di Guido Rocca
Elena di Savoia è morta d'improvviso quindici giorni dopo che i giornali italiani e del
mondo avevano pubblicato la notizia di un improvviso peggioramento del suo
stato di salute. Allora, dopo il primo
allarme, si diffusero voci tranquillizzanti, e le stesse interviste concesse da
Umberto ai giornalisti italiani non sembrarono nascondere la preoccupazione per
una tragedia prossima. Il medico curante della vecchia regina, da parte mia,
pareva abbastanza ottimista sugli sviluppi delle cure che le stava praticando.
Poco per volta si stabilì la convinzione che effettivamente la riunione di
tutti i pirincipi Savoia intorno alla madre dipendeva da questioni strettamente
familiari anzi, economiche - come voleva la prima versione ufficiale
dell'avvenimento.
Al rientro dei giornalisti in Italia fece seguito la partenza
da Montpellier della principessa Giovanna che ritornava a Madrid, di Maria di
Borbone che partì per Cannes con l'Alfa Romeo di Umberto, infine di Umberto stesso.
La Regina Elena restò sola, come ormai le accadeva per buona parte, dell'anno
insieme a due sorelle, Xenia e la principessa di Battemberg, che però, per
mancanza di spazio, alloggiavano all'albergo Metropol giù in città.
Molti erano ormai
propensi a considerare la notizia della scorsa settimana come un falso
allarme e immaginavano già la vecchia Regina che se ne ritornava a pescare gli
sgombri e i cefali insieme al dottor Lamarque, o a passeggio nel giardino che
circonda il Mas du Ruel con la sua dama, di compagnia, la contessa Jaccarino o
le sorelle. Invece venerdì scorso, improvvisa, giunse la notizia della sua
morte.
Ascoltando il primo laconico annuncio primo radio: «Nella
casa vicino a Montpellier dove ormai abitava da tre anni è spirata Elena di Savoia,
ex-regina d'Italia» a molti dev'essere tornato in mente il testo dell'unica
indiscrezione trapelata più che dal riserbo della vecchia regina dalle
indiscrezioni dei suoi familiari: il suo tenace desiderio di ritornare in
Egitto, ad Alessandria, per finire i suoi giorni nella casa dove morì Vittorio
Emanuele III. La sua paura dell'Europa, la sua sensazione di esservi ormai come
un'estranea.
Non ha potuto essere esaudita, ed è morta in una casa
d'affitto, fra mobili non suoi, in un paese dove il sole e il bel clima, le
partite di pesca, certo non la compensavano del fatto di vivere lontana -soprattutto
ora che un oscuro presentimento la tormentava - dai luoghi dov'era il ricordo
degli ultimi giorni di suo marito. La residenza cui la obbligava il suo stato
di salute, era diventata ormai quasi come un secondo esilio.
Non esiste forse nella storia il caso di una donna che fu
regina per cinquant'anni e di cui i suoi stessi sudditi sappiano tanto poco.
Nessuna biografia è tanto povera di avvenimenti sensazionali, di fatti pubblici,
di aneddoti; e se esiste una segreta vita, interiore, se si intuisce l'esistenza
di una personalità certo non trascurabile anche se non clamorosa, chi è in
grado di parlarne?
Molti aspetti del carattere di Elena di Savoia sono saltati
fuori - si può dire - più attraverso questi anni del suo esilio, che non dal
cinquantennio in cui fu Regina d'Italia. Per un'aneddotica su Elena di Savoia è
fonte più ricca Montpellier di quanto non lo sia stata l'Italia intera. Gli
stessi che oggi sono disposti a commuoversi, nell'ascoltare l'episodio del
groom dell'hotel Metropol di Montpellier (un giorno alla vecchia Regina che gli
chiedeva l'ora dovette rispondere di non possedere un orologio, e si vide regalare
l'indomani un bel cronometro) sono forse gli stessi che molti anni prima erano
propensi a rimproverare ad Elena di Savoia la sua vita troppo ritirata, troppo
modesta, quasi indegna di una vera regina. Che magari, in segreto condividevano
l'ironia della duchessa d'Aosta la quale parlando di Elena aveva l'abitudine di
chiamarla «Ma cousine, la bergère».
