NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

mercoledì 29 maggio 2019

Io difendo la Monarchia - Cap VII - 3


Che il Re non amasse la Germania risulta molto chiaro dai primi anni del suo Regno che videro modificato radicalmente, anche per suo personale intervento, l’indirizzo della nostra politica estera con il deciso riavvicinamento alla Francia. Spesso nelle Memorie di Bulow si fa cenno all’antipatia pronunciata e reciproca tra Guglielmo II e Vittorio Emanuele III. Da tutti i documenti venuti fino ad ora in luce appare chiaro che il sentimento del Re verso la Germania non si era modificato, ma accentuato. Più volte il Re aveva messo in guardia contro il pericolo tedesco e aveva intrattenuto Mussolini, negli anni 1939 e 1940, sulle gravi deficienze di armi, di vestiario, di scorte, in genere, dell’Esercito.

Egli aveva anche fatto incontrare il Capo del Governo con dei generali che avevano il compito di informarlo dello stato esatto delle cose. Ma abbiamo visto come l’intervento sia stato deciso da Mussolini sotto l’assillo di una Germania ormai vittoriosa con le sole proprie armi. Che noi non avessimo armi, né scorte, né possibilità obiettive di condurre una guerra più lunga di tre mesi, era noto a Mussolini perché da ogni parte (Stato Maggiore, alta burocrazia, circoli industriali) era stato avvertito di questa nostra situazione. E perciò era stata creata la pretensiosa teoria della guerra di rapido corso come se bastasse una enunciazione teorica, non fondata sulla potenza dell’apprestamento bellico, per modificare il corso e le sorti di una guerra (1).

Ma come il Re poteva impedire la guerra con il Parlamento mussoliniano? Bisognava accettare l'ipotesi della guerra civile e dell’occupazione punitiva tedesca.
Sul sentimento, sulla volontà e sull’azione del Sovrano abbiamo una preziosa, anche se singolare, testimonianza. Il 27 dicembre 1943, a pochi giorni dalla sua morte, Galeazzo Ciano scrive al Re dal carcere di Verona una lettera di commiato che suona come una estrema confessione. Dice la lettera: « Adesso, da tre mesi, sono nel carcere di Verona, sempre affidato alla martoriante custodia delle S.S. e attendo un giudizio che non è altro che un premeditato assassinio. Vostra Maestà conosce da tempo le mie idee e la mia fede, così come io posso testimoniare, davanti a Dio e agli uomini, l’eroica lotta da Lei sostenuta per impedire quell’errore e quel crimine che è stata la nostra guerra a fianco dei tedeschi... Un uomo, un uomo solo, Mussolini, per torbide ambizioni personali, per ” sete di gloria militare ”, usando le sue autentiche parole, ha premeditatamente condotto il paese nel baratro... » (vedi Paolo Monelli, Roma 1943 pag 54-55 (2) )

Così l’Italia entrò in guerra. A questo punto si pone il problema dell’Alto Comando. A pagina 74 del citato volume: Storia di un anno, Mussolini riporta un brano della sua relazione al Gran Consiglio del 24 luglio 1943 : « Sia detto una volta per tutte che io non ho minimamente sollecitato la delega del Comando delle forze armate operanti, rilasciatomi dal Re il 10 giugno. L’iniziativa appartenne al Maresciallo Badoglio » (3).
Come al solito Mussolini mentiva. Egli dimenticava il suo discorso al Senato del 30 marzo 1938 in cui comunicava che egli avrebbe assunto il comando della prossima guerra : « In Italia, egli disse, la guerra, come già in Africa, sarà guidata, agli ordini del Re, da uno solo: da chi vi parla, se, ancora una volta questo grave compito gli sarà riservato dal destino ».

