NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 2 settembre 2016

Il libro azzurro sul referendum - III cap. 2-3



Procedura eccezionale per i decreti L. luogotenenziali:  (D. L. L. n. 58 in data 1.2.1945)

Il DLL 1 febbraio 1945  “nuove norme sull’emanazione, promulgazione e pubblicazione dei decreti luogotenenziali e di altri provvedimenti mantiene una procedura eccezionale, relativa alla loro emanazione; all’art.1 è stato stabilito che rimane ferma fino alla data         da fissarsi dal Presidente del
Consiglio, la sospensione         temporanea delle norme che richiedono per l’emanazione dei
Decreti luogotenenziali ed altri provvedimenti il parere del Consiglio di Stato e di altri organi consultivi e tecnici.



Esame sulla legittimità del D.L.L. n. 51 in data 25 giugno 1944

L'origine di tutti i mali di cui soffre l'Italia nel suo assetto costituzionale e politico si deve a quel D.L.L. 25 giugno, 1944 n. 151 che i governanti del tempo imposero al Luogotenente del Re.

La legittimazione dei decreto n. 151 si credette di poterla fondare sulla «necessità ed urgenza per causa di guerra». Ma la necessità urgente che, secondo gran parte della dottrina, può essere assunta a fonte di produzione giuridica, era stata regolata e limitata nell'ordinamento, costituzionale dello Stato italiano, dell'art. 18 della legge 19 gennaio 1939 n. 129. Questo articolo, richiamato, per giunta, espressamente nel preambolo del decreto facoltizzava, è vero, il governo ad emanare decreti-legge senza l'intervento delle commissioni legislative del parlamento, quando si versasse in istato di necessità per causa di guerra, ma limitatamente alle materie non demandate alla Camera e al Senato in assemblee plenarie.

Ora, fra le materie demandate alle assemblee plenarie della camera e del senato e per le quali non era consentito il decreto legge, prime erano annoverate precisamente quelle aventi carattere costituzionale, sicché proprio dall'art. 18 della legge 1939 veniva espressamente negata al governo la facoltà di emanare il decreto legge 1944. In altri termini, il governo nell'emanare il decreto legge 1944 per l'assemblea costituente, richiamava un testo legislativo di carattere costituzionale che, viceversa, è proprio quello che escludeva nel governo la facoltà di cui si serviva.

Né questa esclusione può ritenersi attenuata dalla nonna che consentiva eccezionalmente la estensione della procedura per commissioni legislative anche per le materie per le quali si esigeva la procedura delle assemblee plenarie, giacché il richiamo puro e semplice all'art. 18 della legge 1939, fatto nelle premesse del decreto-legge 1944, non autorizzava a ritenere realizzabile l'estensione di cui sopra, presupponendo essa un rapporto non più configurabile fra la posizione costituzionale del Capo del Governo d'allora e quella del parlamento.

Non basta. Il decreto istitutivo dell'assemblea costituente conteneva una norma alla quale non si poteva certo dare il valore di una clausola di stile. Diceva l'art. 6 : «Il presente decreto sarà presentato alle assemblee legislative per la conversione in legge». Dunque, la legittimità del decreto legge era sottoposta alla condizione della conversione in legge da parte delle assemblee legislative. Se non che queste assemblee venivano soppresse proprio dallo stesso decreto che poneva la sua legittimazione nell'intervento di esse, il che vuol dire che, mentre si poneva la condizione, si abrogavano gli organi che avrebbero dovuto provvedere al suo verificarsi, e quindi si toglieva con ciò lo stesso fondamento giuridico invocato per la legittimazione del decreto legge che si emanava...

Ma l'arbitrio doveva continuare più sprezzante per il corpo elettorale italiano, più insolente verso tutto il paese, più oltraggioso per i principi elementari di qualsiasi insegnamento giuridico.

Eletta l'assemblea costituente prevista dal decreto-legge del 25 giugno 1944 ad opera di un governo formato nella quasi totalità da ministri repubblicani, questa assemblea non si peritava di violare, con supremo spregio dei limiti posti ai suoi poteri l'ordinamento costituzionale provvisorio, in base al quale la volontà del corpo elettorale si era formata all'atto della elezione, vale a dire il D.L. 16 marzo 1946.