Certamente non si erano mai fermati a considerare l'ipotesi che la logica semplicità della regina
Elena, la sua fedeltà ai principi borghesi - proprio in quanto regina la sua costante
convinzione nella serietà dell'esistenza, facessero parte di un'intuizione superiore
dell'evoluzione del mondo assomigliasse ai doveri della regalità molto più di
una, partecipazione alla vita mondana. Forse ancora oggi non si rendono conto
di quanto abbia servito al prestigio della corona inglese l'improvvisa nota di
austerità e di semplicità portata a suo tempo dalla regina Elisabetta, e di una
rassomiglianza sostanziale che esisteva fra la Regina d'Inghilterra ed Elena di
Savoia.
Se la regina Margherita fu personaggio ben più
rappresentativo e celebrato, sul metro dei valori umani già oggi ben pochi tra
quelli che facevano costantemente il paragone per gettar discredito sulla regina
che le successe al trono d'Italia sono disposti a sostenere la dinamica moglie
di Umberto I contro la modesta figlia del re pastore di Cettigne.
Primi a vederla fra tutti gli italiani furono i veneziani
nella primavera del 1895. Fu in occasione del secondo incontro fra l'allora Principe
di Napoli Vittorio Emanuele ed Elena del Montenegro, quintogenita tra sette
fratelli e sorelle educata alla corte russa protettrice ed amica del suo
piccolo paese.
La prima volta, i due giovani principi si erano incontrati a
Mosca, (incontro abilmente preparato da Costantino Nigra ambasciatore italiano
a Pietroburgo) durante la festa per l’incoronazione dello Zar Nicola II.
Secondo le descrizioni maligne di Maria di Romania, citate da
Domenico Bartoli nel suo Fine di una monarchia Vittorìo Emanuele in quell’occasione
dava il braccio a Maria Fiodorovna, moglie di Alessandro III protettrice di
Elena. La giovane principessa faceva di tutto per trovarsi sempre con Vittorio
Emanuele, come una collegiale innamorata, benché gempre secondo il giudizio
della regina romena - egli fu un
cavaliere poco gradevole avesse un leggera tremito alle mascelle e un modo di
parlare rotto e piuttosto brusco.
Elena, era molto graziosa, piacente, simpatica, conosceva gli
usi della società, le lingue, aveva tutto quanto occorreva ad una regina di
cinquant'anni fa. Scriveva anche poesie. (Dopo quella pubblicata sulla rivista
russa Nedelia e ispirata a Vittorio Emanuele, non se ne videro però altre:
"Egli è venuto dal mare - dal mare egli è venuto - è biondo come sua madre
- ha nobile lo sguardo - ha altero lo sguardo).
Era bella, piacente, ma timida, un po' impacciata, quasi
nascondesse un segreto tormento. Nel mondo dei principi e delle principesse
essa era infatti la ragazza povera, protetta da re grandi e affettuosi, ma non
riusciva a dimenticare quanto la sua reggia nel Montenegro fosse quella di un
capo di pastori guerrieri e assomigliasse ben poco ad un grande castello. Fu
forse la constatazione improvvisa di questo segreto tormento della giovane
principessa che con Vittorio Emanuele (il quale aveva già rifiutato anni prima
di sposare Elena d'Orléaas proprio per le ragioni opposte) a sgomberare il
proprio a animo da tutte le riserve e a lasciarsi andare alla simpatia che gli
ispirava la bella principessa anche se
molto più bella e molto più alta di lui.
Sappiamo che Vittorio Emanuele aveva timore delle donne alte
e belle. Ossessionava la sua esistenza di giovane principe di statura
straordinariamente bassa il pensiero che mai donna lo avrebbe sposato altro che
per l'interesse che suscitava la sua qualità di principe reale. Per questo,
nelle poche avventure, giovanili di cui si ha notizia - seppure vaga - egli
aveva ripiegato sempre su donne piccole e brutte. D'improvviso aveva scoperto
in quegli incontri cui lui stesso non credeva - e che sembravano dettati
soltanto da esigenze politiche dalla necessità di portare con quel matrimonio
un afflusso di sangue nuovo e sano nella vecchia famiglia dei Savoia che Elena
di Montenegro soffriva, come lui, seppure per ragioni diverse, di un complesso
di inferiorità.
Quel matrimonio che a suo tempo non suscitò alcun entusiasmo
e che, alla maggior parte dei nobili italiani parve quasi “mesalliance” e
piacque soltanto al popolo (la gente minuta apprezzò il fatto che il principe
ereditario fosse andato a scegliersi la moglie fuori della cerchia
convenzionale) si rivelò poi l'unico matrimonio veramente felice - nel senso
più convenzionale e borghese della parola - nella storia della monarchia italiana.
