Procedura eccezionale per i
decreti L. luogotenenziali: (D. L. L. n.
58 in data 1.2.1945)
Il DLL 1 febbraio 1945 “nuove norme sull’emanazione, promulgazione
e pubblicazione dei decreti luogotenenziali e di altri provvedimenti mantiene
una procedura eccezionale, relativa alla loro emanazione; all’art.1 è stato
stabilito che rimane ferma fino alla data da
fissarsi dal Presidente del
Consiglio, la sospensione temporanea delle norme che richiedono
per l’emanazione dei
Decreti luogotenenziali ed altri provvedimenti il parere
del Consiglio di Stato e di altri organi consultivi e tecnici.
Esame sulla legittimità del D.L.L. n. 51 in data 25
giugno 1944
L'origine di tutti i mali di cui soffre l'Italia nel suo
assetto costituzionale e politico si deve a quel D.L.L. 25 giugno, 1944 n. 151
che i governanti del tempo imposero al Luogotenente del Re.
La legittimazione dei decreto n. 151 si credette di
poterla fondare sulla «necessità ed urgenza per causa di guerra». Ma la
necessità urgente che, secondo gran parte della dottrina, può essere assunta a
fonte di produzione giuridica, era stata regolata e limitata nell'ordinamento,
costituzionale dello Stato italiano, dell'art. 18 della legge 19 gennaio 1939
n. 129. Questo articolo, richiamato, per giunta, espressamente nel preambolo
del decreto facoltizzava, è vero, il governo ad emanare decreti-legge senza
l'intervento delle commissioni legislative del parlamento, quando si versasse
in istato di necessità per causa di guerra, ma limitatamente alle materie non
demandate alla Camera e al Senato in assemblee plenarie.
Ora, fra le materie demandate alle assemblee plenarie
della camera e del senato e per le quali non era consentito il decreto legge,
prime erano annoverate precisamente quelle aventi carattere costituzionale,
sicché proprio dall'art. 18 della legge 1939 veniva espressamente negata al
governo la facoltà di emanare il decreto legge 1944. In altri termini, il
governo nell'emanare il decreto legge 1944 per l'assemblea costituente,
richiamava un testo legislativo di carattere costituzionale che, viceversa, è
proprio quello che escludeva nel governo la facoltà di cui si serviva.
Né questa esclusione può ritenersi attenuata dalla nonna
che consentiva eccezionalmente la estensione della procedura per commissioni
legislative anche per le materie per le quali si esigeva la procedura delle
assemblee plenarie, giacché il richiamo puro e semplice all'art. 18 della legge
1939, fatto nelle premesse del decreto-legge 1944, non autorizzava a ritenere
realizzabile l'estensione di cui sopra, presupponendo essa un rapporto non più
configurabile fra la posizione costituzionale del Capo del Governo d'allora e
quella del parlamento.
Non basta. Il decreto istitutivo dell'assemblea
costituente conteneva una norma alla quale non si poteva certo dare il valore
di una clausola di stile. Diceva l'art. 6 : «Il presente decreto sarà
presentato alle assemblee legislative per la conversione in legge». Dunque, la
legittimità del decreto legge era sottoposta alla condizione della conversione
in legge da parte delle assemblee legislative. Se non che queste assemblee
venivano soppresse proprio dallo stesso decreto che poneva la sua
legittimazione nell'intervento di esse, il che vuol dire che, mentre si poneva
la condizione, si abrogavano gli organi che avrebbero dovuto provvedere al suo
verificarsi, e quindi si toglieva con ciò lo stesso fondamento giuridico
invocato per la legittimazione del decreto legge che si emanava...
Ma l'arbitrio doveva continuare più sprezzante per il
corpo elettorale italiano, più insolente verso tutto il paese, più oltraggioso
per i principi elementari di qualsiasi insegnamento giuridico.
Eletta l'assemblea costituente prevista dal decreto-legge
del 25 giugno 1944 ad opera di un governo formato nella quasi totalità da ministri
repubblicani, questa assemblea non si peritava di violare, con supremo spregio
dei limiti posti ai suoi poteri l'ordinamento costituzionale provvisorio, in
base al quale la volontà del corpo elettorale si era formata all'atto della
elezione, vale a dire il D.L. 16 marzo 1946.
