ATTUALITÀ DEL RISORGIMENTO
Da che cosa fu restaurato il
prestigio delle armi italiane vulnerato dalle giornate di Custoza e di Novara ?
Quel prestigio fu restaurato
dalla guerra di Crimea. Una impresa tanto impopolare e apparentemente estranea
agli interessi italiani avrebbe potuto venir compiuta se un Re non l'avesse
assunta sotto la propria autorità ?
Si può al riguardo osservare
che la Monarchia è la naturale custode di certi valori a cui la massa della
popolazione, che vive nella e della contingenza quotidiana, è poco sensibile.
Un sovrano ha la mentalità del contadino del buon tempo antico, il quale sapeva
anche piantare un albero che avrebbe dato frutto dopo molti anni.
Una situazione non priva di
analogie con la guerra di Crimea si verificò pochi anni or sono con la guerra
di Corea, trattandosi ancora di una coalizione di forze dell'Occidente contro
la Russia, allora direttamente ora indirettamente: ma è facile immaginare le
grida che si sarebbero levate contro chi avesse osato proporre una
partecipazione italiana al conflitto in Corea.
Ora noi sappiamo quale
concreta simpatia e stima e amicizia abbia procurato alla Turchia da parte
degli Stati Uniti, che sostennero il maggior peso di quella guerra, la presenza
di un reggimento turco fra le forze alleate.
E volontari non sarebbero
mancati fra noi, molto più che poco tempo prima erano state dissolte e perseguitate
forze combattenti di alta qualità morale che nelle condizioni più disperate
avevano persistito nella lotta e che prontamente avrebbero accettato di servire
ancora l'Italia in qualunque angolo della terra. Molti di quei giovani
cercarono nella Legione Straniera un rifugio alle persecuzioni dei
connazionali, e incontrarono in Indocina una morte da soldati ma di nessuna
utilità per il loro paese. Ma l'Italia non aveva più un Re e il prestigio delle
nostre armi era l'ultimo pensiero della nuova classe politica gettata sulla riva
del potere da un'ondata della storia.
Or è un secolo, sostenendo
alla Camera l'intervento del Piemonte in Crimea il Cavour disse: « Noi siamo
convinti che la Sardegna è altamente interessata allo scopo della guerra.
Infatti quando la Russia fosse padrona di Costantinopoli, essa penetrerebbe altresì
nel Mediterraneo. Qui forse taluno dirà: e che importa a noi del predominio del
Mediterraneo? Rispondo che questo predominio è in possesso dell'Inghilterra e
della Francia, e che sarebbe domani condiviso dalla Russia, situazione che, se
accettata da noi, equivarrebbe a una rinunzia alle aspirazioni dell'avvenire.
Noi abbiamo nel Mediterraneo più interessi di tutte le altre Potenze, più
dell'Inghilterra, più della Francia », e conchiudeva: « Sono certo che gli
allori che i nostri soldati acquisteranno in Crimea gioveranno per le sorti
future d'Italia piú di quanto non abbiano giovato tutti coloro che hanno
creduto di operare la rigenerazione con declamazioni e con scritti ».
All'indomani di una
sconfitta il Cavour non temeva di venir tacciato di retorica parlando di allori
che i nostri soldati avrebbero acquistato e parlando di aspirazioni
dell'avvenire.
Egli e il Re avevano
compreso che la guerra di Crimea era l'occasione che si offriva loro di
inserire il problema italiano nella politica internazionale. Lo scopo finale di
Cavour era di preparare il paese al e future prove che avrebbe dovuto
fatalmente superar
di condurlo ad affrontare
con riassestate finanze, con una buona rete ferroviaria e stradale un saldo
esercito - e con l'aiuto straniero - quel compito di guida del Risorgimento che
Carlo Alberto aveva iniziato sovrapponendo la Croce sabauda al Tricolore
italiano.
Il trattato di alleanza per
la guerra di Crimea fu il primo atto di una politica estera forte e
chiaroveggente, dalla quale nel giro di pochi anni sarebbe sorto il nuovo Stato
unitario. I 18 mila soldati piemontesi che si recarono a combattere contro i
Russi al fianco dei Francesi e degli Inglesi non rappresentavano solo il Regno
di Sardegna ma l'Italia tutta, e la Cernaia fu accolta da tutti gli Italiani
come una vittoria nazionale.
Si suole ripetere che il
Cavour ha diplomatizzato la rivoluzione, e ciò è vero anche nel senso che egli costituì
dinanzi alle Potenze la garanzia che la rivoluzione nazionale italiana non si
sarebbe radicalizzata in rivoluzione sovvertitrice. Tale garanzia, che diminuì
le resistenze esterne al nostro moto unitario, era implicita nello stesso fatto
che alla testa di quel moto si trovava il Re di Sardegna. La Monarchia fu protagonista
del Risorgimento così per l'apporto diretto che essa gli diede come per gli
ostacoli che la sua sola presenza eliminò dal suo cammino. Tali ostacoli non
erano soltanto esterni, erano anche interni, poiché molti elementi della
popolazione degli Stati destinati a venir soppressi accolsero o favorirono una
trasformazione che altrimenti avrebbero avversata, e l'accolsero perché
Vittorio Emanuele garantiva i caratteri e i limiti della trasformazione in
atto.
A ciò conferì certamente la
mancanza di tradizioni repubblicane democratiche nella nostra storia. Chi oggi
vanta presunte tradizioni repubblicane dimentica che i nostri Comuni medioevali
furono governati da oligarchie prima nobiliari poi plutocratiche; dimentica che
Venezia, Genova, Pisa e le altre città marinare furono repubbliche
aristocratiche, dimentica che la sola repubblica democratica formatasi
spontaneamente in Italia fu quella sorta a Firenze dal tumulto dei Ciompi del
23 luglio 1378 e durata pochi mesi. Quei mesi fiorentini col governo creato dal
cardatore di lana Michele di Lando, anima del moto popolare, sono tutta la
tradizione repubblicana democratica che abbia l'Italia. Sul nostro suolo le
repubbliche democratiche non crebbero mai come un albero, ma vi furono piantate
come un palo dagli stranieri e durarono quanto durò l'occupazione straniera.
Aspirazione dell'avvenire
disse il Cavour nel citato discorso. Sono queste aspirazioni, sono le speranze
del domani, e il fermo proposito di attuarle, che conferiscono tonicità
all'azione degli uomini di governo e allo stesso popolo, al quale esse aprono
un orizzonte verso il quale procedere; e appunto in siffatta disposizione
spirituale risiede l'attualità del Risorgimento.
Nessuna condizione è per una
società più negativa della mancanza di qualunque ideale morale o politico o
nazionale. Nella assenza di ogni appello a una ragione che li trascenda gli
individui si ripiegano su se stessi, gli interessi personali o di gruppo
occupano l'intero campo della loro sensibilità, i contrasti economici si
acuiscono, gli uomini cadono in preda di quella « passion del particulare »
nella quale il Guicciardini vedeva la causa prima delle sventure d'Italia.
Ma un motivo ideale capace
di fecondare le anime e di trarre alla luce quanto esse hanno in sé di
generoso, non può venir proposto gratuitamente né si può mutuarlo da altre
latitudini; una ragione di vita collettiva, un ufficio da adempiere, una meta
da conseguire debbono aver radici nel passato anche se la formula con cui si
presentano appare nuova.
E prima di muoversi occorre
uno squillo di adunata e nessuno ha presentemente fra noi la statura storica
necessaria a lanciarlo.
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