Elena di Montenegro riuscì, come le sue sorelle maggiori, a
sposare un principe reale; aveva potuto evadere dalla festosa e superba - per
quanto ospitale - reggia della Santa Russia, ma quando ebbe coscienza delle
difficoltà di cui sarebbe stata cosparsa la sua carriera di principessa e poi di
Regina nella sua nuova patria - in un'Italia che attraversava un tragico momento
storico e politico, con un opinione pubblica che non mostrava simpatie per il
giovane principe suo marito - non trovò più la felicità che aveva conosciuto
per la prima volta e in maniera così completa durante il periodo del
fidanzamento. Era l'epoca in cui Vittorio Emanuele veniva a trovarla a Cettigne
e trascorrevano le giornate nei boschi e nei prati a caccia di cervi e di lupi.
Forse fu questo il periodo più felice, - il solo - anche nell'esistenza di
Vittorio Emanuele. Alcuni documenti dell'epoca ci raccontano del principe di
Napoli, loquace con gli occhi lustri per la gioia, che mangiava la selvaggina
uccisa, nelle piazze dei villaggi montenegrini, insieme ai futuri cognati, al
vecchio suocero e alla fidanzata, mentre i contadini cantavano le antiche ballate
davanti al fuoco acceso. In quello stesso periodo, in Italia Scarfoglio
scriveva un articolo «La bella Elena» nel quale titolo e sostanza volevano
essere una aperta allusione all'operetta di Offenbach. Lo stesso Scarfoglio
aveva scritto ben di peggio sul Mattino del 27 novembre 1896, un mese esatto,
cioè, prima delle nozze. Un articolo di fondo intitolato “Le nozze coi fichi
secchi” un documento ormai rarissimo citato da Alberto Consiglio nella sua Vita
di Vittorio Emanuele III.
Vale la pena di ricordarne alcuni passi:
«Da due mesi non si sente predicare se non questo tema: - Badate,
chi si sposa è Vittorio Emanuele di Savoia, non il futuro Re d'Italia.
Così
incominciava l'articolo. «Ora questo
principe non aveva proprio bisogno d'un matrimonio celebrato a questo modo e in
circostanze simili. A differenza di Umberto e di Amedeo, i quali erano già
rispettati e adorati dal popolo, però che s'erano identificati con la patria
sul campo di Custoza, egli è rimasto estraneo alla vita italiana come quei principi
etiopici che sino ad un secolo fa erano educati sulla cima di un'amba solitaria.
Di forme e di statura già poco conformi all'ideale fisico che il popolo ha dei
re, le poche volte che è apparso in pubblico non ha conquistato certo
l'immaginazione degli spettatori. Lo ricordo ai funerali dell'imperatore
Guglielmo a Berlino nascosto nella sua mantellina di tenente di fanteria, tra
un corpo di principi coloniali coperti d'oro e dalle lunghe barbe
lohengriniane: chi avrebbe detto che quel tenentino, con quel pentolino in
capo, rappresentava trentadue milioni di sudditi e ventitré secoli di storia?
L'ho rivisto un mese fa a Cettigne, nel pieno esercizio delle sue funzioni di
fidanzato ufficiale col suo piccolo paletot mastic, con un cappello a cencio
sul capo, e pareva un collegiale in vacanza in mezzo a un popolo vestito del
suo pittoresco costume e armato fino ai denti».
E più avanti: «Posizione
non cattiva, badiamo; ma incerta, piena di dubbi e di oscurità, che rendono
perplessi quanti credono inseparabili la fortuna della Monarchia e l'unità
della Patria. Ora questo matrimonio celebrato a questo modo e in questo
momento, non è fatto per migliorarla; e la freddezza con la quale n'è stato
accolto l'annunzio aumenterà quando gli italiani vedranno la loro futura regina
e con stateranno co' loro occhi che
essa non è né la gigantessa rigeneratrice di un sangue illanguidito, né la beltà
fulminatrice, che s'è detto.
Graziosa, gentile, dolce creatura; ma non certo un'Elena greca
infiammatrice di cuorì per modo che ai feriti da lei sia impossibile aspettare
il ritorno dei generale Valles, per evitare questi tristi e male auspicati
sponsali».
Questo servirà, meglio di ogni altra cosa, per descrivere il
clima nel quale Elena di Montenegro si preparava a diventare la moglie del
Principe Ereditario al trono d'Italia.
E c'era Margherita.
continua
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