NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 29 gennaio 2013

Il Partito Nazionale Monarchico - XIX parte



ARGINE CONTRO LA SOVVERSIONE


Da parte bolscevica il grande e sconcertante avvenimento del 1956 fu il famoso «rapporto » di Kruscev al XX Congresso, con la negazione del culto della personalità, la deplorazione dei metodi staliniani, l'annunzio di un « nuovo corso » della politica russa, l'ammissione delle « vie nazionali al socialismo » e con le altre conseguenze che vanno sotto il nome di destalinizzazione.

Più che legittimo fu allora il sospetto che tutto ciò dovesse interpretarsi come manovra volta ad addormentare l'Occidente nell'illusione distensiva, nella rassicurante visione d'una Russia sinceramente disposta alla coesistenza pacifica, sospetto divenuto certezza da quando Kruscev stesso, con eclettismo non nuovo in campo sovietico, cominciò a far macchina indietro non solo nei fatti, come si vide in Ungheria e nel Medio Oriente, ma anche nella teoria. Egli infatti in un discorso pronunziato al ricevimento di fine d'anno a Mosca e successivamente in altre occasioni riabilitò parzialmente il vecchio dittatore e si dichiarò- fiero di essere staliniano, dimostrando ad abundantiam come la destalinizzazione fosse una manovra tattica legata a determinate contingenze.

In realtà, era evidente che le accuse mosse a Stalin, legittime in una società governata da principii di legalità civile, erano sulla bocca dei suoi successori ciò che di più vacuo e inconsistente si potesse immaginare, sia riguardo alla autodefinizione dell'uomo sia riguardo alla sua azione di governo.

In un paese e in un momento in cui non esistono grandi personalità è facile negare il culto della personalità: è come negare gli alberi d'alto fusto in una landa ove in un dato periodo non crescono che arbusti e cespugli. Non appena in quel paese si riveli una figura politica d'eccezione, il culto della personalità vi si ristabilisce, ed è singolare in proposito il fatto che contro i comunisti nostrani, docili agli ordini destalinizzatori di Mosca, fummo allora proprio noi, uomini di Destra avversari irriducibili del comunismo, a difendere le dimensioni storiche del morto tiranno, dato che anche la tirannide è parte della storia.

E quanto ai metodi, un minimo d'intelligenza (lei fatti bastava e basta a capire che quelli impiegati da Stalin sono inseparabili dalla prassi del bolscevismo; a capire cioè che il comunismo o è staliniano o non e comunismo.

La cosiddetta dittatura del proletariato è dittatura d'un uomo o d'un gruppo d'uomini, e la «direzione collettiva» non cambia l'essenza d'un sistema che non può non essere dispotico, poliziesco, spietato. Il comunismo, radicalmente erroneo nelle sue premesse teoretiche del materialismo marxistico, sul terreno pratico non può sussistere se non con la violenza; è come un corpo umano costretto in una posizione sforzata, il quale viene mantenuto immobile con una ingessatura che lo avvolge tutto quanto: il corpo soffre atrocemente ma non esiste altro mezzo per tenerlo fermo; sostituire il gesso con un bendaggio non serve, perché il corpo riprenderebbe una posizione naturale, e allora tanto vale abolire anche il bendaggio e lasciarlo muoversi naturalmente.

L'ormai defunto «nuovo corso» annunziato da Kruscev al Congresso, ovvero la «destalinizzazione» del comunismo, sarebbe stato la sostituzione dei bendaggio all'ingessatura.

Se democrazia significa legittimità della opposizione politica, pluralità di partiti e principio elettorale sinceramente applicato, il comunismo è costituzionalmente antidemocratico e, pena il suicidio, non può fare alla democrazia la minima concessione. Una caldaia che non sia a tenuta perfetta non funziona piú.

