NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

giovedì 20 ottobre 2016

La Terza guerra d'indipendenza accelerò il declino dell'Europa

Nell'ottobre 1866 l'Austria dovette cedere parte dei domini nella Penisola.
Lo scontro destabilizzò tutto il continente

Francesco Perfetti
Giovedì 20 ottobre 2016
Quando, il 20 giugno 1866, il Re Vittorio Emanuele II annunciò che l'Italia con «il florido esercito e la formidabile marina» e con «la simpatia dell'Europa» sarebbe entrata in guerra contro l'Austria, il Paese fu percorso da una ondata di entusiasmo quale, forse, non si era mai registrato prima.
Scrisse Edmondo De Amicis: «Gran giorni sono questi per l'Italia! Gran guerra! È una crociata! Dovrebbero andarci tutti alla guerra, tutti, da esserci a milioni a milioni, che i nemici avessero paura, e smettessero persino l'idea di resistere e aprissero le porte delle fortezze». L'esito del conflitto, passato alla storia come Terza guerra d'indipendenza, fu tale da trasformarlo nel meno amato degli scontri militari del Risorgimento. Le due sconfitte, quella di terra, a Custoza, e quella in mare, a Lissa fecero passare in secondo piano il fatto che il Regno d'Italia, a operazioni concluse, avesse ottenuto il Veneto e avesse compiuto, così, un passo decisivo verso la conclusione del processo unitario.
In realtà la terza guerra d'indipendenza fu uno dei capitoli più importanti della storia non solo italiana, ma anche europea, come ben dimostra uno storico militare francese dell'Università di Montpellier, Hubert Heyriès, in un bel volume dal titolo Italia 1866. Storia di una guerra perduta e vinta (Il Mulino, pagg. 352, Euro 25) che ne ricostruisce con finezza di analisi le premesse, le fasi e le conseguenze di lungo periodo in una ottica che non è soltanto quella della storia nazionale italiana. Del resto, già molti decenni or sono, un grande storico, Franco Valsecchi, cresciuto alla scuola di Gioacchino Volpe e di Benedetto Croce, esortava, con una apparente battuta, i suoi colleghi ad abbandonare la tradizione storiografica italocentrica e a studiare «Torino vista dall' Europa e non l'Europa vista da Torino».
Alla vigilia dello scontro militare che coinvolgerà la Prussia, il Regno d'Italia e l'Impero asburgico c'erano sul tappeto almeno tre «questioni». Sullo sfondo c'era, sì, la «questione italiana», che riguardava Roma ma anche, e soprattutto, Venezia: e, in quel momento, il «mito di Venezia», alimentato dagli esuli veneti in Piemonte e Lombardia che parlavano nostalgicamente dell'antica e gloriosa Repubblica di Venezia come del «bastione avanzato dell'Occidente», era particolarmente forte. Ma c'era anche una «questione tedesca» perché la Germania come Stato nazionale ancora non esisteva e la rivalità fra la Prussia di Bismarck e l'Austria di Francesco Giuseppe per il controllo dei Land tedeschi e dei ducati dell' Elba era ormai al limite di rottura. E, come se non bastasse, ancor più sullo sfondo, c'erano le pulsioni delle minoranze nell'Impero austriaco, multietnico, multiconfessionale e multiculturale. Quella che, per gli italiani, sarebbe stata la Terza guerra d'indipendenza fu, dunque, in realtà, una grande guerra europea che, all'inizio, prima che la parola passasse alle armi, si cercò di combattere nelle felpate stanze della diplomazia. Fu una guerra che si iscrive, a pieno titolo, nel fenomeno della cosiddetta «rivoluzione delle nazionalità» iniziata con la «primavera dei popoli» del 1848.
