NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 26 settembre 2017

Il libro azzurro sul referendum - VII cap. - 7

DICHIARAZIONI NOTARILI ED ATTESTAZIONI
PIEMONTE 

Repertorio 7238/3875. 

Repubblica Italiana

Deposito di documento.
Quattordici aprile 1953 in Torino nello studio del Notaio Mijno Via Alfieri 19, alle ore diciassette e minuti trenta.
14-IV-1953
Innanzi me Tabacchi dottor Pasquale coadiutore temporaneo dell’avv. Ulrico Mijno Notaio in Torino, iscritto al Collegio Notarile dei Distretti riuniti di Torino-Pinerolo — tale nominato con provvedimento del Consiglio Notarile dei suddetti distretti riuniti in data 19 dicembre 1953;
senza l’assistenza dei testimoni per espressa rinuncia fattane dal signor comparente col mio consenso;
sono comparsi i signori:
1) Ollivero Luigi fu Eugenio nato a Bibiana domiciliato a Torino Via Bellezia 11, avvocato;
2) Rossi Carlo fu Michelangelo nato a Celenza residente a Torino Via Schina 8, generale di corpo d’Armata;
3) Gatti Gesualdo fu Filippo nato a Roma residente a Torino Via Artisti 34, pubblicista;
4) Grand’Ufficiale Taglietti Ettore fu Ecc. Giuseppe;
5) Malchiodi Ercole fu Erminio nato a Bobbio Piacentino domiciliato a Torino Via Viotti 1, avvocato;