E come in politica cosi in economia tertium non datur.
Se lo Stato assume totalitariamente la gestione della economia, da un lato sterilizza una quantità di potenziali energie economiche e crea l'elefantiasi burocratica, l'inarrestabile spreco, l'indigenza, il lavoro coatto, e dall'altro lato compie le grandi «realizzazioni» che i varii «compagni» additano all'ammirazione dei propri gregari; e profondendo nelle ricerche e negli esperimenti scientifici mezzi illimitati arriva anche a precedere l'America nella creazione e nel lancio delle «lune rosse» ruotanti intorno al nostro pianeta. Anche le Piramidi di Gizeh furono grandi «realizzazioni», rese possibili dall'estenuante fatica di intere generazioni di schiavi. Di diverso vi e che gli schiavi d'allora avevano almeno nei loro patimenti il conforto di una fede trascendentale, mentre agli odierni schiavi anche quel sollievo è stato tolto.

In economia il «nuovo corso» è impossibile senza demolire l'intera costruzione. Ammettere oggi la libertà dei piccoli operatori economici attraverso la piccola proprietà agricola e artigiana, significa ammettere domani i medi e posdomani i grandi operatori economici.

La libertà implica l'agonismo, la selezione, l'evoluzione, e quindi la disparità dei guadagni e delle fortune. La libertà economica, indispensabile fonda mento della libertà civile, determina un relativo benessere generale con l'attivazione di tutte le energie esistenti, ma è incompatibile con le pianificazioni integrali, con l'industrializzazione intensiva e con la mastodontica produzione russa degli armamenti.
Al tempo suo Lenin - che era nella specie umana ciò che sono nella zoologia i grandi felini, cosa che non esclude l'ingegno - attuò la rivoluzione comunistica nel più completo oblio delle leggi economiche e a chi gli diceva ch'egli andava contro la realtà rispondeva: «tanto peggio per la realtà». Nondimeno, quando vide abbattersi sul paese il flagello della fame, si ricredette e non esitò ad accantonare i piani d'industrializzazione per adottare la N E P, la nuova politica economica, che era semplicemente una controrivoluzione economica, in quanto ripristinava la proprietà privata, la libera iniziativa, i liberi mercati.

La Russia respirò e gradualmente la produzione dei beni di consumo prese ad adeguarsi al bisogno. Ma alcuni anni più tardi il successore Stalin vide che, con la NEP, dell'edificio comunista rimaneva solo la facciata e che industrializzazione ed armamenti venivano rimandati alle calende greche, onde abolì la NEP, inasprì la dittatura, introdusse la pianificazione totale e il lavoro schiavista, stroncò con le esecuzioni capitali o la deportazione in Siberia ogni ombra di critica e ogni conato di resistenza, lasciò morir di fame milioni di culaki, ma compì, con la direzione tecnica di ingegneri dell'Occidente, l'industrializzazione ed ebbe gli armamenti.

Il tutto fu sopportato dai russi, atavicamente assuefatti a misere condizioni di vita e per i quali l'onnipotenza dello Stato e l'onnipresenza della polizia è la sola esperienza politica che abbiano fatto. Col suo prestigio personale, con l'antico patriottismo del popolo e con la produzione propria largamente integrata dalle armi gli equipaggiamenti i viveri ricevuti dall'America, egli poté superare la prova della seconda guerra mondiale.

La vittoria gli diede il dominio dei paesi « satelliti». Il comunismo venne per la prima volta introdotto presso popoli abituati a civili condizioni di vita, alla libertà politica, a un relativo benessere economico, e presto anche quanti in quel paesi avevano accolto lietamente la trasformazione si accorsero che l'abolizione del cosiddetto «sfruttamento capitalistico» non aveva portato loro il paradiso bensì l'inferno in terra.

Ma coi governi Quisling, istituiti dal russi e sostenuti dalle loro divisioni corazzate, il tentativo di scrollarsi il giogo dal collo esigeva un coraggio rasentante la follia, quale dimostrarono nell'autunno del '56 gli Ungheresi.

