NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

lunedì 17 febbraio 2020

Il libro azzurro sul referendum - XVI cap - 4


Pubblichiamo questa schifezza solo per dovere di completezza 
Lo staff

Il radio discorso del Presidente del Consiglio On. De Gasperi

Intendo parlare da uomo a uomo e rivolgermi soprattutto agli avversari in buona fede e ai disorientati. Durante la campagna elettorale, folle di gente amica od avversaria mi hanno consentito di parlare serenamente su tutte le piazze d'Italia. Benché, pur tenendo fede alle direttive del mio Partito, le mie argomentazioni cercassero piuttosto di superare che di acuire la polemica istituzionale e di concentrare invece l'attenzione sul carattere della consultazione popolare, atto di sovranità del popolo italiano, atto definitivo in cui le parti, cittadini e principe, si sottomettevano al metodo democratico della maggioranza, indispensabile per ricomporre e conservare l'unità morale della Nazione andata perduta durante la guerra. La procedura era regolata dalla legge, approvata dalla Consulta Nazionale, deliberata all'unanimità dal Consiglio dei Ministri costituito di repubblicani e monarchici, promulgata dal Luogotenente e l'ufficio di tirare le somme e di controllare le operazioni elettorali veniva affidato alla Magistratura della Corte d'Appello e dei tribunali e in ultima istanza alla Corte di Cassazione. Tutte le precauzioni erano prese perché le elezioni si svolgessero nell'ordine e nella libertà. E così fu. Il popolo italiano ritrovando il senso più nobile della sua storia, diede spettacolo di autodisciplina e di educazione democratica. Per due giorni fece pazientemente la coda per votare e ciascuno poté votare come voleva senza pressione di poteri pubblici, anzi evitando perfino il controllo dei partiti giacché con la scheda di Stato in mano, entro gli stessi partiti, si poté liberamente dare il voto alla repubblica e alla monarchia. In ogni circoscrizione del nord o del sud ci fu una notevole minoranza, presunzione indiscutibile che le elezioni furono oneste e libere. Questa fu al primo momento l'impressione concorde di tutti i Partiti all'interno e l'ammirata conclusione dell'estero. Ora quindi la Cassazione fece secondo prevedeva la legge, la proclamazione dei risultati del referendum» con una notevole maggioranza per la repubblica, potevamo noi Governo mettere in dubbio che in forza della stessa legge entrava automaticamente in vigore il regime provvisorio previsto? Per quanto riguarda la mia coscienza i devo dire che non ho dubitato un solo momento, e fedele al metodo democratico che bisogna assolutamente osservare come l'unico mezzo libero di consolidare l'unità del Paese, dichiarai subito al Re e poi al Consiglio il mio pensiero. Ma si obietta che la Corte di Cassazione si è riservata di dare giudizio definitivo sulle contestazioni e sui ricorsi e sta bene, ciò è conforme alla legge, la quale prevede appunto queste due operazioni: prima la proclamazione dei risultati in base ai verbali e poi il giudizio sui ricorsi; ma l'entrata in vigore del regime provvisorio e della legge prevista sono appunto in dipendenza della proclamazione dei risultati perché c'era nei legislatori e c'è obiettivamente la presunzione che la Corte non li avrebbe proclamati e non li proclamerebbe, se allo stato degli atti potesse prevedere che essi non siano tali da costituire una maggioranza.
Io non sono un giurista, ma mi pare di ragionare secondo il buon senso. Del resto ha forse il Governo diminuito o contrastato le prerogative della Corte di Cassazione? La Corte rimane libera e nessuno di noi intende sovrapporsi ad essa. Ma il Governo aveva il dovere di prendere quella posizione netta che gli sembrava giusta, prevista dalla legge e atta a mantenere nel popolo la fede nel metodo democratico e nella sua sovranità. Facendo ciò abbiamo tuttavia evitato di venire meno all'esercizio del nostro diritto e, per spirito di conciliazione verso il Paese e verso la parte soccombente, abbiamo contato di
come si potesse almeno per pochi giorni ancora, evitare una rottura clamorosa. Perché i consiglieri del Re, all'ultimo momento, sono venuti meno a questo sforzo ed hanno consigliato di lanciare al Paese una parola così aspra? Mi ripugna di rinnovare la polemica, anche perché il Re in molte circostanze del passato l'ho sempre trovato conciliativo e ieri stesso nell'ultimo commiato coi suoi familiari, e in contradizione con il proclama, ebbe parole di disciplina e di concordia. So ben considerare umanamente la tragedia di quest'uomo che, erede di una disfatta e di funeste, fatali compromissioni con la dittatura, si è sforzato negli ultimi mesi di risalire la corrente a furia di pazienza e di buon volere. Ma quest'ultima vicenda di una millenaria dinastia ci appare come una parte della catastrofe nazionale; è una espiazione, ma tutti dobbiamo espiare, anche coloro che non hanno avuto o ereditato le colpe della dinastia.
Vorrei dire ai partiti; non impicchiamo, non accaniamoci, fra vinti e vincitori uno solo è l'artefice del proprio destino: il popolo italiano, che si meriterà la benedizione di Dio, creerà nella Costituente una repubblica di tutti, una repubblica che si difende sì, ma non perseguita; una democrazia equilibrata nei suoi poteri, fondata sul lavoro ma giusta verso tutte le classi sociali; riformatrice, ma non sopraffattrice e soprattutto rispettosa della libertà della persona, dei comuni, delle regioni.
Un immenso lavoro ricostruttivo abbiamo innanzi a noi. La salita è faticosa. Diamoci la mano, uomini di buona volontà; comunque sia stato il vostro o il nostro voto, perché altrimenti senza questo sforzo comune non riusciremo. Ma riusciremo: ho fede che il popolo italiano ha già nel cuore questo fermo proposito e che sente già l'aculeo delle immediate esigenze sociali ed econo¬. Bisogna mantenere l'ordine, bisogna lavorare, bisogna produrre. Coloro stessi che si sentivano legati ad un giuramento, sono stati prosciolti da ogni obbligo verso una persona e oggi l'impegno solenne vale per la Patria, e la Patria è il popolo. Voglio riconoscere che questo proscioglimento è stato un atto ricostruttivo in mezzo ad altri gesti polemici ed irritati dell'ultima ora.
Uniamoci, italiani, nel pensiero della Patria e dimostriamo la saldezza della nostra unità  - lavoratori, forze armate, organi dello Stato, ceti tutti - in con-fronto di chi insidia le nostre più care frontiere, speculando sui nostri disordini interni e confermiamo, in vista delle trattative di pace, che il popolo italiano è risoluto a difendere il proprio sacrosanto diritto al suo avvenire ».



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