NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

giovedì 11 aprile 2019

Io difendo la Monarchia - cap VII - 2


Se Mussolini si esprimeva con tanta insolenza di linguaggio all’indirizzo del Sovrano è evidente che questi non approvava e non apprezzava più l’indirizzo politico del Primo Ministro. Ma poteva in quel momento liberarsene? E con l'appoggio di quale corpo politico? -Se almeno il Senato avesse fatto un solo gesto di allarme se non proprio di opposizione!
Ma qualcuno incalza: « Si poteva per uno scrupolo costituzionale fare arrivare il popolo alla guerra? ». Non si trattava neppure di questo. Mussolini fìngeva di non voler la guerra. Meglio ancora: Mussolini era oscillante ed oscuro: un giorno voleva distruggere la Francia, un giorno voleva salvarla. Una mattina affermava la sua fedeltà all’alleanza con la Germania e la sera dello stesso giorno, al primo annuncio sgradevole, bestemmiava contro la Germania e prometteva che a suo tempo avrebbe saldato anche quel conto. Nell’estate del 1939 era però quasi costantemente incline alla pace. Si legga nel diario Ciano alla data del 9 agosto: (Erano giunte nei giorni precedenti notizie gravi e allarmanti sui preparativi tedeschi da parte dell’ambasciatore a Berlino Attolico e dell’addetto militare generale Marras. Ciano aveva domandato di vedere Ribbentrop per discutere con lui un progetto di Mussolini per una conferenza mondiale della pace). Ciano scrive: « g agosto — Decido di partire domani sera per Salisburgo. Il duce è ansioso di dimostrare ai tedeschi con documenti che in questo momento la guerra sarebbe una follia. La nostra preparazione non è tale da permetterci di essere sicuri della vittoria. Le probabilità sono del cinquanta per cento pensa il duce Fra tre anni saranno dell ottanta per cento ». 
Chi faceva questi calcoli e che fondamento avevano? Ciano va a Salisburgo (n-12 agosto 1939) e apprende che i tedeschi non gradiscono nessuna  proposta di conferenza e nessun'intervento diplomatico da parte nostra.

Essi sono decisi alla guerra e lo dicono apertamente (1). I tedeschi parlano di Danzica e del corridoio, ma in realtà essi vogliono ben altro : essi vogliono la guerra per prendere la rivincita che attendevano da 20 anni. Essi hanno preparato la guerra totale per il dominio dell'Europa e del mondo. Tutte le memorie e le testimonianze dell'epoca concordano su questo punto. Durante la crisi dell'agosto 1939 non si può accusare Mussolini di volere la guerra. Alla fine del mese ripeterà il tentativo dell'anno prima a Monaco, ma questa volta inutilmente.
Il tre settembre riunirà il Consiglio dei Ministri per annunciare solennemente «al popolo italiano che l'Italia non prenderà l'iniziativa di operazioni belliche ».
Sulla condotta di Mussolini nei nove mesi della neutralità dovrebbe pronunciarsi assai più uno studioso o uno specialista di malattie mentali che un cultore di studi storici e politici. Nello stesso giorno egli passa dall'uno all'altro estremo. Vorrebbe la vittoria tedesca, ma già nel primo mese della guerra è geloso dei successi tedeschi in Polonia e vorrebbe che essi si fermassero.

L'accordo tedesco con la Russia lo rende furioso. Vuol conservare la pace, ma odia la parola neutralità perché li ricorda il neutralismo giolittiano e il suo antico interventismo. Detesta la Francia ma vorrebbe che la linea Maginot facesse sanguinare fortemente i tedeschi.

