Pubblichiamo questa schifezza solo per dovere di completezza
Lo staff
Il radio discorso del Presidente del Consiglio On. De Gasperi
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Il radio discorso del Presidente del Consiglio On. De Gasperi
Intendo
parlare da uomo a uomo e rivolgermi soprattutto agli avversari in buona fede e
ai disorientati. Durante la campagna elettorale, folle di gente amica od
avversaria mi hanno consentito di parlare serenamente su tutte le piazze
d'Italia. Benché, pur tenendo fede alle direttive del mio Partito, le mie
argomentazioni cercassero piuttosto di superare che di acuire la polemica
istituzionale e di concentrare invece l'attenzione sul carattere della
consultazione popolare, atto di sovranità del popolo italiano, atto definitivo
in cui le parti, cittadini e principe, si sottomettevano al metodo democratico
della maggioranza, indispensabile per ricomporre e conservare l'unità morale
della Nazione andata perduta durante la guerra. La procedura era regolata dalla
legge, approvata dalla Consulta Nazionale, deliberata all'unanimità dal
Consiglio dei Ministri costituito di repubblicani e monarchici, promulgata dal
Luogotenente e l'ufficio di tirare le somme e di controllare le operazioni
elettorali veniva affidato alla Magistratura della Corte d'Appello e dei
tribunali e in ultima istanza alla Corte di Cassazione. Tutte le precauzioni
erano prese perché le elezioni si svolgessero nell'ordine e nella libertà. E
così fu. Il popolo italiano ritrovando il senso più nobile della sua storia,
diede spettacolo di autodisciplina e di educazione democratica. Per due giorni
fece pazientemente la coda per votare e ciascuno poté votare come voleva senza
pressione di poteri pubblici, anzi evitando perfino il controllo dei partiti
giacché con la scheda di Stato in mano, entro gli stessi partiti, si poté
liberamente dare il voto alla repubblica e alla monarchia. In ogni
circoscrizione del nord o del sud ci fu una notevole minoranza, presunzione
indiscutibile che le elezioni furono oneste e libere. Questa fu al primo
momento l'impressione concorde di tutti i Partiti all'interno e l'ammirata
conclusione dell'estero. Ora quindi la Cassazione fece secondo prevedeva la
legge, la proclamazione dei risultati del referendum» con una notevole
maggioranza per la repubblica, potevamo noi Governo mettere in dubbio che in
forza della stessa legge entrava automaticamente in vigore il regime
provvisorio previsto? Per quanto riguarda la mia coscienza i devo dire che non
ho dubitato un solo momento, e fedele al metodo democratico che bisogna
assolutamente osservare come l'unico mezzo libero di consolidare l'unità del
Paese, dichiarai subito al Re e poi al Consiglio il mio pensiero. Ma si obietta
che la Corte di Cassazione si è riservata di dare giudizio definitivo sulle
contestazioni e sui ricorsi e sta bene, ciò è conforme alla legge, la quale
prevede appunto queste due operazioni: prima la proclamazione dei risultati in
base ai verbali e poi il giudizio sui ricorsi; ma l'entrata in vigore del
regime provvisorio e della legge prevista sono appunto in dipendenza della
proclamazione dei risultati perché c'era nei legislatori e c'è obiettivamente
la presunzione che la Corte non li avrebbe proclamati e non li proclamerebbe,
se allo stato degli atti potesse prevedere che essi non siano tali da
costituire una maggioranza.
Io non
sono un giurista, ma mi pare di ragionare secondo il buon senso. Del resto ha
forse il Governo diminuito o contrastato le prerogative della Corte di
Cassazione? La Corte rimane libera e nessuno di noi intende sovrapporsi ad
essa. Ma il Governo aveva il dovere di prendere quella posizione netta che gli
sembrava giusta, prevista dalla legge e atta a mantenere nel popolo la fede nel
metodo democratico e nella sua sovranità. Facendo ciò abbiamo tuttavia evitato
di venire meno all'esercizio del nostro diritto e, per spirito di conciliazione
verso il Paese e verso la parte soccombente, abbiamo contato di
come
si potesse almeno per pochi giorni ancora, evitare una rottura clamorosa.
Perché i consiglieri del Re, all'ultimo momento, sono venuti meno a questo
sforzo ed hanno consigliato di lanciare al Paese una parola così aspra? Mi ripugna
di rinnovare la polemica, anche perché il Re in molte circostanze del passato
l'ho sempre trovato conciliativo e ieri stesso nell'ultimo commiato coi suoi
familiari, e in contradizione con il proclama, ebbe parole di disciplina e di
concordia. So ben considerare umanamente la tragedia di quest'uomo che, erede
di una disfatta e di funeste, fatali compromissioni con la dittatura, si è
sforzato negli ultimi mesi di risalire la corrente a furia di pazienza e di
buon volere. Ma quest'ultima vicenda di una millenaria dinastia ci appare come
una parte della catastrofe nazionale; è una espiazione, ma tutti dobbiamo espiare,
anche coloro che non hanno avuto o ereditato le colpe della dinastia.
Vorrei
dire ai partiti; non impicchiamo, non accaniamoci, fra vinti e vincitori uno
solo è l'artefice del proprio destino: il popolo italiano, che si meriterà la
benedizione di Dio, creerà nella Costituente una repubblica di tutti, una
repubblica che si difende sì, ma non perseguita; una democrazia equilibrata nei
suoi poteri, fondata sul lavoro ma giusta verso tutte le classi sociali;
riformatrice, ma non sopraffattrice e soprattutto rispettosa della libertà
della persona, dei comuni, delle regioni.
Un
immenso lavoro ricostruttivo abbiamo innanzi a noi. La salita è faticosa.
Diamoci la mano, uomini di buona volontà; comunque sia stato il vostro o il
nostro voto, perché altrimenti senza questo sforzo comune non riusciremo. Ma
riusciremo: ho fede che il popolo italiano ha già nel cuore questo fermo
proposito e che sente già l'aculeo delle immediate esigenze sociali ed econo¬.
Bisogna mantenere l'ordine, bisogna lavorare, bisogna produrre. Coloro stessi
che si sentivano legati ad un giuramento, sono stati prosciolti da ogni obbligo
verso una persona e oggi l'impegno solenne vale per la Patria, e la Patria è il
popolo. Voglio riconoscere che questo proscioglimento è stato un atto ricostruttivo
in mezzo ad altri gesti polemici ed irritati dell'ultima ora.
Uniamoci,
italiani, nel pensiero della Patria e dimostriamo la saldezza della nostra
unità - lavoratori, forze armate, organi
dello Stato, ceti tutti - in con-fronto di chi insidia le nostre più care
frontiere, speculando sui nostri disordini interni e confermiamo, in vista
delle trattative di pace, che il popolo italiano è risoluto a difendere il
proprio sacrosanto diritto al suo avvenire ».
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