di Emilio Del Bel Belluz
Alla morte del sovrano, avvenuta il 18 marzo 1983, avevo 23 anni, e per me fu uno dei più duri colpi che la vita mi potesse infliggere.
Nei giorni antecedenti avevo seguito con mota attenzione ciò che i giornali scrivevano della malattia che aveva colpito il Re e del suo desiderio di poter morire sotto il cielo dove era nato. La classe politica, eccetto quella di destra e Marco Pannella che disse che sarebbe andato al confine a ricevere il Re, si dimostrò compatta nel negare che il suo ultimo desiderio si avverasse. Pur non condividendo le idee politiche di Pannella non posso fare a meno di elogiarlo per le posizioni che prese a favore del Re malato, come pure per la battaglia che intraprese a favore di un altro grande galantuomo che fu Enzo Tortora.
Ora i nostri politici al governo hanno posizioni molto diverse, infatti sono pronti ad accogliere qualsiasi straniero che arrivi in Italia permettendo loro di godere degli stessi diritti del popolo italiano. Allora il Re d’Italia spirò in esilio a Ginevra in Svizzera curato da una infermiera svizzera.
Ho sperato che nella stanza dove morì il sovrano ci fosse stato almeno il crocefisso, dove egli potesse volgere lo sguardo negli ultimi istanti della Sua vita. Ogni volta che vado a trovare una persona ammalata, osservo che ci sia una immagine sacra e il crocifisso. In questo modo ho la speranza che la persona soffra meno perché anche la morte è più dolce davanti al Cristo, a cui abbiamo rivolto le nostre ultime suppliche. Lessi che il Re mentre stava viaggiando in quell’aereo che lo avrebbe portato in esilio aveva tanta malinconia nel cuore che si augurava che l’aero cadesse portando fine ai suoi giorni. Era un Re che sentiva nel cuore la morte come unica via d’uscita. All’atto della partenza per l’esilio, il 13 giugno 1946, il Re si rivolgeva agli italiani :” “ A tutti coloro che ancora conservano fedeltà alla Monarchia, a tutti coloro il cui animo si ribella all’ingiustizia, io ricordo il mio esempio, e rivolgo l’esortazione a volere evitare l’acuirsi di dissensi che minaccerebbero l’unità del paese, frutto della fede e del sacrificio dei nostri padri, e potrebbero rendere più gravi le condizioni del trattato di pace. Con animo colmo di dolore ma con la serena coscienza di aver compiuto ogni sforzo per adempiere ai miei doveri, io lascio la mia terra.
Si considerino sciolti dal giuramento di fedeltà al Re, non da quello verso la Patria, coloro che lo hanno prestato e che vi hanno tenuto fede attraverso tante durissime prove. Rivolgo il mio pensiero a quanti sono caduti nel nome d’Italia e il mio saluto a tutti gli Italiani. Qualunque sorte attenda il mio Paese, esso potrà sempre contare su di me come sul più devoto dei suoi figli. Viva L’Italia. Roma 13 giugno 1946 Umberto .
Da quella data sono passati settant’ anni. Quanti ricordano la figura di questo Re buono? Se fosse stato un qualunque personaggio politico italiano di questa repubblica, di sicuro sarebbe stato ricordato con un film. Quanto bello sarebbe il poter fare un film sulla sua figura e raccontare delle verità storiche cancellate volutamente. Per un attimo penso al film sui Cristeros, e all’altro film – Il Segreto d’Italia – sulla guerra civile, che ebbe come interprete Romina Power che non hanno avuto nessuna pubblicità in televisione e la possibilità di essere divulgati, salvo qualche rara eccezione.
Credo fermamente che un film sulla vita di Re Umberto II non sarebbe accolto, perché esiste sola la voce dei vincitori.
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