L’intervento di Alessandro Barbero a un
incontro sull’assedio di Torino del 1706, che si terrà il 13 ottobre. I tanti
segreti, molto ben custoditi, del grande condottiero.
L’identità
di un Paese si regge anche sulla narrazione del passato. In Italia, dal
Risorgimento fino all’ultimo dopoguerra, ha avuto un’eco importante il mito
della dinastia guerriera dei Savoia e della vocazione bellicosa del Piemonte,
dal cui piccolo esercito traeva la sua genealogia l’esercito italiano.
Un mito non
è necessariamente inventato di sana pianta. Alla fine del Seicento
l’ambasciatore veneziano a Torino scriveva: «Il signor Duca di Savoia si può
gloriare di essere l’unico principe d’Italia che tiene vivo nei suoi popoli
l’antico valore della nazione». Gli italiani impoveriti si ricordavano ancora
che nel Rinascimento erano loro a dominare i campi di battaglia, e
consideravano con malinconia la smilitarizzazione dei loro piccoli Stati, con
un’unica eccezione, appunto: il Piemonte sabaudo. Ma perché su questa base si
sviluppasse un mito dal potente impatto propagandistico occorreva un evento
fondante: e quell’evento ebbe luogo quando nell’estate del 1706 gli eserciti del
Re Sole, invaso e devastato il Piemonte, misero l’assedio a Torino.
La
trasformazione dell’assedio in epopea cominciò quando il soldato Pietro Micca
si sacrificò per far saltare in aria una galleria sotterranea invasa dai
francesi. E pazienza se la verità è forse che il sergente furiere, per
risparmiare, gli aveva dato una miccia troppo corta, come suggerì Umberto Eco
in una memorabile Intervista impossibile. Pietro Micca è diventato un eroe di
quella storia d’Italia che una volta si insegnava ai bambini, insieme a Pier
Capponi, Francesco Ferrucci, Balilla e Enrico Toti. La scoperta che il duca
ricompensò la vedova dell’eroe assegnandole come vitalizio una razione di pane
al giorno ha poi autorizzato i soliti pettegolezzi sull’avarizia dei Savoia; ma
i tempi erano duri, e il Paese povero.
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