 Aveva appena pronunciato questo discorso che i due rami del Parlamento deliberarono di conferirgli il grado di primo Maresciallo dell’Impero. Si poteva fare di più per mettere la Corona davanti al fatto compiuto? Abbiamo già descritto il conflitto che ne venne tra il Sovrano e il «duce» e abbiamo visto, dal diario di Ciano, come in quel tempo Mussolini osava esprimersi nei riguardi del Re. Il «duce» non era uomo da rinunce.
Con l'approssimarsi della guerra nel maggio 1940, egli faceva fare pressioni su Casa Reale dal Segretario del Partito Muti e dal Sottosegretario alla Guerra Soddu (4) Nel luglio 1943. prendendo a pretesto una lettera di Badoglio, del maggio 1940, per domandare che venissero precisate le attribuzioni del Capo di Stato Maggiore Generale, Mussolini affermò che l’idea di affidare a lui il comando di tutte le forze in guerra era partita dal Maresciallo. È chiaro che Mussolini non aveva neppure capita la lettera di Badoglio sulla organizzazione del Comando (5). Il Badoglio partiva dal presupposto che Mussolini avesse già il comando (come avrebbe potuto metterlo in dubbio se il Capo del Governo aveva un grado militare superiore al suo?) ma voleva che fossero precisate le responsabilità e i compiti di ciascuno. Egli avvertiva anzi, che non avrebbe potuto accettare la posizione di Keitel rispetto ad Hitler e rispetto ai comandanti dell’esercito della aviazione e della marina, perché il collega tedesco non aveva il suo passato militare e una rinomanza da difendere. Nel caso si dovesse seguire l’ordinamento tedesco, avvertiva Badoglio, bisognerebbe scegliere un altro capo di Stato Maggiore generale. Per affermare che Badoglio aveva proposto di affidare a lui l'alto comando bisogna dire che Mussolini non aveva neppure letto fino in fondo la lettera del Maresciallo. Ma questo era il suo metodo polemico fondato sulla improvvisazione e sulla violenza e soprattutto sulla impossibilità in cui gli altri eran posti di replicare alle sue affermazioni.

Il discorso pronunciato da Mussolini al solito balcone di piazza Venezia, annunciante la guerra, fu una sorpresa — amara sorpresa — per il Re.
Non abbiamo sufficienti elementi per giudicare dei rapporti corsi durante la guerra tra la Monarchia e il fascismo, ma da quel tanto che abbiamo potuto conoscere sino a questo momento è chiaro che essi non furono amichevoli: gelosia, volgarità, rabbiosa impotenza da una parte: riserbo e prudenza dall’altra.
Nessuno ha messo mai in dubbio le doti di intelligenza e la capacità di acuto giudizio del Sovrano. Egli non poteva farsi delle illusioni sul corso della guerra e sull’andamento delle operazioni militari e quindi sul funzionamento dell’alto comando. Ma come procedere ad un mutamento in piena guerra? Mussolini, privato del comando militare, sarebbe stato posto, dopo poche settimane, nelle condizioni di lasciare il governo o più probabilmente di tentare un colpo di stato per recuperare tutto il potere. Un sistema totalitario fondato sulla dittatura non si può correggere, bisogna abbatterlo. Ma queste considerazioni non basterebbero per giustificare la permanenza di Mussolini nella direzione dello Stato e
nella condotta bellica delle operazioni. Gli insuccessi della Libia e della Grecia erano motivo sufficiente per la rimozione. Ma come fare questo mutamento con i tedeschi ormai padroni dell'Italia? Negli anni 1940-41 la loro forza in Europa era talmente preponderante da avere ragione in poche settimane di qualunque velleità di indipendenza da parte di un nostro governo diverso da quello di Mussolini. La guerra era ideologica e il

Patto di acciaio era fondato sulla identità ideologica dei due Stati. Rovesciare Mussolini significava rovesciare il fascismo e provocare una spedizione punitiva di Berlino contro Roma (6).



(1) Si veda in Politica Estera (anno n, n. 8-9): «L’Italia alla vigilia della guerra e il problema delle materie prime».
Sono riassunti nell'articolo i dati forniti dalla « Commissione per lo studio dei rifornimenti della Nazione in guerra»: commissione nominata da Mussolini e composta dei tecnici di tutti i Ministeri direttamente interessati alla preparazione bellica.
La relazione ultima di questa Commissione in un grosso volume a stampa fu sottoposta a Mussolini nel gennaio 1940. Essa offriva al Primo Ministro il quadro esatto e completo della potenza italiana. Soltanto la sua morbosa gelosia per una vittoria, ritenuta già sicura e incontrastata dei tedeschi, il suo disprezzo per le oneste opinioni dei dei tecnici e la sua irresistibile tendenza a lasciar sommergere la ragione della passione poterono indurlo alla guerra.


(2) La pubblicazione del diario di Ciano che negli ultimi mesi sta facendo il giornale “Il Tempo” , rivela come fosse acuto e profondo negli anni 1939-1940 il contrasto tra la dittatura e la Monarchia sull'argomento della guerra e dell'alleanza con Berlino.

(3) Il maresciallo gli aveva mandato nel maggio 1940 una lettera sulla organizzazione dell’Alto Comando in caso di guerra.

(4) Vedi il memoriale difensivo di Galeazzo Ciano al processo di Verona nel giornale l'Avanti! del 12 settembre 1945.

(5) Vedi Mussolini: Storia di un anno (Appendici).

(6) Vedi in proposito le rivelazioni della stampa sugli ordini di Hitler appena giunse in Germania la notizia dei fatti del 25 luglio.

Nessun commento:

Posta un commento