NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 19 settembre 2017

Io difendo la Monarchia

Un libro importante, del 1945-1946. Ci accompagnerà per un po'. Buona lettura.
Lo staff

La polemica politica non si svolge serena e obiettiva in Italia dopo l’8 settembre 1943. Il territorio invaso e diviso, la catastrofe della sconfitta con la immensa somma dei beni e delle vite perdute, il rifluire lento e doloroso dei prigionieri, la disoccupazione crescente, l’armistizio protratto per oltre due anni, l’impossibilità di una sollecita ricostruzione, hanno reso più aspro e drammatico il periodo di trapasso dalla guerra fascista alla pace che si vuole riconquistare in un ordine democratico nazionale ed universale.
Già la mattina del 26 luglio 1943 i partiti e gli uomini, costretti per venti anni al silenzio, avevano imperiose esigenze morali da far valere contro la funesta dittatura di Mussolini. Oggi, dopo trenta mesi da quei giorni di illusoria e svagata liberazione, cui doveva succedere l’incubo invernale dell’oppressione e del terrore, quelle ragioni, divenute assai più pressanti, contribuiscono a rendere arroventata l’atmosfera e più acre l’odio politico. Il rancore contro la dittatura si è esteso alle classi e agli istituti che con il fascismo dovettero fare i conti e che furono costretti a subire il predominio di parie. Ma intanto molti avvenimenti si sono succeduti, molti partiti hanno consumato il loro involucro idealistico e hanno svelato la loro vera natura, molte campagne di stampa hanno mostrato la loro sostanza artificiosa; certa democrazia «progressiva» interna ed esterna ha messo a nudo il trucco polemico del proprio programma; molti appetiti che addentano le nostre frontiere hanno fatto cadere tante illusioni e han fatto conoscere che nulla è muato nelle leggi fi forza che regolano i rapporti tra i popoli.
E’ venuto quindi il momento di mostrare alcune verità, di fissare alcune responsabilità, di attribuire a ciascuno il suo, di dare a Cesare quel che è di Cesare
La confusione tra Monarchia costituzionale e dittatura totalitaria è, prima che una menzogna demagogica, un non senso e una contraddizione in termini. La Monarchia costituzionale si regge, infatti, sul Parlamento democratico che già il Guizot considerava, nella prima metà del secolo scorso, il più compiuto ed equilibrato dei sistemi politici. Per sua natura essa tende a mediare le esigenze delle varie parti e a garantire l’equilibrio dei poteri dello Stato secondo la vecchia e rispettabile formula di Montesquieu. Non la Monarchia ha voluto superare quella formula, ma, sì, le rivoluzioni contemporanee che hanno accentrato tutti i poteri nella dittatura di un uomo e di un partito.
L’esperienza del capoparte, del duce, del fuehrer, del caudillo, del conducator, non si può conciliare con il monarca costituzionale. Quando Mussolini sente nel 1941, da un inviato di Franco, l’intenzione di restaurare la monarchia in Ispagna egli vi si oppose brutalmente perché la sua esperienza, confrontata con quella di Hitler, gli insegnava che il più forte ostacolo, alla illimitata dittatura, gli veniva dalla tenace, costante opposizione (che questo libro mostra e documenta) della Monarchia costituzionale. D’altra parte non va dimenticato che il 25 luglio fu la Monarchia a rovesciare la dittatura e a far arrestare il dittatore.
I partiti di massa tendono a identificarsi con la totalità nazionale e a riempire con la loro forma la organizzazione giuridica dello Stato. Questa degenerazione e questa perversa follia dei popoli, usciti dal travaglio della prima guerra mondiale, ha offeso l’equilibrio delle classi e dei poteri dello Stato e insieme, ha minato la Monarchia costituzionale. Essa ha tolto le libertà ai popoli, ha chiuso i Parlamenti e ha, insieme, annullati i poteri del Sovrano. È vano parlare delle cose d'Italia tra il 1922 e il 1943 senza aver penetrato questa massiccia realtà.