Si ritenga a
l'assemblea costituente un organo rappresenta tivo straordinario dello Stato
con la competenza stabilita nella legislazione preesistente; si qualifichi
l'assemblea stessa organo sovrano con pienezza di poteri, certo si è che, anche
in quest'ultima ipotesi, la pienezza dei poteri non può essere assoluta, ma
deve mantenersi entro i confini del mandato conferito dal corpo elettorale,
vale a dire dal popolo, da cui deriva la sovranità giacché, se è vero che la
sovranità, secondo l'insegnamento della scuola giuridica, appartiene allo Stato
che ne è il titolare, è anche vero che la fonte da cui il diritto dello Stato,
cioè la sovranità, proviene sta nella coscienza del popolo, considerato come un
tutto giuridicamente organico. Ora, la costituzione provvisoria, in base alla
quale il corpo elettorale procedeva alla designazione dell'assemblea
costituente, fissava lo scioglimento di diritto dell'assemblea stessa decorso
comunque l'ottavo mese dalla sua prima riunione, salva una sola proroga del
termine per non più di quattro mesi.
Quando l'assemblea ha approvato la costituzione, il
termine complessivo di un anno dalla sua prima riunione era trascorso e
l'assemblea, giuridicamente sciolta, rimaneva una mera assemblea di fatto, priva
di poteri costituzionali, secondo l'ordinamento giuridico che ne aveva
prestabilito la competenza e il funzionamento e secondo la portata del voto
espresso dal corpo elettorale, il quale non poteva aver dato poteri all'organo
eletto oltre i limiti da essa conosciuti o molto meno per un tempo
indeterminato, in contrasto con i termini prefissati dalla costituzione
provvisoria con carattere perentorio. La costituzione italiana è così un atto
di assunzione dispotica di poteri da parte di una assemblea che non era più
legittimata a deliberare non essendo più giuridicamente in vita come assemblea
costituente.
Vi era un solo rimedio: sottoporre, come era avvenuto in
Francia, alla ratifica del corpo elettorale la costituzione arbitrariamente
deliberata, ma i governanti del tempo non vollero, o perché non ebbero la
coscienza della responsabilità assunta o alla consapevolezza di questa
responsabilità sovrastò la faziosità o la paura di una ribellione del paese
alla truffa operata.
Ma a questa ratifica bisognerà venire. Non questo o
quell'articolo della costituzione del 1947 dovrà essere revisionato, ma tutta
intera la costituzione dovrà essere sottoposta al giudizio diretto del popolo,
se si vuole che l'autorità di questa legge fondamentale dello Stato non sia inficiata
ed essa sia invocata dal popolo come carta legittima dei suoi diritti e dei
suoi doveri.
E sarà questa la via più semplice e più sicura per
mettere in grado il popolo italiano dì pronunciarsi anche in ordine alla
questione istituzionale. La quale non è stata affatto risolta dal referendum
del 1946. Persino la proclamazione formale del risultato del referendum da
parte della Cassazione a sensi dell'art. 17 del decreto-legge 23 aprile 1946 n.
219 sul referendum non è senza vizi. Ma il momento in cui il referendum fu
indetto, le forme che si predisposero, i modi in cui si svolse, le limitazioni
che si attuarono, le imposizioni che si subirono, il clima politico che dominò
in quell'occasione, tutto impone la rinnovazione di una consultazione popolare
che possa eliminare dubbi sulla legittimità della repubblica e possa assicurare
allo Stato, per tutti gli italiani, la forza e l'autorità di un regime
onestamente voluto dalla maggioranza del popolo.
La Francia, dopo la sconfitta di Sedan nel 1870 aspettò oltre
quattro anni prima di darsi un nuovo ordinamento costituzionale.
Le tre leggi costituzionali relative all'organizzazione
del Senato, all'organizzazione dei poteri pubblici e a quella dei rapporti fra
i poteri pubblici portano rispettivamente la data del 24 febbraio, del 25 e del
16 luglio 1875.
Ma la Francia, in quel tempo, ebbe la fortuna di essere
guidata da un uomo come Adolfo Thiers, il quale seppe opporsi coraggiosamente
alle improvvisazioni e richiamare tutti sui pericoli di soluzioni che avrebbero
risentito troppo delle passioni dell'ora.
L'Italia, invece, nel 1944 non ha avuto al governo del
paese uomini che fossero all'altezza del loro compito; soprattutto non ha avuto
al governo uomini politici sereni e giuristi degni dì questo nome. Ed è
avvenuta così l'instaurazione di una repubblica non sentita e di una
costituzione non rispondente alle esigenze del paese.
Prof. G. M. DE
FRANCESCO
Ordinario di diritto amministrativo - Rettore dell'Università di Milano
Nessun commento:
Posta un commento