NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 5 gennaio 2013

Il Partito Nazionale Monarchico - XVI parte


ATTUALITÀ DEL RISORGIMENTO


Da che cosa fu restaurato il prestigio delle armi italiane vulnerato dalle giornate di Custoza e di Novara ?
Quel prestigio fu restaurato dalla guerra di Crimea. Una impresa tanto impopolare e apparentemente estranea agli interessi italiani avrebbe potuto venir compiuta se un Re non l'avesse assunta sotto la propria autorità ?
Si può al riguardo osservare che la Monarchia è la naturale custode di certi valori a cui la massa della popolazione, che vive nella e della contingenza quotidiana, è poco sensibile. Un sovrano ha la mentalità del contadino del buon tempo antico, il quale sapeva anche piantare un albero che avrebbe dato frutto dopo molti anni.
Una situazione non priva di analogie con la guerra di Crimea si verificò pochi anni or sono con la guerra di Corea, trattandosi ancora di una coalizione di forze dell'Occidente contro la Russia, allora direttamente ora indirettamente: ma è facile immaginare le grida che si sarebbero levate contro chi avesse osato proporre una partecipazione italiana al conflitto in Corea.

Ora noi sappiamo quale concreta simpatia e stima e amicizia abbia procurato alla Turchia da parte degli Stati Uniti, che sostennero il maggior peso di quella guerra, la presenza di un reggimento turco fra le forze alleate.
E volontari non sarebbero mancati fra noi, molto più che poco tempo prima erano state dissolte e perseguitate forze combattenti di alta qualità morale che nelle condizioni più disperate avevano persistito nella lotta e che prontamente avrebbero accettato di servire ancora l'Italia in qualunque angolo della terra. Molti di quei giovani cercarono nella Legione Straniera un rifugio alle persecuzioni dei connazionali, e incontrarono in Indocina una morte da soldati ma di nessuna utilità per il loro paese. Ma l'Italia non aveva più un Re e il prestigio delle nostre armi era l'ultimo pensiero della nuova classe politica gettata sulla riva del potere da un'ondata della storia.
Or è un secolo, sostenendo alla Camera l'intervento del Piemonte in Crimea il Cavour disse: « Noi siamo convinti che la Sardegna è altamente interessata allo scopo della guerra. Infatti quando la Russia fosse padrona di Costantinopoli, essa penetrerebbe altresì nel Mediterraneo. Qui forse taluno dirà: e che importa a noi del predominio del Mediterraneo? Rispondo che questo predominio è in possesso dell'Inghilterra e della Francia, e che sarebbe domani condiviso dalla Russia, situazione che, se accettata da noi, equivarrebbe a una rinunzia alle aspirazioni dell'avvenire. Noi abbiamo nel Mediterraneo più interessi di tutte le altre Potenze, più dell'Inghilterra, più della Francia », e conchiudeva: « Sono certo che gli allori che i nostri soldati acquisteranno in Crimea gioveranno per le sorti future d'Italia piú di quanto non abbiano giovato tutti coloro che hanno creduto di operare la rigenerazione con declamazioni e con scritti ».
All'indomani di una sconfitta il Cavour non temeva di venir tacciato di retorica parlando di allori che i nostri soldati avrebbero acquistato e parlando di aspirazioni dell'avvenire.
Egli e il Re avevano compreso che la guerra di Crimea era l'occasione che si offriva loro di inserire il problema italiano nella politica internazionale. Lo scopo finale di Cavour era di preparare il paese al e future prove che avrebbe dovuto fatalmente superar

di condurlo ad affrontare con riassestate finanze, con una buona rete ferroviaria e stradale un saldo esercito - e con l'aiuto straniero - quel compito di guida del Risorgimento che Carlo Alberto aveva iniziato sovrapponendo la Croce sabauda al Tricolore italiano.
Il trattato di alleanza per la guerra di Crimea fu il primo atto di una politica estera forte e chiaroveggente, dalla quale nel giro di pochi anni sarebbe sorto il nuovo Stato unitario. I 18 mila soldati piemontesi che si recarono a combattere contro i Russi al fianco dei Francesi e degli Inglesi non rappresentavano solo il Regno di Sardegna ma l'Italia tutta, e la Cernaia fu accolta da tutti gli Italiani come una vittoria nazionale.
Si suole ripetere che il Cavour ha diplomatizzato la rivoluzione, e ciò è vero anche nel senso che egli costituì dinanzi alle Potenze la garanzia che la rivoluzione nazionale italiana non si sarebbe radicalizzata in rivoluzione sovvertitrice. Tale garanzia, che diminuì le resistenze esterne al nostro moto unitario, era implicita nello stesso fatto che alla testa di quel moto si trovava il Re di Sardegna. La Monarchia fu protagonista del Risorgimento così per l'apporto diretto che essa gli diede come per gli ostacoli che la sua sola presenza eliminò dal suo cammino. Tali ostacoli non erano soltanto esterni, erano anche interni, poiché molti elementi della popolazione degli Stati destinati a venir soppressi accolsero o favorirono una trasformazione che altrimenti avrebbero avversata, e l'accolsero perché Vittorio Emanuele garantiva i caratteri e i limiti della trasformazione in atto.

A ciò conferì certamente la mancanza di tradizioni repubblicane democratiche nella nostra storia. Chi oggi vanta presunte tradizioni repubblicane dimentica che i nostri Comuni medioevali furono governati da oligarchie prima nobiliari poi plutocratiche; dimentica che Venezia, Genova, Pisa e le altre città marinare furono repubbliche aristocratiche, dimentica che la sola repubblica democratica formatasi spontaneamente in Italia fu quella sorta a Firenze dal tumulto dei Ciompi del 23 luglio 1378 e durata pochi mesi. Quei mesi fiorentini col governo creato dal cardatore di lana Michele di Lando, anima del moto popolare, sono tutta la tradizione repubblicana democratica che abbia l'Italia. Sul nostro suolo le repubbliche democratiche non crebbero mai come un albero, ma vi furono piantate come un palo dagli stranieri e durarono quanto durò l'occupazione straniera.

Aspirazione dell'avvenire disse il Cavour nel citato discorso. Sono queste aspirazioni, sono le speranze del domani, e il fermo proposito di attuarle, che conferiscono tonicità all'azione degli uomini di governo e allo stesso popolo, al quale esse aprono un orizzonte verso il quale procedere; e appunto in siffatta disposizione spirituale risiede l'attualità del Risorgimento.

Nessuna condizione è per una società più negativa della mancanza di qualunque ideale morale o politico o nazionale. Nella assenza di ogni appello a una ragione che li trascenda gli individui si ripiegano su se stessi, gli interessi personali o di gruppo occupano l'intero campo della loro sensibilità, i contrasti economici si acuiscono, gli uomini cadono in preda di quella « passion del particulare » nella quale il Guicciardini vedeva la causa prima delle sventure d'Italia.

Ma un motivo ideale capace di fecondare le anime e di trarre alla luce quanto esse hanno in sé di generoso, non può venir proposto gratuitamente né si può mutuarlo da altre latitudini; una ragione di vita collettiva, un ufficio da adempiere, una meta da conseguire debbono aver radici nel passato anche se la formula con cui si presentano appare nuova.
E prima di muoversi occorre uno squillo di adunata e nessuno ha presentemente fra noi la statura storica necessaria a lanciarlo.

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