Anche le conseguenze furono notevoli, di portata europea, se non addirittura mondiale dal momento che la storia era, all'epoca, tutta eurocentrica. Quel conflitto, infatti, a parte la cessione del Veneto al Regno d'Italia, gettò le basi delle pretese egemoniche tedesche sancendo il potere della Prussia e suscitando preoccupazioni e inquietudini da parte francese: sotto un certo profilo nacque lì quell' antagonismo franco-tedesco esploso, poi, nel 1870 con la guerra franco-prussiana e destinato ad attraversare, come un sottile filo rosso, tutta la storia successiva almeno fino al 1945.
La guerra del 1866, però, segnò anche l'inizio del declino della potenza asburgica, costretta ad accettare, nel 1867, il «compromesso» che trasformò il vecchio Impero austriaco nella Monarchia austro-ungarica. Non solo: con l'abbandono dei territori italo-tedeschi, Vienna fu costretta a spostare la propria sfera di influenza verso i Balcani entrando in conflitto con la Russia da sempre protettrice degli Slavi. Insomma, a rifletterci bene, quella guerra austro-prussiana, per l'Italia terza guerra d'indipendenza, fece germinare alcuni dei conflitti-latenti che sarebbero stati all' origine della prima guerra mondiale.
Il Regno d'Italia era stato proclamato da pochi anni, il lunedì 17 marzo 1861, e quella del 1866 fu la prima prova militare che esso si trovò a dover affrontare. Il suo esercito era forte, numeroso e organizzato, ma scontava una serie di debolezze strutturali dovute, per un verso, alle modalità con le quali erano state incorporate le truppe dei vecchi Stati preunitari e, per altro verso, alla carenza di una unità di comando per tacere delle rivalità personali fra i generali. Fatto sta che l'esercito italiano non fece, pur essendo in una situazione di forte superiorità numerica, bella prova di sé.
A Custoza, per il mancato coordinamento fra le armate guidate da Alfonso La Marmora e da Enrico Cialdini, fu una vera tragedia. Alcune testimonianze raccontano che La Marmora, mentre le cose si mettevano male, fu visto aggirarsi disperato mormorando: «Che disastro! Che catastrofe! Nemmeno nel 1849!». A Lissa le cose non andarono meglio. La nostra marina, pur essa in situazione di superiorità rispetto a quella austriaca, subì una sconfitta umiliante con due corazzate affondate e centinaia di morti. Il ricordo di Lissa rimase inciso nella memoria degli italiani tant'è che, molti decenni dopo, Gabriele D'Annunzio nella Canzone della gesta d' Oltremare lo avrebbe evocato con alcuni versi divenuti popolari: «Emerge dalle sacre acque di Lissa/ un capo e dalla bocca esangue scaglia:/ Ricordati! Ricordati|! e s'abissa». L'unica significativa vittoria militare la riportò Garibaldi a Bezzecca con il suo Corpo Volontari Italiani.
Le sorti della guerra furono decise dal successo dei prussiani sugli austriaci a Sadowa, ma l'Italia ottenne comunque il Veneto sia pure con una procedura umiliante: l'Austria, infatti, non intendendo cedere territori a uno Stato da essa sconfitto in battaglia, lo cedette al neutrale Napoleone III il quale lo trasferì al Regno d'Italia.
Malgrado la pessima prova delle armi, le aspirazioni italiane furono così assecondate grazie, in primo luogo, al gioco politico internazionale. Sotto questo profilo, la Terza guerra d'indipendenza fu, in un certo senso, una guerra vinta. Ma non solo. Lo fu anche, e soprattutto, perché, come sostiene Heyriès, quella guerra contribuì a sviluppare il senso della «comunità nazionale» che si manifestò attraverso la riorganizzazione delle forze armate e lo sviluppo di un culto degli eroi e di una letteratura popolare destinata a favorire, pedagogicamente, la «solidarietà nazionale» o, se si preferisce, la «nazionalizzazione delle masse» del giovanissimo Stato.

Italia 1866. Storia di una guerra perduta e vinta
Hubert Heyriès
Il Mulino, pagg. 352, Euro 25

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