NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

lunedì 10 maggio 2021

Capitolo XXV: Il 1932: l’anno della svolta e del dolore

 



 

 di Emilio Del Bel Belluz

 Il 1932 iniziò con alcuni combattimenti in Europa, Carnera aveva bisogno di risalire nelle classifiche mondiali, se voleva battersi ancora per il titolo, ma questa volta non era così facile, come non era mai stato nulla facile per Carnera. La sconfitta del 1931 contro Jack Sharkey era stata come un masso piovuto addosso ad un treno in corsa. Carnera era sicuro che avrebbe vinto quell’incontro, ma non fu così. Le due vittorie successive al match di Sharkey non gli avevano dato l’energia sufficiente per recuperare fiducia in se stesso. Carnera non era uomo da piangersi addosso, ma una sconfitta che gli aveva precluso il titolo mondiale, non era poca cosa. Il suo primo appuntamento sul ring lo ebbe il 25 gennaio 1932, in Francia. Il Paese che lo aveva visto per la prima volta sul ring, che lo aveva sempre applaudito, osannato e che, forse, si aspettava che Carnera diventasse francese. La prima tappa era Parigi, gli avevano opposto il campione di Francia, Moise Bouquillon, un pugile che sconfisse per Ko alla seconda ripresa. La vittoria fu un balsamo per Carnera e per il suo allenatore Paul Journée, che assieme a Léon Sée pensava subito al prossimo appuntamento che si sarebbe dovuto fare in Germania. Questo nuovo match venne combattuto il 5 febbraio nella città di Berlino, e anche in questo caso si risolse con la vittoria per Ko alla quinta ripresa, contro Ernst Guehring. I giornali tedeschi parlarono di un Carnera che si era ripreso, e che avrebbe dato dei risultati positivi, sembrava, come scrisse un giornalista, che la sconfitta contro Jack fosse superata, e che avesse lasciato solo un ricordo. Primo aveva allora ventisei anni, era al massimo della sua forma fisica ed era molto migliorato dal punto di vista tecnico. Il suo allenatore aveva compiuto un miracolo su di lui, gli aveva toccato il cuore con delle frasi importanti. Un sera gli disse che il suo Paese lo amava e che il Duce Benito Mussolini si aspettava molto da lui. Ancora gli disse che nessuno era più famoso di lui, che nessuno aveva attorno a sé migliaia di persone che lo inneggiavano, che lo cercavano e che volevano vederlo al più presto sui ring italiani. Questi elogi lo avevano reso più sicuro e più fiducioso nelle sue capacità. Dopo il combattimento contro Ernst Guehring era tornato a Parigi. Nelle prossime settimane avrebbe dovuto combattere in quella città. In quei giorni si era tornato ad allenare nella palestra dove aveva iniziato a combattere per la prima volta, in cui era iniziata la sua avventura. Il suo allenatore lo seguiva con la stessa passione di sempre, cercando di trovare dei pugili che facessero i guanti con lui e l’allenamento proseguiva in modo rigido. Una sera, dopo un duro allenamento, chiese a Paul Journée una giornata di riposo. Costui comprese il motivo di questa richiesta, e gli concesse il permesso. Il mattino successivo il campione raggiungeva il bistrot, perché voleva rivedere Rosalba, che da troppo tempo non l’incontrava, ma la ragazza quando lo vide non gli fece molte feste, anzi, sembrava delusa ed avvilita. Lo servì al tavolo come un qualsiasi cliente e Carnera ci rimase male. Intanto alcune persone si erano avvicinate per salutarlo, e Primo le aveva accolte tutte con un sorriso, che questa volta lasciava trapelare una vena di malinconia. Carnera dal tavolo dove era seduto non si mosse, non si schiodò che per andare a pagare. Quando arrivò alla cassa Rosalba era molto seria, ma quando lui le prese una mano, riuscì a strapparle un sorriso. Il padrone del locale aveva subito capito che doveva lasciarla uscire. Carnera e Rosalba andarono a fare una passeggiata, la ragazza che gli voleva bene gli disse che aveva tanto pensato a lui, ma si aspettava almeno una lettera. Carnera non le disse nulla e l’abbracciò e baciò con passione. Un passante si mise ad osservare questa scena così romantica. Il campione, per farsi perdonare, volle donarle una borsa e una braccialetto, e la ragazza ne fu contenta. In cuor suo comprendeva che la vita di Primo non si sarebbe potuta svolgere in Francia e che per loro non ci sarebbe stato nessuna possibilità di un futuro insieme. Quel giorno lo passarono camminando e rifugiandosi, poi, in una trattoria a mangiare. Non fu facile discorrere tra di loro, perché erano interrotti dalle persone che volevano parlare con il campione e Carnera non si rifiutava di rispondere alle loro domande. Primo disse a Rosalba che avrebbe combattuto a Parigi a fine febbraio. Gli sarebbe piaciuto che potesse essere presente al match, di sicuro sarebbe stata una bella esperienza. La ragazza sorrise e gli prese la mano, si era fatto tardi e nel lasciarlo, aveva capito che non lo avrebbe più rivisto, e così fu. Il 