Che il Re non amasse la Germania risulta molto chiaro
dai primi anni del suo Regno che videro modificato radicalmente, anche per suo
personale intervento, l’indirizzo della nostra politica estera con il deciso
riavvicinamento alla Francia. Spesso nelle Memorie di Bulow si fa cenno
all’antipatia pronunciata e reciproca tra Guglielmo II e Vittorio Emanuele III.
Da tutti i documenti venuti fino ad ora in luce appare chiaro che il sentimento del Re verso la Germania non si era modificato, ma accentuato.
Più volte il Re aveva messo in guardia contro il pericolo tedesco e aveva
intrattenuto Mussolini, negli anni 1939 e 1940, sulle gravi deficienze di armi,
di vestiario, di scorte, in genere, dell’Esercito.
Egli aveva anche fatto incontrare il Capo del Governo con dei generali che
avevano il compito di informarlo dello stato esatto delle cose. Ma abbiamo
visto come l’intervento sia stato deciso da Mussolini sotto l’assillo di una
Germania ormai vittoriosa con le sole proprie armi. Che noi non avessimo armi, né
scorte, né possibilità obiettive di condurre una guerra più lunga di tre mesi,
era noto a Mussolini perché da ogni parte (Stato Maggiore, alta burocrazia,
circoli industriali) era stato avvertito di questa nostra situazione. E perciò
era stata creata la pretensiosa teoria della guerra di rapido corso come se
bastasse una enunciazione teorica, non fondata sulla potenza dell’apprestamento
bellico, per modificare il corso e le sorti di una guerra (1).
Ma come il Re poteva impedire la guerra con il Parlamento mussoliniano?
Bisognava accettare l'ipotesi della guerra civile e dell’occupazione punitiva
tedesca.
Sul sentimento, sulla volontà e sull’azione del Sovrano abbiamo una preziosa,
anche se singolare, testimonianza. Il 27 dicembre 1943, a pochi giorni dalla
sua morte, Galeazzo Ciano scrive al Re dal carcere di Verona una lettera di commiato
che suona come una estrema confessione. Dice la lettera: « Adesso, da tre mesi,
sono nel carcere di Verona, sempre affidato alla martoriante custodia delle
S.S. e attendo un giudizio che non è altro che un premeditato assassinio.
Vostra Maestà conosce da tempo le mie idee e la mia fede, così come io posso
testimoniare, davanti a Dio e agli uomini, l’eroica lotta da Lei sostenuta per
impedire quell’errore e quel crimine che è stata la nostra guerra a fianco dei
tedeschi... Un uomo, un uomo solo, Mussolini, per torbide ambizioni personali,
per ” sete di gloria militare ”, usando le sue autentiche parole, ha
premeditatamente condotto il paese nel baratro... » (vedi Paolo Monelli, Roma 1943 pag 54-55 (2) )
Così l’Italia entrò in guerra. A questo punto si pone il problema dell’Alto
Comando. A pagina 74 del citato volume: Storia di un anno, Mussolini riporta un
brano della sua relazione al Gran Consiglio del 24 luglio 1943 : « Sia detto
una volta per tutte che io non ho minimamente sollecitato la delega del Comando
delle forze armate operanti, rilasciatomi dal Re il 10 giugno. L’iniziativa
appartenne al Maresciallo Badoglio » (3).
Come al solito Mussolini mentiva. Egli dimenticava il suo discorso al Senato
del 30 marzo 1938 in cui comunicava che egli avrebbe assunto il comando della
prossima guerra : « In Italia, egli disse, la guerra, come già in Africa, sarà
guidata, agli ordini del Re, da uno solo: da chi vi parla, se, ancora una volta
questo grave compito gli sarà riservato dal destino ».