L'infelice esito della guerra, dalla quale soltanto il bolscevismo usci avvantaggiato, diede alla Russia diritto di cittadinanza nell'ONU come a un paese civile tra paesi civili, le conferì un ruolo diplomatico e un posto eminente nei consessi internazionali come se essa e i popoli liberi parlassero un medesimo linguaggio; ma ciò non è se non una finzione imposta dalla necessità, poiché la Russia, se fu uno Stato relativamente civile al tempo degli Zar, non lo è più dopo la rivoluzione d'ottobre, come sa chiunque l'abbia veduta con occhi obbiettivi. Per citare un fatto tra mille, quella che i nostri comunisti chiamano l'universale civiltà di domani avente in Mosca il suo luminoso centro d'irradiazione, è la civiltà che trasforma le cattedrali in musei antireligiosi, ove i maestri accompagnano le scolaresche per preservarle dalla contaminazione religiosa; e questo programmatico ateismo di Stato basta da solo a escludere moralmente quel paese dal consorzio dei popoli civili. Manca tra esso e gli altri quella intrinseca omogeneità spirituale che rende possibile la reciproca comprensione e fecondo il dialogo.

L'episodio ungherese ha dimostrato a tutti ciò che molti utili idioti negavano rabbiosamente quando lo sentivano affermare da noi: l'incapacità del comunismo a conquistare spiritualmente un popolo civile. Costoro hanno toccato con mano che se operai e contadini, i quali dovrebbero esserne i beneficiari, se i giovani che a causa dell'età non conobbero nulla di diverso, lo respingono, la condanna del comunismo è totale.

Ciò non toglie che rispetto al popoli i quali, come l'italiano, non lo hanno sperimentato esso conservi ancora forza suggestiva e capacità di proselitismo. Una propaganda che fa leva sulle più basse passioni umane avidità, invidia, odio contro chi ha maggiori agi - e le ricopre con la maschera della «giustizia distributiva», troverà sempre seguaci in un ambiente sociale che ignora il dopo; e se la Russia in una eventuale prova di forza non può contare sui « satelliti », può però contare sulle sue quinte colonne presso i paesi occidentali. Della «crisi» della quinta colonna italiana bisogna rallegrarsi moderatamente, perché è vero che il P.C. viene abbandonato da alcuni iscritti a cui i fatti d'Ungheria hanno aperto gli occhi, ma queste perdite marginali rendono più compatto il nucleo del partito. D'altronde i transfughi affluiscono presso i cugini, e comunismo e socialismo non sono che due diversi stati febbrili della stessa malattia. L'Italia ha ancora da cominciare a guarire dalla scarlattina rossa, e la bianca anemia governativa non è fatta per risanarla.

Sul piano politico e istituzionale l'unica valida antitesi del comunismo è la Monarchia.

Già nel secolo scorso i teorici del marxismo videro nella soppressione della Monarchia la condizione non sufficiente, ma necessaria, a un successivo avvento del comunismo. La rivoluzione del terzo stato, portatrice del regime repubblicano, era per essi la necessaria introduzione alla rivoluzione del quarto stato, portatrice del regime comunistico; e la repubblica borghese costituiva il ponte di passaggio alla repubblica proletaria.

Giusta intuizione, confermata dall'esperienza storica. Per non giungere su quella riva bisogna restare di qua dal ponte, bisogna restare alla Monarchia, la quale è per assunto la naturale custode dei valori morali e religiosi di un popolo e quindi è organicamente incompatibile con la concezione marxistica che fa della sola economia il destino dell'uomo e considera derivazione o maschera di quella tutto ciò che si chiama vita spirituale.

In questo caso il fatto istituzionale è l'indice d'un clima, d'una mentalità che non ammette usurpazioni della materia sullo spirito.

La Monarchia non disconosce il dato economico ma lo tiene, per usare un'espressione dantesca, «dentro a sua meta»; essa accoglie ogni reale esigenza di giustizia sociale per il fatto stesso che sua mira costante è il bene generale e come una madre guarda con più amore ai figli meno agguerriti contro le difficoltà del vivere; e in quanto libera da ogni spirito di parte e da ogni condizionalità di interessi particolari essa è il supremo centro ordinatore, moderatore ed equilibratore delle forze esistenti in un paese, che tutte convoglia appunto verso il bene generale.

Col principio di una autorità superiore e legittima derivata dall'Alto e riconosciuta dal basso la Monarchia possiede una creatività morale che è sua propria e peculiare, poiché per essa, a differenza degli altri sistemi, la storia non può trovare il suo senso se non nell'etica, e con ragione i comunisti, i quali cercano quel senso' nell'economia, sono i suoi nemici irreducibili.

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