Uscire dalla guerra fascista -
Le difficili trattative di armistizio - La missione Castellano - Come si giunse
all'otto settembre - Si poteva difendere Roma? - Il disinvolto generale Carboni
e le sue due versioni - Il diario di Stimson - Il diario di Caviglia - Il Capo
dello Stato non doveva rimanere prigioniero - La serie dei tradimenti tedeschi
- Non c'è terra di Europa che non abbia sofferto di un inganno germanico.
Ed ora eccoci alla fase
culminante del dramma. Scrive Montanelli nel suo saggio sulla Rivoluzione
d'Italia: «La storia vera non è contemporanea. Mentre il conflitto ferve ancora
vivo, noi siamo accusatori che citiamo in giudizio, accusati che ci difendiamo,
testimoni che rendiamo testimonianze più o meno passionate e quindi più o meno
sospette; nessuno di noi può, senza ridicola presunzione, arrogarsi la parte di
giudice. Il giuri della storia comincia quando tacciono le passioni che
accompagnano la lotta; i giudizi che preferisce sono le epigrafi mortuarie che
una generazione scrive sulla tomba della generazione che fu. Fanno dunque pietà
più che sdegno alcuni storici contemporanei i quali si piccano dar lezioni
all'uman genere colla grave impostura di dottoroni sputasentenze e a noi che ne
conosciamo vita, morte e miracoli vogliono dare ad intendere di essere i
rappresentanti della posterità» (1).
Cerchiamo di essere degli
onesti testimoni di quello che abbiamo vissuto e sofferto e vediamo di
allontanare dalla narrazione gli elementi
drammatici che esasperano le passioni e tolgono serenità al giudizio.
Che Mussolini andasse levato
di seggio sono tutti concordi nell'affermare, almeno nei limiti in cui sia
possibile indovinare e riassumere in una nazione la volontà generale. Certo non
mancavano i fascisti fanatici e irriducibili, ma è importante notare che non
uno in tutta la Penisola si levò per difendere il dittatore o per rivendicarne
il merito e le azioni. Il fascismo e i mussoliniani scomparvero nei
quarantacinque giorni e riapparvero solo dopo il dieci settembre con le schiere
tedesche.
Levato di mezzo Mussolini
tutti pensavano che si dovesse al più presto uscire dalla guerra. Se la caduta
del fascismo era provocata dalla nozione ormai certa della sconfitta, bisognava
uscire al più presto dalla tormenta, separare tempestivamente la nostra causa
da quella tedesca. Non ci si poneva certo su di un sentiero fiorito. Avremmo
avuto probabilmente un duro periodo di occupazione anglo-americano, certamente
la guerra con la Germania, ma poi che tutto questo era fatale meglio era
avvenisse subito. Si sperava che l'armistizio italiano potesse portare a
conseguenze simili in tutti i paesi danubiani e balcanici; potesse incoraggiare
la Turchia all'intervento e, insomma, far precipitare rapidamente il lungo
dramma della guerra verso il suo epilogo. Così avvenne anche nel 1918 quando
alla resa della Bulgaria successe, in brevi settimane, la sconfitta austriaca e
quella tedesca.
Purtroppo gli avvenimenti
politici e militari di questa guerra non hanno seguìto nei dettagli il corso di
quelli del 1914-1918. Sì, la stessa aggressione della Germania, la stessa
violazione della neutralità dei piccoli paesi, le stesse irresistibili vittorie
tedesche all'inizio e poi il rafforzamento della coalizione avversaria,
l'equilibrio delle parti e infine il regredire della Germania e la sua sconfitta.
Questo in linea generale, ma nei dettagli le cose sono andate diversamente.
Questa volta il declino della forza tedesca è stato assai lento e contrastato:
la difesa è stata tenace, fanatica e feroce. Il maggior peso delle conseguenze
di questo mutato corso degli avvenimenti ha gravato sull'Italia che per due
anni è stata teatro della nuova guerra. Nessuno però nell'estate del 1943
poteva prevedere che il nazismo fosse un così accanito nemico della stessa
patria tedesca, tanto da preferire alla resa la distruzione di tutte le sue
città e lo smembramento forse definitivo del Reich.
