recentemente in un articolo su La città libera Benedetto Croce torna a fissare con grande chiarezza questo rapporto. «In verità — egli ha scritto — io come chiunque pensi seriamente la politica, mi onoro di dirmi machiavelliano e penso che l'Italia dovrebbe erigere in una delle sue piazze illustri una statua al grande suo figlio che per primo segnò con tratti incisivi il carattere e l'autonomia della politica.
«La sfera della politica — continua Croce — che è anche essa nello spirito umano, è sembrata talora star fuori di questa, quasi forza della natura, appunto perché la politica ha. le sue ragioni che non sono quelle della morale. Il mondo che il Campanella definiva un animale. grande e perfetto sazia, per l'appunto, come un animale i suoi bisogni e impulsi vitali e le sue necessità di cangiamenti e di riassetti mercé la guerra -e. le altre lotte della politica, ed è perfettamente puerile volergli impartire lezioni e pretendere di addomesticarlo perché esso, al pari dell'amore sauvage oiseau di cui canta Carmen ou ne peut pas l'apprivoiser ».
Coloro che giudicano immorale la dissimulazione verso i tedeschi- tra, il venticinque luglio e l'otto settembre non pretendono che l'Italia dovesse continuare la- guerra germanica, ma solo pensano che un diverso metodo avrebbe giovato maggiormente alla causa italiana di quello seguito dal Maresciallo. Volevano insomma un inganno più accorto, non rifiutavano l'idea dell'inganno. E se non doveva esserci inganno ma guerra aperta è naturale che, di tanto più deboli dei tedeschi nelle nostre forze; ci si dovesse assicurare con segreti accordi l'appoggio delle democrazie. Ma pur senza addentrarci nei meandri di una discussione accademica domandiamoci: « Si può con i tedeschi seguire altra via? ». Non vi è popolo d'Europa che non abbia conosciuto i metodi di spudorata menzogna e di sistematico inganno dei tedeschi. Si può trattare con lealtà con un governo che ha adoperato con la Cecoslovacchia nel marzo del 1939 i metodi che atterrirono il Presidente Hacha? Per non dire dei metodi seguiti con l'Austria, la Norvegia, il Belgio, l'Olanda, la Danimarca, la Polonia.
La storia delle trattative laboriose e difficili tra il Governo di Badoglio e il Comando alleato di Eisenhower è nota. Essa è stata descritta minutamente da fonte inglese come da fonte italiana.

(1) G. MONTANELLI: La rivoluzione d'Itaiia. Edizioni Sestante », Roma, 1945, pag. 4.
(2) Vedi la premessa agli articoli del Patto d'Acciaio del maggio 1939.


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