NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 23 luglio 2016

Integrazione: un pericoloso confronto tra comunità

di Salvatore Sfrecola

Siamo alla “guerra civile”. In Francia, naturalmente, come si legge sui giornali, anche italiani, da La Repubblica a Il sole 24 ore, dopo la strage orribile di Nizza, una ferita profonda, difficile da rimarginare, non soltanto nel cuore dei francesi. E non  perché fra i morti molti sono dei bambini, morti in un modo crudele mentre il terrore s’impadroniva di genitori, nonni ed amici convenuti sul famoso lungomare nizzardo, laPromenade des anglais, per assistere ad uno spettacolo che prende grandi e piccini, una selezione di fuochi artificiali per festeggiare la Repubblica francese nel giorno che ricorda il 14 luglio 1789, la presa della Bastiglia e l’inizio della rivoluzione, il passaggio dall’ancient regime all’era dei diritti individuali e collettivi al grido diLiberté, Egalité, Fraternité.
A Nizza molti hanno aperto gli occhi su una realtà che sembra difficile da interpretare e da definire se non come “guerra civile” in Francia. Come fa Enrico Letta, che sulle rive de La Senna ha avviato una stagione di insegnamento e di studio alla guida del prestigioso Jacques Delors Institut – NOTRE EUROPE, think tank fondato dall’ex Presidente della Commissione Europea Jacques Delors, con sede anche a Berlino. “Guerra civile”, un’immagine, ha scritto su Il sole-24 ore del 16 luglio Vittorio Emanuele Parsi, Professore di Relazioni Internazionali nella facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, ricorrente “in molti commenti ed evoca lo spettro che possa ridursi lo spazio della tolleranza reciproca all’interno delle nostre società”. Gli fa eco lo stesso giorno su Il Fatto quotidianoJean-David Cattin, dirigente di Generation Identitarie, per il quale “l’immigrazione è la causa di tutto, fermiamola”. Perché l’integrazione “è una balla”. Parole forti, che vanno in senso opposto a quanto auspicato da molti in Italia. Cattin chiede di chiudere le moschee radicali che a Nizza, dice, “sono legate ai Fratelli musulmani, lo stesso movimento che in Egitto è fuorilegge”. Ed osserva, alla domanda del perché ad attaccare sono francesi di seconda o terza generazione, che “la situazioni della vecchia immigrazione è grave come per chi arriva ora. Non ci sono generazioni integrate né in Francia né in Europa. Anche chi è nato qui, pure di terza generazione, non si sente francese. Sono più legati ad altri paesi piuttosto che alla Francia. Non è una cosa nuova”. Né imprevedibile.
Del resto, ricorda Bernardo Valli su La Repubblica del 16 luglio, Patrick Calvar, Capo dei Servizi segreti interni (DGSI) ha dichiarato di recente dinanzi alla Commissione di inchiesta parlamentare sugli eventi del 13 novembre a Parigi (la strage del Bataclan), aveva previsto, dinanzi ad ulteriori attentati, “un confronto tra comunità”. A sua conoscenza, riferisce il giornale, “alcuni gruppi (di estrema destra) erano pronti a rispondere al terrorismo islamista con un’identica violenza rivolta verso la comunità musulmana”.
Lo abbiamo scritto anche noi più volte. Gli islamici mantengono la loro cultura e le loro tradizioni, sono legati alle loro radici che vivono con orgoglio all’interno di ambienti nei quali è difficile l’integrazione che probabilmente neppure cercano, convinti, come sono, della superiorità dell’insegnamento del Corano, della moralità delle loro donne, che non mostrano le chiome corvine che attirano gli uomini, che occultano i segni della femminilità che tanto, invece, ostentano le occidentali, espressione di una società corrotta, fatta di apparenze, in un tripudio di sesso, anche quando ad essere pubblicizzate sono le scarpe o un rossetto per le labbra.
Questo sentirsi puri in una società che li emargina rafforza negli immigrati e nei “nuovi” francesi l’orgoglio delle loro radici e genera ribellione fino all’estremo della partecipazione a progetti che possono esplodere in atti terroristici, giustificati se non stimolati dall’insegnamento di Iman fuori controllo che la cui predicazione infiamma i cuori ed obnubila le menti.
Era prevedibile che accadesse in Francia. È possibile che accada altrove in Europa, anche in Italia, in una società dal pensiero debole che ha da tempo allentato i legami con la propria storia e, conseguentemente, il senso della propria identità.
L’integrazione presuppone, come ha spiegato Giuseppe Valditara scrivendo dell’immigrazione nell’antica Roma, due regole essenziali, il rispetto delle regole della società che accoglie e, in qualche misura, la condivisione della sua storia e delle prospettive che essa pone a se stessa in coerenza con le proprie radici culturali. Integrarsi significa, in pratica, abdicare, almeno in parte, alle abitudini della società di provenienza per non rimanere isolati. E questo i musulmani non sono disposti a farlo, come dimostrano nei rapporti con le loro donne, costrette a sottostare ad usanze non compatibili con le libertà dell’Occidente, e con la religione cristiana della quale spesso offendono e distruggono i simboli. Infatti, rimangono ancorati alle loro credenze per cui, sempre più isolati, covano la ribellione contro l’Occidente ricco e corrotto. Una condizione nella quale è facile che maturino ribellioni, come quella che ha guidato chi era al volante del camion che ha fatto strage di pacifici turisti in gioiosa ammirazione dei fuochi artificiali sul lungomare di Nizza. Non basta dire “un folle”, né analizzare se affiliato e guidato dallo stato islamico in guerra con l’Occidente. È obiettivamente un nostro nemico che, solo, comandato o internet dipendente ha maturato l’idea di farci del male. Questo conta e questo deve indurci a prevenirlo e combatterlo. Né ci deve sfuggire che quel “combattente” è obiettivamente un soldato di un esercito che in proprio o per conto di poteri neppure tanto occulti sta conducendo una guerra che va definita senza mezzi termini “terza guerra mondiale”, una guerra combattuta non con eserciti contrapposti ma con azioni terroristiche che stanno destabilizzando gli amici dell’Occidente, gli Stati islamici che si sono allontanati dall’estremismo jhadista per cercare una dimensione democratica e civile nel contesto difficile di popoli per troppo tempo governati da satrapi violenti e rissosi in contesti economici che non hanno distribuito ricchezza, anche quando le condizioni locali avrebbero consentito migliori condizioni di vita. Queste masse diseredate sono facilmente preda della violenza, non riescono a concepire un rapporto con gli altri Stati e con l’Occidente che non sia di contrapposizione culturale.
Che sia una guerra fondata sulla contrapposizione di interessi economici lo dimostrano gli effetti sull’economia, in particolare turistica, dei paesi dove più crudele si è espressa l’azione terroristica, dalla Tunisia all’Egitto, alla Turchia, le cui economie tanto hanno dovuto negli anni scorsi alla presenza di vacanzieri. Chi visiterà quest’anno le belle spiagge di Sharm Ed Sheik, di Hammamet o di Antalya, i villaggi o gli splendidi hotel della compagnie internazionali?
Una guerra, dunque, fatta di ricatti e di attentati, una sorta di Spectre, che manovra immense risorse finanziarie, solo in parte provenienti dal petrolio venduto fuori dai circuiti legali.
19 luglio 2016

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