A ogni modo per gli italiani
non vi era dubbio. La caduta di Mussolini doveva significare la caduta del fascismo;
la riprovazione e il ripudio della sua politica, delle sue alleanze, delle sue
aggressioni, delle sue guerre. Via, dunque, dalla guerra fascista. Essa era la
conseguenza di un'intesa ideologica, l'Asse, e di un patto derivato da tale
intesa ideologica (2). Gli alleati promettevano il loro soccorso e si impegnavano
a rimetterci le nostre colpe. Non si può proprio dire che questo sia avvenuto;
purtroppo molte aspettative sono andate deluse, molte condizioni
dell'occupazione sono parse troppo gravose, molte amarezze hanno fatto seguito
alle troppo candide illusioni iniziali. Ma per giudicare obiettivamente del
comportamento anglo-americano verso di noi, dobbiamo confrontare le nostre
condizioni di paese vinto, non con quelle della. Francia, ma con quelle della
Germania.
Gli italiani dunque volevano
subito uscire dalla guerra. E il Governo Badoglio si propose di venire incontro
al desiderio della generalità degli italiani. Esso prescelse nei confronti con
i tedeschi la via della dissimulazione a quella dell'aperta denuncia
dell'alleanza. Qui cade il discorso sul rapporto che deve correre tra la
politica e la morale. Discorso che ad ogni stagione della politica si rinnova
in Italia da quattro secoli.
Anche recentemente in un
articolo su La città libera Benedetto Croce torna a fissare con grande
chiarezza questo rapporto. «In verità — egli ha scritto — io come chiunque
pensi seriamente la politica, mi onoro di dirmi machiavelliano e penso che
l'Italia dovrebbe erigere in una delle sue piazze illustri una statua al grande
suo figlio che per primo segnò con tratti incisivi il carattere e l'autonomia
della politica.
«La sfera della politica —
continua Croce — che è anche essa nello spirito umano, è sembrata talora star
fuori di questa, quasi forza della natura, appunto perché la politica ha. le
sue ragioni che non sono quelle della morale. Il mondo che il Campanella
definiva un animale. grande e perfetto sazia, per l'appunto, come un animale i
suoi bisogni e impulsi vitali e le sue necessità di cangiamenti e di riassetti
mercé la guerra -e. le altre lotte della politica, ed è perfettamente puerile
volergli impartire lezioni e pretendere di addomesticarlo perché esso, al pari
dell'amore sauvage oiseau di cui canta Carmen ou ne peut pas l'apprivoiser ».
Coloro che giudicano immorale
la dissimulazione verso i tedeschi- tra, il venticinque luglio e l'otto
settembre non pretendono che l'Italia dovesse continuare la- guerra germanica,
ma solo pensano che un diverso metodo avrebbe giovato maggiormente alla causa
italiana di quello seguito dal Maresciallo. Volevano insomma un inganno più
accorto, non rifiutavano l'idea dell'inganno. E se non doveva esserci inganno
ma guerra aperta è naturale che, di tanto più deboli dei tedeschi nelle nostre
forze; ci si dovesse assicurare con segreti accordi l'appoggio delle
democrazie. Ma pur senza addentrarci nei meandri di una discussione accademica
domandiamoci: « Si può con i tedeschi seguire altra via? ». Non vi è popolo
d'Europa che non abbia conosciuto i metodi di spudorata menzogna e di
sistematico inganno dei tedeschi. Si può trattare con lealtà con un governo che
ha adoperato con la Cecoslovacchia nel marzo del 1939 i metodi che atterrirono
il Presidente Hacha? Per non dire dei metodi seguiti con l'Austria, la
Norvegia, il Belgio, l'Olanda, la Danimarca, la Polonia.
La storia delle trattative
laboriose e difficili tra il Governo di Badoglio e il Comando alleato di
Eisenhower è nota. Essa è stata descritta minutamente da fonte inglese come da
fonte italiana.
(1) G. MONTANELLI: La rivoluzione d'Itaiia. Edizioni Sestante »,
Roma, 1945, pag. 4.
(2) Vedi la premessa agli articoli
del Patto d'Acciaio del maggio 1939.
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