XI - LA REPUBBLICA DEL 1946
Il 25 luglio 1943,
nell'intento di salvare la Patria dalla rovina suprema, Vittorio Emanuele III,
prendendo spunto da un voto del Gran Consiglio del fascismo, revocò Mussolini e
lo fece arrestare: il governo Badoglio, nominato dal Re, si assunse il compito
di abrogare, con decreti legge, l'organizzazione costituzionale fascista.
L'8 settembre
1943, mentre I'Italia legittima firmava l'inevitabile armistizio con gli
alleati, i tedeschi si accingevano a completare l'occupazione militare di gran
parte della penisola, operazione iniziata in modo subdolo da tempo; al governo
legittimo del Re si contrappose presto, nel centro e nel nord, quello della
repubblica sociale italiana alleata e succube del nazismo.
Con R. D. n. 140
del 5 giugno, 1944, Vittorio Emanuele III, avversato dalla maggioranza dei
partiti antifascisti, nominò Luogotenente generale del Regno il Principe ereditario Umberto.
Nell'aprile 194i5,
gli alleati, con la collaborazione del Corpo italiano di liberazione, e dei
partigiani, molti dei quali fedeli al giuramento al Re e alla Patria e quindi
più propriamente definiti: «patrioti », completarono la liberazione d'Italia,
scacciandovi ì tedeschi e facendo in breve crollare la repubblica sociale
italiana.
Il 9 maggio 1946,
Vittorio Emanuele III abdicò a favore del Principe Umberto, che salì al trono,
con il nome di Umberto Il.
Il 2 giugno 1946 si
:svolse un referendum istituzionale i cui risultati « ufficiali » provocarono
la partenza del Re, preoccupato di evitare la guerra civile, e l'avvento della
repubblica.
Questi i fatti
fondamentali del processo storico per cui, dopo la caduta del fascismo, evento
che tante speranze destò in un ritorno all'Italia monarchica e democratica nata
dal Risorgimento, si giunse alla repubblica tuttora vigente. La repubblica del
'46 non sorse sotto il segno del conformismo e dell'indifferenza di fronte alle
questioni sociali; anzi, essa sembrò voler proseguire la gloriosa tradizione
sociale della Monarchia sabauda. Lo dimostra la sua Costituzione, entrata in vigore
il l° gennaio 1948, che proclama, all'art. 1, essere il « lavoro » il
fondamento della « Repubblica democratica ». E l'art. 3: « . . . E' compito
della Repubblica, rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese ». L'art.
4 dichiara che « La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al
lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto . . . ».
Il Titolo 11: « Rapporti etico-sociali », contiene principi altamente sociali a
favore della famiglia, della scuola e dei meno fortunati. Il Titolo III: «
Rapporti economici », proclama la tutela del lavoro (art. 35) ; riconosce ai
lavoratori il diritto ad una retribrizione adeguata al lavoro e alla dignità
della esistenza umana, al riposo settimanale e alle ferie (art. 36); garantisce
parità di retribuzione, a parità di lavoro, alle donne e ai minori (art. 37):
riconosce il diritto al mantenimento e all'assistenza nel caso di eventi che
limitino o annullino la possibilità di lavorare (art. 38); proclama il
principio della libertà sindacale, della personalità giuridica per i sindacati
registrati e della partecipazione di questi, in proporzione dei propri
iscritti, alla stipulazione di contratti collettivi di lavoro con efficacia
obbligatoria per gli appartenenti alla categoria alla quale il contratto si
riferisce (art. 39); vincola la libera economia privata e quella pubblica a
fini sociali (art. 41); -sostiene il principio dell'espropriazione di date
imprese « a fini di utilità generale » (art. 43); autorizza l'imposizione di
vincoli e obblighi della proprietà terriera (art. 44); riconosce la funzione
sociale della cooperazione (art. 45); proclama che « la Repubblica riconosce il
diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi,
alla gestione delle aziende » (art. 46).
Questo, in sintesi,
il grosso delle disposizioni a carattere sociale della Costituzione
repubblicana: disposizioni però, è bene precisarlo a scanso di equivoci, a
carattere programmatico e quindi praticamente inefficaci, se non sviluppate
dalla legislazione ordinaria. E questa ben poco ha costruito di nuovo, perché
scarsi sono stati i progressi nel campo delle assicurazioni sociali, non è
stata ancora emanata la legge sindacale, né è stato regolato il diritto di
sciopero. La stessa riforma agraria non ha affatto risolto il problema del
pauperismo rurale, mentre si sa che gli enti di riforma hanno ingoiato molti
miliardi per le loro esigenze di funzionamento.
La realtà sociale
ed economica italiana ha avuto sostanziali miglioramenti, grazie soprattutto
all'iniziativa e all'opera dei produttori e dei lavoratori, ma non è favola
affermare che più accentuato s'è fatto il dislivello tra zona e zona, regione e
regione, grossi e piccoli redditi.
Non mi dilungherò
a descrivere la nostra situazione attuale; mi limito ad affermare che, se
notevoli progressi economici ci sono stati, grazie al lavoro e alla
disponibilità di beni strumentali più redditizi, il paternalismo,
l'ingiustizia, la disonestà, la separazione sociale, la mortificazione
dell'intelligenza e della buona volontà, la sete del facile guadagno, senza
fatica, l'indifferenza verso i problemi della comunità e dell'individuo, etc.,
dominano oggi la realtà sociale italiana: essa è molto diversa da come
prospetticamente la si immaginava, dopo la caduta del fascismo, dopo la fine della
guerra, quando la grande maggioranza del popolo italiano respirava con gioia
quell'atmosfera di libertà, sia pure ancora eccitata e polemica, che era
mancata per troppi anni.
Ci, tornano alla
mente le parole pronunciate dal senatore Merzagora, in una seduta che rimarrà a
lungo, famosa nella storia del Parlamento italiano: « Onorevoli colleghi, così
non si può andare avanti e, se il mondo politico italiano non ritrova
rapidamente il piacere dell'onestà, tristi prospettive si aprono per il nostro
avvenire »: parole che furono accolte, con le altre dette in tale circostanza,
da alcuni malevolmente, ma dai più con entusiasmo presto spento nell'atmosfera
dominante di conformismo e di rassegnazione.
In sintesi, la
repubblica ha ormai dimostrato chiara incapacità a mantenere le promesse
miracolistiche con le quali si era presentata al popolo, ingannandolo. Essa sta
creando, tra se e l'Italia prefascista, monarchica e democratica, un solco che
il ventennio dittatoriale non può da solo giustificare: il monito proveniente
dalla vicina repubblica francese, degenerata dalle forme parlamentari, comuni a
tanti 'Stati monarchici, ad un autoritarismo a questi estraneo, dovrebbe
indurre ogni libero italiano a meditare, senza nulla concedere alla cecità
delle passioni politiche.
(37) EMILIO FALDELLA: « Revisione di
giudizi - L'Italia e la seconda guerra mondiale », Cappelli, 1960.
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