della cui personale identità io Notaio sono certo, i quali mi fanno istanza di ricevere in deposito e conservare tra i miei atti allo scopo di poterne rilevare copie autentiche diverse una dichiarazione non intestata redatta su carta da bollo da L. 32 stesa su facciate tre e mezza circa contenente dichiarazione dei firmatari circa il referendum istituzionale del 2 giugno 1946, che i comparenti riconoscono prima d’ora da loro firmata.
Aderendo alla fattami richiesta io Notaio allego al presente atto sotto la lettera « A » il documento sopra indicato, omessane la lettura per dispensa dei Comparenti e da loro con me vidimata.
Il presente atto da me scritto in parte ed in parte da persona di mia fiducia su due facciate e qualche linea di un foglio è stato da me letto ai Signori Comparenti i quali a mia domanda lo dichiarano conforme alla loro volontà e con me lo sottoscrivono alle ore diciotto.
In originale firmati:
Ercole Malchiodi - Gesualdo Gatti - Ettore Taglietti - Luigi Ollivero  Generale di Corpo d’Armata (Ris.) Carlo Rossi - Pasquale Tabacchi (coadiutore).
Allegato A
DICHIARAZIONE
Per intendere come siasi svolta in Torino e in Piemonte la campagna monarchica in occasione del referendum occorre ricordare anzitutto che l’ambiente era stato montato, con ogni espediente più demagogico, contro la Dinastia Sabauda. Uomini che pure avevano lottato per la resistenza, non avevano esitato a far proprii, e ad accreditare fra le masse, odiosi attacchi formulati, contro la Casa Savoia, da giornali della così detta repubblica di Salò. Indubbiamente vi furono episodi di violenza, specie nella periferia di Torino e di altre città per impedire, agli oratori monarchici, di prendere la parola e per allontanare ascoltatoci.
A Torino e nelle principali città del Piemonte, attraverso l’opera dei Comitati di Liberazione, posti di comando erano stati assegnati, all’infuori di qualsiasi designazione popolare, ad elementi che, consapevolmente o inconsapevolmente, erano asserviti alla politica moscovita.
Da ciò lo spiegarsi di molte influenze contrarie all’idea monarchica e il determinarsi in strati della popolazione, della convinzione che la causa della Monarchia fosse perduta a priori.
Il referendum si svolse così in una situazione psicologica tale da escludere la genuina espressione della volontà popolare. In Piemonte e in genere in Alta, Italia, nelle giornate successive alla liberazione, si erano verificati, ad opera di ignoti, parecchi omicidi di innegabile movente politico. Le Autorità di occupazione, se avevano contrastato una rivoluzione economica che ad alcune correnti politiche pareva, secondo le loro speranze, imminente, non si erano però volute impegnare in un’opera, che sarebbe stata agevole, di repressione dei delitti e di tutela dell’ordine pubblico sostanziale. Anzi, in quei tempi in cui l’esigenza della solidarietà europea non si era ancora imposta, le Autorità alleate — fossero o non fossero sempre intellettualmente parlando, all’altezza della situazione — davano a divedere di considerare senza dispiacere il determinarsi, fra di noi, di acerrime lotte interne, tali da togliere al nostro Paese ogni efficienza sul piano internazionale. Le stesse Autorità erano animate dal solo intento di ottenere la nomina di deputati alla Costituente i quali, approvando, qualunque ne fosse la sostanza, il trattato di pace, lo rivestissero di una qualche parvenza di legittimità internazionale. Queste Autorità di occupazione non potevano non sapere, e non tenere presente nella loro condotta, che gli elementi fidi alla Monarchia del Risorgimento, erano anche i più sensibili alla giusta tutela degli interessi morali e storici della Nazione italiana, onde il loro prevalere avrebbe reso più difficile l’accettazione formale, per parte dell’Italia del Trattato di pace.
La tesi che le forze di occupazione fossero contrarie alla permanenza della Monarchia, era stata abilmente Valorizzata. Nel Teatro Vittorio Emanuele di Torino, l’On Ferruccio Parri, fino a poco tempo prima Presidente del Consiglio dei Ministri, affermò appunto durante la campagna per il referendum, che certi Stati, già nemici, avrebbero potuto fare patti migliori all'Italia nell’elaborazione del trattato di pace se il nostro Paese avesse prescelto un regime repubblicano. La convinzione che, per ottenere più eque condizioni di pace, e prima ancora, gli aiuti materiali di cu l’Italia aveva letteralmente bisogno per vivere, fosse conveniente abbandonare l’istituto Monarchico, creò in molte persone un caso di coscienza veramente grave, consistente nel dubbio che il prevalere della Monarchia potesse rendere ancor più penosa la situazione in cui l’Italia si trovava ni 1947. Quando poi si lesse i! Trattato di pace si vide quanto illusoria e fallace fosse la speranza che l’Istituto repubblicano potesse condurre ad un equo trattamento del popolo italiano. Ma ormai il dubbio insinuato nell’animo di molti cittadini aveva prodotto il suo effetto.
Potrebbe aggiungersi, a spiegare sinteticamente questa deformazione della volontà popolare, quale indubbiamente deve ravvisarsi nei risultati del referendum, che, anche senza esplicite pressioni, un plebiscito è sempre conforme alle vere o supposte intenzioni di chi occupa il territorio in cui avviene la consultazione popolare.
Per queste ragioni noi riteniamo che il referendum del 2 giugno 1946 non abbia espresso la volontà popolare.
Torino, 14 aprile 1953.
In originale firmati:
Ercole Malchiodi - Gesualdo Gatti - Luigi Ollivero - Ettore Taglietti - Generale di Corpo d’Armata Ris.) Carlo Rossi.

Registrato a Torino il 24 aprile 1953 al N. 21399 con L. 651.
Copia conforme all’originale firmato in cadun foglio a sensi di legge.
Torino, 27 aprile 1953.
Pasquale Tabacchi, coadiutore

Torino, 27 aprile 1953

Via della Consolata N. 8
All’Unione Monarchica Italiana - Torino.
Ho preso visione della dichiarazione notarile relativa al «Referendum » istituzionale del 2 giugno 1946, al N. di repertorio 7238/3875 in data 14 aprile 1953, registrata a Torino il 24 aprile al N. 21399.
Concordo pienamente con quanto in essa è detto e desidero inviare la mia adesione, dolente che 1 assenza da dorino mi abbia impedito di firmare contemporaneamente agli altri amici Avv. Ercole Mal eh iodi, S. E. il Generale Carlo Rossi, Maggiore Gesualdo Gatti, S. E. Ettore Taglietti e Avv. Luigi Ollivero. 
Cordiali saluti.

Dev.mo Paolo Bodo

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