29 febbraio 1932 saliva sul ring di Parigi, vinceva un match molto importante contro il campione d’Europa dei pesi massimi, Pierre Charles. L’incontro finiva ai punti in dieci riprese con la vittoria di Carnera. Primo tornò a combattere il 23 marzo a Londra, dove vinse per Ko alla quarta ripresa contro l’australiano George Cook, e sempre a Londra, il 7 aprile, affrontò il sud africano Don Mc Corkindale e vinse ai punti in dieci riprese. Il campione non era abituato a vincere ai punti, ma nel 1932 ci riuscì due volte con la soddisfazione del suo allenatore che lo aveva spinto a misurare le sue forze. La vita di un pugile che vuole arrivare ad una meta è fatta di tanti sacrifici. Carnera combatteva per se stesso e per la famiglia. Il progetto della sua villa si stava concretizzando, e la mamma lo teneva aggiornato su come proseguivano i lavori. La progettazione della casa era stata commissionata ad uno studio molto importante di Azzano Decimo. Quella casa l’aveva sognata giorno e notte, era il luogo dove avrebbe vissuto con sua moglie e i suoi figli. Il desiderio di farsi una famiglia era molto presente. In cuor suo aveva pensato molto a Rosalba, quella ragazza molto dolce, ma il futuro era molto incerto. Costei era una ragazza che sarebbe piaciuta a sua madre, ma la giovane non avrebbe mai lasciato la Francia e i suoi genitori e questo aveva ostacolato l’amore che il campione sentiva per lei. Tante volte Carnera aveva sognato d’abbracciarla, di stare con lei, ma erano momenti irrealizzabili. Il suo allenatore gli aveva prospettato che sarebbero ritornati in America nei prossimi mesi, stava già prendendo dei contatti molto importanti con un grosso organizzatore. In quel mese d’aprile, Carnera disputò un nuovo incontro sempre a Parigi e questa volta affrontò il campione francese Maurice Griselle. Questo pugile, piuttosto famoso in Francia, aveva vinto il titolo francese dei pesi massimi il 14 febbraio 1932 contro Georges Gardebois. Le sue quotazioni erano quindi molto salite e se avesse vinto gli si prospettava la possibilità di battersi per il titolo europeo. L’incontro venne vinto da Carnera nella distanza delle dieci riprese, cosa assai rara che vincesse per la terza volta in sei match, al decimo round. In quattro mesi aveva combattuto sei volte, non si era mai risparmiato e questo dimostrava la sua tenacia. Dopo quel trionfo, sebbene sulla distanza delle dieci riprese, il suo manager lo rese felice, informandolo che gli aveva trovato la possibilità di battersi in Italia, ancora a Milano. Ritornare in Italia significava per lui respirare l’aria della sua terra, di tutto quel mondo così bello che lo aspettava. Quando seppe la notizia di questo incontro, non gli interessò neppure sapere il nome del suo avversario. La data che avevano stabilito era quella del 15 maggio, e quel mese gli ricordava il mese della Madonna, quando al suo paese si recava assieme alla mamma e ai suoi fratelli a recitare il Santo Rosario davanti a un capitello che era poco distante da casa sua. Era anche l’occasione di ritrovare molti suoi paesani. Aveva sempre considerato Maggio il mese del rosario e del profumo inebriante dei roseti in fiore. Quando era lontano dalla patria gli era capitato, talvolta, di fermarsi a pregare davanti a una immagine della Madonna. La mamma gli aveva insegnato di tenere sempre un santino della Vergine nel portafoglio, perché lo avrebbe aiutato nei momenti duri e difficili. La mamma di Primo era molto devota ai santi e aveva educato i suoi figli al rispetto dei dieci comandamenti. Per lui la Madonna era come sua madre, disposta a fare tutto per la famiglia. Una volta era entrato in una chiesa, in un paese della Francia ed era rimasto a lungo ad ammirare con commozione un quadro raffigurante la Madonna con in braccio il Bambinello. La mamma del campione faticava tutto il giorno, dedicava tutto il suo tempo alla famiglia e a chi le si rivolgeva chiedendole aiuto. Carnera pensò con gioia al 15 maggio, e mentre ne parlava con il suo allenatore gli propose di partire subito per l’Italia. Questa sua idea non poteva essere accolta, la spesa sarebbe stata eccessiva e gli organizzatori non erano disposti a spendere tanto. Paul Journée gli ricordò il manager Carpegna che si era suicidato a Milano. Primo non lo aveva dimenticato, gli sarebbe piaciuto sapere come vivesse la sua famiglia, senza di lui. Carnera tante volte aveva desiderato far visita alla sua tomba. Dalla sua morte erano passati solo quattro anni e sembravano un’ eternità. Paul Journée decise che sarebbero partiti per l’Italia solo qualche giorno prima dell’incontro e aveva preso accordi con una palestra dove il campione si sarebbe allenato. Alcune settimane prima il campione aveva scritto una lettera a forma di articolo che era uscita in un giornale italiano da titolo: “Gli assi parlano alle folle. Carnera si confida”.