Nell’ottobre 1922 se la Monarchia fu costretta a fare buon viso al fascismo (tendenzialmente repubblicano) ciò si dovette alla incapacità del Parlamento democratico a costituire un governo saldo e durevole. Da quel momento il Re fece ogni sforzo per assorbire la rivoluzione nella costituzione; ma il fascismo e il suo dittatore fecero uno sforzo ancora maggiore per annullare la costituzione nella rivoluzione e con ciò abolire la Monarchia. Privato del Parlamento, e cioè del potere legislativo da opporre al potere del dittatore, la Monarchia fu rapidamente costretta ad una posizione di rigorosa difesa. I termini di costituzione e di rivoluzione, secondo una memorabile massima di Cavour, non si possono conciliare a lungo perché l’uno elimina l’altro. In Italia l’imbroglio e il bisticcio sono durati ventun anni per la deviata sensibilità politica del popolo, pronto a levare sugli scudi un capoparte cui far coro con clamori di piazza, ma insieme pigro e beffardo, adusato a volgere in ischerno, l’indomani, gli entusiasmi travolgenti della vigilia.
In questo libro si dà conto del lungo conflitto e si descrivono obiettivamente i rapporti tra i due termini di quella che Mussolini ha chiamato, con ribaldo compiacimento, la « Diarchia ».
Alla fine dell’altra guerra venne meno, si legge nella « Storia di Europa » del Fisher, la religione della libertà e la fiducia nel metodo della democrazia parlamentare: si credette necessario ricorrere ai rimedi eroici e alla concentrazione del potere politico nelle inani di un capo per superare le difficoltà delle lunghe discussioni parlamentari. Fu un male non solo italiano, ma europeo ed universale.
Nel rendere conto dei fasti e dei nfastidel fascismo, questo libro accoglie solo i giudizi e le testimonianze degli autori antifascisti italini e stranieri, si appoggia alla autorità del Croce, dei Turati, degli Albertini, degli Amendola, dei Slvatorelli, dei Matthews, dei Fisher. Gli autori del fascismo sono ignorati
Si è voluto con ciò evitare tanto l’invettiva polemica per fare opera costruttiva di dimostrazione e di persuasione. Si spera così di servire assai più dell’interesse dinastico la causa del   paese.   Ci troviamo infatti nella urgente necessita di ricostituire il nostro ordinamento politico e giuridico con il ripristino degli istituti travolti nel 1922. Essi avevano fatto ottima prova dal 1861 al 1918, ma divennero tardi e inoperanti con la immissione dei partiti di massa nella politica e con la conseguente frattura dell'equilibrio dei gruppi nell’antico Parlamento.
I novatori e i sovvertitori si divisero in più schiere ora concorrenti, ora rivali; ma essi furono tutti nemici del vecchio ordine costituzionale. Tutti furono adoratori del sindacalo, del partito, della massa e nemici dell’individuo: tutti esaltarono la forza del numero che riempie lo Stato, lo conquista e lo domina; tutti dissertarono sullo spirito collettivo che regge il mondo moderno, tutti adorarono la rivoluzione continua; tutti scansarono dalla politica il lume della ragione per sostituirvi la fede bruciante di una nuova religione o antireligione.
Se dopo tanti sviamenti polemici vogliamo ritrovare la via dell’ordine, della ragione, della salvezza,dobbiamo scansare gli arsi sentieri delle vecchie e nuove religioni del collettivismo. Nel mito della massa potremo ritrovare molte cose a noi note e per noi caduche, ma non la libertà, non la pace, non l’ordinato progresso, non l’illuminata giustizia, non la legalità, non la perfezione e l'edificazione dello spirito. La libertà procede dalla dialettica e dal giuoco delle parti, non dalla massiccia uniformità del popolo nello Stato.

Nello schieramento attuale dei partiti in Italia, sono fautori di una Monarchia costituzionale quelli che avvertono innanzi tutto l'esigenza della libertà; sono fautori della repubblica quelli che sognano nuove esperienze sociali e sono dominati dal demone rivoluzionario. I primi chiedono il ritorno agli istituti del Risorgimento e affermano che lo Stato si può salvare solo rispettando la sua continuità. I secondi sono pronti alle ignote esperienze dei tumulti di piazza comandati dalle milizie di parte sotto i vessilli rossi o neri della repubblica e del terrore.

È la vecchia strada tradizionale delle repubbliche italiane così felicemente illustrala dal Quinet nelle Rivoluzioni d'Italia: è una strada nella quale si è consumato per secoli il nostro genio e avvilita nella servitù la dignità della Patria.

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