Insomma è un uomo che ha smarrito il suo equilibrio morale e intellettuale: soprattutto ha smarrito la fiducia nel suo destino. Sente che la sua ora sta per passare. 
Egli non agisce sulla base di un piano attentamente preparato e logico in tutte le sue parti, ma obbedisce a impulsi discordanti e molteplici. Cerca di aggrapparsi all’intuizione e all’istinto poiché la ragione degli avvenimenti gli sfugge. Sono questi tra il 1938 e il 1943 gli anni della lucida follia (2). Questo giudizio generale su Mussolini è venuto però maturando lentamente nella coscienza comune, solo dopo l’inizio della guerra. Il suo prestigio era giunto così in alto tra il 1926 e il 1938 che resisteva agli attacchi della voce pubblica. Si aggiunga la scarsità e tendenziosità delle informazioni, il regime di censura e il regime di stampa e si comprenda la difficoltà di demolire Mussolini nei pochi mesi trascorsi fra il settembre 1939 e il giugno 1940. A queste difficoltà interne si aggiunsero le sciagurate vittorie tedesche di Polonia, di Norvegia e di Francia. La forza germanica pareva irresistibile ; gli eserciti e le nazioni crollavano come castelli di carta sotto l’impeto delle panzer divisionen. Molti italiani pensavano che Mussolini avesse avuto ancora una volta ragione nel puntare sul cavallo tedesco. Tutti coloro che guardavano alla guerra con I'esperienza del 1914; e giuravano sull’eccellenza dello Stato Maggiore francese e sul tradizionale valore di quelle truppe; tutti coloro che ricordavano la battaglia della Marna e la rivincita di Joffre e di Gallieni, tutti coloro che avevano visto nei documentari parigini le formidabili difese della Maginot e sapevano che i francesi avevano speso dopo il 1919 alcune centinaia di miliardi per la loro difesa e gli inglesi, a differenza del 1914, avevano predisposto tempestivamente la loro coscrizione obbligatoria e la mobilitazione ed erano rimasti per nove mesi con le armi al piede: tutti trattennero il respiro alla notizia dell’offensiva tedesca il 10 maggio del 1940. Ma già quattro giorni dopo si aveva la trouée Sédan. E poi la penetrazione inesorabile, l'Olanda e il Belgio cadevano; gli inglesi erano respinti al mare, ributtati inermi nella loro isola. Parigi occupata dopo trentaquattro giorni di offensiva; il popolo francese tra lo sbigottimento e il terrore divenuto quasi apatico: il governo in fuga, l'esercito sbandato e, dove era ancora intatto, incapace di entrare in azione: Weygand, ultima speranza
del genio militare gallico, sfiduciato per sè e per gli inglesi (« I tedeschi — egli giudicò — torceranno il collo all'Inghilterra in quindici giorni come ad una gallina »). 

Gli Stati Uniti sembravano allora terribilmente lontani. Gli amici della Francia, della libertà, della democrazia, del pensiero e del genio dell’Occidente offrirono in quei giorni indicibili pene. Ascoltarono i notiziari inglesi con avvilimento e con impotente furore ansiosi di apprendere la notizia di un colpo d’arresto in una battaglia di incontro; poi furono vinti dall’abbattimento e si abbandonarono ad un cupo fatalismo. I pochi fascisti convinti e i molti interessati nella dittatura furono pronti a rialzare la testa: la massa dei creduli, dei deboli, degli incerti tornò a giurare su Mussolini che unico aveva visto e aveva compreso. Tra il venti maggio e il dieci giugno si deve riconoscere che l’opinione pubblica italiana subì una oscillazione violenta che consentì a Mussolini di entrare in guerra contro il parere di tutti i corpi tecnici dello Stato: Stato Maggiore, diplomazia, alta burocrazia, polizia, magistratura, confederazione degli industriali, confederazioni operaie, categorie del commercio e della banca; senza dire della Corte, del Vaticano, del clero. Il gran Consiglio non fu convocato; all'ultimo Consiglio dei Ministri non si parlò di guerra. Solo al momento di alzarsi Mussolini disse col tono consueto: « Questa è l’ultima riunione del Consiglio dei Ministri in condizioni di pace ».

(1) Vedi in Politica Estera (1945, n. 8) un ottimo studio di Viator sull’incontro di Salisburgo.


(2) Nel giornale La Capitale del 13 settembre si legge una deposizione di un ex questore di Roma. Egli afferma che già nel 1942 il Direttore Generale della Polizia Senise, succeduto a Bocchini, lo chiamò a Roma da Milano ove si trovava come ispettore dell’Ocra e gli confidò «che bisognava liquidare Mussolini perché oltre tutto era pazzo. Il Re era informato e approvava ».


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