 

Gli “assi” parlano alle folle

 

Carnera si confida

 

 

 

“Fra pochi giorni sarò a Milano, nella città che mi ha veduto combattere quando ero ancora un novellino, in fatto di pugilato, quando tutto era per me un problema insolubile rinnovare le scarpe enormi che hanno dato tanto lavoro ai caricaturisti di mezzo mondo e che hanno certamente contribuito ad accrescere la mia notorietà in un periodo in cui ne avevano bisogno. Sarò a Milano per dare la dimostrazione dei progressi realizzati e per sfatare la legge che io nulla abbia fatto per migliorarmi, pago dei doni fattimi da madre natura, che mi ha regalato più di 120 kg. Fra ossa e muscoli, due metri di statura (se lo volete, aggiungete alla misura 4 centimetri) e delle estremità esagerate. Ho molto studiato, durante la mia assenza, e la mia vita, dal giorno nel quale ho incominciato la carriera del pugilatore, non è stata, al contrario di quel che molti possono pensare, tutta cosparsa di rose. Un cruccio mi ha tormentato: quello di aver firmato, inconsciamente una rinunzia alla mia nazionalità. Mi si è bistrattato, per questo, con grande dolore anche della mia buona mamma, anche successivamente, mentre io ero in buona fede credendo che i miei rappresentati si interessassero alla questione, e correvo disperatamente da un centro all’altro delle lontane Americhe per disputare, or qua, or là, dei combattimenti che sollevavano commenti più ostili che favorevoli, che mi procacciavano il benessere, ma non la ricchezza. Quanto chiasso si è fatto intorno al mio nome! Si è stampato perfino che ero stato arrestato per aver travolto con la mia automobile, un passante, e che dovevo essere processato per mancato omicidio! Per conto mio, nulla ho fatto di speciale per mettermi in vista. Che colpa ne ho, se mi si nota, dovunque io vada, e se i cronisti sono dotati di facoltà inventive eccezionali? Sono contento di ritornare in Italia, senza che nessuno possa più mettere in dubbio la mia italianità, quella italianità che avevo dimostrato in tutti i paesi salutando romanamente ogni qual volta mi presentavo sopra un “ring” e modestamente giovando ai connazionali e a quei pugilatori italiani che venivano in America in cerca di fortuna; e spero che mi si giudicherà con benevolenza ora che, combattendo contro campioni di buona o di eccelsa classe, come Paulino Uzcudum, Campolo e Sharkey, ho dato la prova che le mie vittorie su uomini meno celebri, non erano dei volgarissimi trucchi. Recentissimamente, a Parigi, contro Pierre Charles, ritenuto uno dei pesi massimi più scientifici, non ho potuto dare l’esatta misura dei progressi realizzati, perché ero indisposto, ma sono stato lieto ugualmente per aver vinto ai punti… la forza fisica c’è, mi sono detto, e se continuo, in fatto di scienza pugilistica, di questo passo, potrò finalmente tradurre in atto il mio sogno che una volta mi pareva irraggiungibile e quello di dare alla mia Patria un titolo, il titolo di campione mondiale assoluto. Volete sapere adesso, come è andata che ho abbandonato il mestiere del falegname per quello del pugilatore? Nel modo più semplice. Lavoravo come un negro o, se preferite come un italiano all’estero, ma non guadagnavo abbastanza per soddisfare la mia fame, che non era poca ve lo assicuro.