Si ritenga  a l'assemblea costituente un organo rappresenta tivo straordinario dello Stato con la competenza stabilita nella legislazione preesistente; si qualifichi l'assemblea stessa organo sovrano con pienezza di poteri, certo si è che, anche in quest'ultima ipotesi, la pienezza dei poteri non può essere assoluta, ma deve mantenersi entro i confini del mandato conferito dal corpo elettorale, vale a dire dal popolo, da cui deriva la sovranità giacché, se è vero che la sovranità, secondo l'insegnamento della scuola giuridica, appartiene allo Stato che ne è il titolare, è anche vero che la fonte da cui il diritto dello Stato, cioè la sovranità, proviene sta nella coscienza del popolo, considerato come un tutto giuridicamente organico. Ora, la costituzione provvisoria, in base alla quale il corpo elettorale procedeva alla designazione dell'assemblea costituente, fissava lo scioglimento di diritto dell'assemblea stessa decorso comunque l'ottavo mese dalla sua prima riunione, salva una sola proroga del termine per non più di quattro mesi.

Quando l'assemblea ha approvato la costituzione, il termine complessivo di un anno dalla sua prima riunione era trascorso e l'assemblea, giuridicamente sciolta, rimaneva una mera assemblea di fatto, priva di poteri costituzionali, secondo l'ordinamento giuridico che ne aveva prestabilito la competenza e il funzionamento e secondo la portata del voto espresso dal corpo elettorale, il quale non poteva aver dato poteri all'organo eletto oltre i limiti da essa conosciuti o molto meno per un tempo indeterminato, in contrasto con i termini prefissati dalla costituzione provvisoria con carattere perentorio. La costituzione italiana è così un atto di assunzione dispotica di poteri da parte di una assemblea che non era più legittimata a deliberare non essendo più giuridicamente in vita come assemblea costituente.

Vi era un solo rimedio: sottoporre, come era avvenuto in Francia, alla ratifica del corpo elettorale la costituzione arbitrariamente deliberata, ma i governanti del tempo non vollero, o perché non ebbero la coscienza della responsabilità assunta o alla consapevolezza di questa responsabilità sovrastò la faziosità o la paura di una ribellione del paese alla truffa operata.

Ma a questa ratifica bisognerà venire. Non questo o quell'articolo della costituzione del 1947 dovrà essere revisionato, ma tutta intera la costituzione dovrà essere sottoposta al giudizio diretto del popolo, se si vuole che l'autorità di questa legge fondamentale dello Stato non sia inficiata ed essa sia invocata dal popolo come carta legittima dei suoi diritti e dei suoi doveri.

E sarà questa la via più semplice e più sicura per mettere in grado il popolo italiano dì pronunciarsi anche in ordine alla questione istituzionale. La quale non è stata affatto risolta dal referendum del 1946. Persino la proclamazione formale del risultato del referendum da parte della Cassazione a sensi dell'art. 17 del decreto-legge 23 aprile 1946 n. 219 sul referendum non è senza vizi. Ma il momento in cui il referendum fu indetto, le forme che si predisposero, i modi in cui si svolse, le limitazioni che si attuarono, le imposizioni che si subirono, il clima politico che dominò in quell'occasione, tutto impone la rinnovazione di una consultazione popolare che possa eliminare dubbi sulla legittimità della repubblica e possa assicurare allo Stato, per tutti gli italiani, la forza e l'autorità di un regime onestamente voluto dalla maggioranza del popolo.

La Francia, dopo la sconfitta di Sedan nel 1870 aspettò oltre quattro anni prima di darsi un nuovo ordinamento costituzionale.

Le tre leggi costituzionali relative all'organizzazione del Senato, all'organizzazione dei poteri pubblici e a quella dei rapporti fra i poteri pubblici portano rispettivamente la data del 24 febbraio, del 25 e del 16 luglio 1875.

Ma la Francia, in quel tempo, ebbe la fortuna di essere guidata da un uomo come Adolfo Thiers, il quale seppe opporsi coraggiosamente alle improvvisazioni e richiamare tutti sui pericoli di soluzioni che avrebbero risentito troppo delle passioni dell'ora.
L'Italia, invece, nel 1944 non ha avuto al governo del paese uomini che fossero all'altezza del loro compito; soprattutto non ha avuto al governo uomini politici sereni e giuristi degni dì questo nome. Ed è avvenuta così l'instaurazione di una repubblica non sentita e di una costituzione non rispondente alle esigenze del paese.

Prof. G. M. DE FRANCESCO
Ordinario di diritto amministrativo - Rettore dell'Università di Milano

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