Con l'approssimarsi della guerra nel maggio 1940, egli faceva fare pressioni su
Casa Reale dal Segretario del Partito Muti e dal Sottosegretario alla Guerra
Soddu (4) Nel luglio 1943. prendendo a pretesto una lettera di Badoglio, del
maggio 1940, per domandare che venissero precisate le attribuzioni del Capo di
Stato Maggiore Generale, Mussolini affermò che l’idea di affidare a lui il
comando di tutte le forze in guerra era partita dal Maresciallo. È chiaro che
Mussolini non aveva neppure capita la lettera di Badoglio sulla organizzazione
del Comando (5). Il Badoglio partiva dal presupposto che Mussolini avesse già
il comando (come avrebbe potuto metterlo in dubbio se il Capo del Governo aveva
un grado militare superiore al suo?) ma voleva che fossero precisate le
responsabilità e i compiti di ciascuno. Egli avvertiva anzi, che non avrebbe
potuto accettare la posizione di Keitel rispetto ad Hitler e rispetto ai comandanti
dell’esercito della aviazione e della marina, perché il collega tedesco non
aveva il suo passato militare e una rinomanza da difendere. Nel caso si dovesse
seguire l’ordinamento tedesco, avvertiva Badoglio, bisognerebbe scegliere un altro
capo di Stato Maggiore generale. Per affermare che Badoglio aveva proposto di affidare
a lui l'alto comando bisogna dire che Mussolini non aveva neppure letto fino in
fondo la lettera del Maresciallo. Ma questo era il suo metodo polemico fondato sulla
improvvisazione e sulla violenza e soprattutto sulla impossibilità in cui gli
altri eran posti di replicare alle sue affermazioni.
Il discorso pronunciato da Mussolini al solito balcone di piazza Venezia,
annunciante la guerra, fu una sorpresa — amara sorpresa — per il Re.
Non abbiamo sufficienti elementi per giudicare dei rapporti corsi durante
la guerra tra la Monarchia e il fascismo, ma da quel tanto che abbiamo potuto
conoscere sino a questo momento è chiaro che essi non furono amichevoli:
gelosia, volgarità, rabbiosa impotenza da una parte: riserbo e prudenza
dall’altra.
Nessuno ha messo mai in dubbio le doti di intelligenza e la capacità di
acuto giudizio del Sovrano. Egli non poteva farsi delle illusioni sul corso
della guerra e sull’andamento delle operazioni militari e quindi sul funzionamento
dell’alto comando. Ma come procedere ad un mutamento in piena guerra?
Mussolini, privato del comando militare, sarebbe stato posto, dopo poche settimane,
nelle condizioni di lasciare il governo o più probabilmente di tentare un colpo
di stato per recuperare tutto il potere. Un sistema totalitario fondato sulla
dittatura non si può correggere, bisogna abbatterlo. Ma queste considerazioni
non basterebbero per giustificare la permanenza di Mussolini nella direzione
dello Stato e
nella condotta bellica delle operazioni. Gli insuccessi della Libia e della
Grecia erano motivo sufficiente per la rimozione. Ma come fare questo mutamento
con i tedeschi ormai padroni dell'Italia? Negli anni 1940-41 la loro forza in
Europa era talmente preponderante da avere ragione in poche settimane di
qualunque velleità di indipendenza da parte di un nostro governo diverso da
quello di Mussolini. La guerra era ideologica e il
Patto di acciaio era fondato sulla identità ideologica dei due Stati. Rovesciare
Mussolini significava rovesciare il fascismo e provocare una spedizione
punitiva di Berlino contro Roma (6).
(1) Si veda in Politica
Estera (anno n, n. 8-9): «L’Italia alla vigilia della guerra e il problema
delle materie prime».
Sono riassunti nell'articolo i dati forniti dalla « Commissione per lo studio
dei rifornimenti della Nazione in guerra»: commissione nominata da Mussolini
e composta dei tecnici di tutti i Ministeri direttamente interessati alla
preparazione bellica.
La relazione ultima di questa Commissione in un grosso volume a stampa fu
sottoposta a Mussolini nel gennaio 1940. Essa offriva al Primo Ministro il quadro esatto e completo della potenza italiana.
Soltanto la sua morbosa gelosia per una vittoria, ritenuta già sicura e incontrastata
dei tedeschi, il suo disprezzo per le oneste opinioni dei dei tecnici e la sua
irresistibile tendenza a lasciar sommergere la ragione della passione poterono
indurlo alla guerra.
(2) La pubblicazione del diario di Ciano che negli ultimi mesi sta facendo
il giornale “Il Tempo” , rivela come fosse acuto e profondo negli anni
1939-1940 il contrasto tra la dittatura e la Monarchia sull'argomento della
guerra e dell'alleanza con Berlino.
(3) Il maresciallo gli aveva mandato nel maggio 1940 una lettera sulla
organizzazione dell’Alto Comando in caso di guerra.
(4) Vedi il memoriale difensivo di Galeazzo Ciano al processo di Verona nel
giornale l'Avanti! del 12 settembre 1945.
(5) Vedi Mussolini: Storia di
un anno (Appendici).
(6) Vedi in proposito le rivelazioni della stampa sugli ordini di Hitler
appena giunse in Germania la notizia dei fatti del 25 luglio.
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