 

Così mi si è consigliato dai compagni di fare il lottatore o il pugilista. Mio padre era a lavorare in Egitto (una volta, specialmente nel Friuli, tutti andavano a cercare il pane quotidiano, se non la fortuna all’estero) ed io gli scrissi facendogli nota la mia aspirazione di iscrivermi ad una società di pugilato e chiedendo il suo assenso. Allora la mia istruzione era molto limitata e la mia grafia peggiore di quella di adesso: scrissi a mio padre così: “Vorrei andare in una società di Bosce” e mio padre, uomo molto religioso, pensò volessi entrare fra i figli di Don Bosco e mi rispose in quel senso, cosicché, per chiarirgli la mia intenzione, gli spedii addirittura una mia fotografia in posa da pugilatore. Il consenso venne; la potenza dei miei muscoli fu notata; ci fu chi volle e seppe sfruttarla, aiutandomi a fare luce e a cambiare la mia posizione. Non sono ricco ancora, ma adesso si fa a gara per offrirmi abiti, biancheria, cappelli, scarpe e perfino motociclette e automobili, che, naturalmente, debbono essere fatte su misura, e che misura! Mentre detto al mio segretario (come le persone celebri, ho anch’io il mio segretario) questi appunti, rievoco il mio primo viaggio a Milano, il mio combattimento con Epifanio Islas, la mia preoccupazione di nascondere, ed era una cosa impossibile, le mie scarpe rotte, ed attendo con ansia di partire…”.

 

Questo articolo che scrisse Primo Carnera fu pubblicato nella Domenica del Corriere il 27 marzo 1932, anno X, era un inserto a un supplemento illustrato del Corriere delle Sera. Appare strano ma credo che sia stata la prima volta che mi sia capitato di trovare un suo articolo, un suo scritto vergato e firmato da Carnera. Uno scritto dove confessava candidamente quali erano i suoi traguardi. Correva l’anno 1932, decimo anno della Rivoluzione fascista. Carnera era molto sincero, nobile il suo animo, come nobile si era sempre dimostrato in tutta la vita. Aveva saputo sempre entrare nel cuore degli italiani, che soffrirono come lui, che andarono a lavorare come emigranti, che sapevano come fosse duro il pane che ci si guadagnava in un posto lontano dalla propria casa. Era così difficile per lui essere lontano da casa, che spesso in Francia si recava alla stazione per sentir partire i treni e con la voglia di ritornare in Italia. Le speranze di una vita facile erano tramontate per sempre. Quante volte guardando il suo fisico poderoso si sarà detto che i pugni l’avrebbero salvato da una vita incolore. Quanta sincerità nei suoi pensieri, nelle tante parole usate, per dire come la vita con lui era stata crudele .

 

Primo seppe tenere il passo con la vita, non lo spaventava quello che gli accadeva, perché il coraggio era una dote che possedeva. Vi era una foto molto grande che apparve in un giornale francese quando cercarono di assalirlo e lui si sbarazzò di cinque persone, solo per difendersi. I giganti non attaccano mai, sono di solito attaccati. Quel giornale francese evidenziava già quello che sarebbe diventato il campione, una persona di grande umanità. A scuola Primo di sicuro aveva sempre difeso i deboli, lottando contro i forti. Nell’articolo, diceva molto chiaramente che lui era un italiano vero. Nessuno poteva mettere in dubbio la sua fede, il suo bene all’Italia. Volle fino in fondo dimostrare quello che lui in effetti era: un uomo vero.

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