X - LA GUERRA, IL DOPOGUERRA E IL FASCISMO
La guerra, pur
arrestando il pacifico sviluppo del Paese, non interruppe l'attività
legislativa a favore dei lavoratori.
Gli infortuni
agricoli furono regolati, in modo completo e soddisfacente per tutti i
lavoratori dei campi, dalla legge n. 1450 del 23 aprile 1917, tuttora vigente.
L'assicurazione
obbligatoria di invalidità e vecchiaia fu estesa a tutti gli operai degli
stabilimenti ausiliari con il decreto luogotenenziale 11.11-1917, n. 1907.
Nell'immediato
dopoguerra furono realizzati altri fondamentali progressi.
Il R.D.L. 21-4-19~19,
n. 603. estese l'assicurazione obbligatoria di invalidità e vecchiaia a tutti i
lavoratori subordinati; seguiranno altri numerosi provvedimenti legislativi in
materia, che modificheranno la legge originaria, ma ai quali la tirannia dello
spazio non consente di accennare.
Ricordiamo infine
il D.L.L. 19-10-1919, n. 2214, con il quale si istituì l'assicurazione
obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, poi modificato da successive
disposizioni di legge.
Dal punto di vista
politico, gli anni del -dopoguerra furono anche più determinanti per l'avvenire
d'Italia della stessa guerra, della quale tuttavia devono ritenersi una
dolorosa conseguenza. La nostra Patria fu attraversata da ondate di violenza,
dovute sia agli uomini e alle organizzazioni di sinistra, eccitati dai successi
socialisti nelle elezioni del 1919 e 1921: rispettivamente 138 e 122 deputati,
e dal trionfo bolscevico in Russia, sia dagli uomini e dalle organizzazioni
fasciste, sostenute dalla passione degli ex combattenti e dall'approvazione dei
ceti conservatori, dalla simpatia dei nazionalisti e dalle speranze
anti-monarchiche dei repubblicani storici.
L'uomo più adatto
a risolvere l'intricata e pericolosissima situazione parve al Re il vecchio ma
sempre validissimo on. Giovanni Giolitti.
Caduto il
ministero Bonomi il 17 febbraio 1922, per il voto contrario della Camera dei deputati,
fallito un tentativo di Giolitti di ottenere l'appoggio dei popolari, per il
veto posto dall'on. Sturzo, si costituì il 25 febbraio l'effimero ministero
Facta, privo di forza e di volontà, frutto del compromesso.
Fallito ancora,
dopo la crisi del ministero Facta, un secondo tentativo di Giolitti, sempre per
l'intransigenza del «leader» popolare, reso impossibile dagli stessi popolari
un ministero Orlando di pacificazione nazionale, il Re giudicò favorevolmente
il tentativo dell'on. Bonomi per un governo che si valesse della partecipazione
o almeno dell'appoggio socialista. «E quando l'ex Presidente del Consiglio
riferì al Re il suo insuccesso, questi ne fu sinceramente rammaricato, poiché contava
molto sul nuovo e sperato atteggiamento dei socialisti e lo esortò a ritentare
la prova... Ma l'estremo tentativo bonomiano fallisce e vengono frustrate le
speranze del Re che da oltre 20 anni agogna chiamare le masse operaie alla
responsabilità del potere » (33).
I socialisti non
ebbero né il coraggio, né l'intelligenza di un atto che, non solo avrebbe
consolidato lo Stato monarchico democratico, ma quasi certamente impedito
l'ascesa al potere del fascismo, con tutte le funeste conseguenze che da questa
derivarono, ultima in ordine di tempo, ma non di importanza, la caduta della Monarchia,
evento fatale al progresso politico e sociale d'Italia nel secondo dopoguerra e
negli anni che seguiranno, fino a quando non verrà ristabilita, per volontà di
popolo, l'istituzione monarchica.
Il potere andò
invece ai fascisti, non per colpa del Sovrano, ma per la cecità dei socialisti,
per la paura di rinnovamento dei ceti conservatori, rappresentati dalle forze
liberali, dimentiche della luminosa tradizione risorgimentale di libertà e di
progresso, dell'insegnamento di Camillo Cavour, per l'appoggio di quegli stessi
popolari che s'erano opposti a Giolitti, per sincero entusiasmo di popolo che
non poteva prevedere la ruina alla quale il fascismo, attraverso la dittatura,
ci avrebbe condotti.
Il fascismo
dovette pagare, soprattutto nei primi anni, non piccolo prezzo alle forze
economiche che ne avevano sostenuto lo, sviluppo e l'ascesa.
«Certo non doveva
essere facile persuadere i lavoratori che il fascismo lottasse per la giustizia
sociale ed intendesse anche eventualmente mettersi contro il ceto
capitalistico, dal momento che la politica a cui essi avevano assistito si era
tutta svolta in favore proprio di quel ceto. Ecco, infatti, come riassumeva
questa politica Massimo Rocca il quale diceva che suo errore era di "far
coincidere l'economia produttiva con la borghesia industriale e agraria, e
questa ultima con l'alta borghesia bancaria e speculatrice, in modo che la
Patria diventi un suo monopolio economico" » (34).
Le dimensioni
della nostra trattazione non consentono la citazione di una serie di
provvedimenti del governo fascista, secondo più autori, dimostrativi della
simpatia reciproca, nonostante l'origine socialista di Mussolini, fra il
giovane partito e gli ambienti dell'alta finanza e della grande industria.
Senza pretendere di contestare tale giudizio, osserveremo che ogni medaglia ha
il suo rovescio e la privatizzazione dei telefoni, ad es., portata da molti
polemisti come una delle prove del connubio del fascismo con i capitalisti, fu
anche, come gli studi dimostrano, la premessa di un più ordinato, vasto ed
economico sviluppo di questo mezzo di comunicazione: operazione quindi
vantaggiosa per i capitalisti, ma non meno per la collettività (35).
Il quadro sociale,
neii primi tempi del fascismo, fu tutt'altro che roseo: i salari non seguivano
l'aumento del costo della vita; diminuivano le imposte dirette, ma aumentavano
quelle indirette. Scoppiarono allora le ultime agitazioni operaie promosse dai
sindacati non fascisti e ciò convinse il fascismo della necessità di eliminare
ogni concorrenza anche in tale campo, per giungere al sindacato, unico.
La legge 3 aprile
1926, n. 563, stabilì che il riconoscimento della personalità giuridica
pubblica sarebbe stato accordato a quel sindacato che raccogliesse almeno il
decimo dei lavoratori della categoria per la quale l'associazione era
costituita; era però richiesta “la buona condotta politica e morale dal punto
di vista nazionale”, il che significò l'esclusione dall'organizzazione
sindacale giuridicamente riconosciuta di tutte le associazioni non fasciste, e
quindi la fine della libertà sindacale.
Qualche mese più
tardi, il regolamento sindacale del 10 luglio diede inizio all'ordinamento
corporativo: le corporazioni riunivano « le organizzazioni sindacali nazionali
dei vari fattori della produzione, datori di lavoro, lavoratori intellettuali e
manuali, per un determinato ramo della produzione o per una o più determinate
categorie di imprese » (art. 42 del decreto).
L'ordinamento
corporativo fu ancora solennemente riaffermato nella « Carta del lavoro »,
approvata dal Gran Consiglio del fascismo il 21 aprile 1927, in occasione della
celebrazione del Natale di Roma, e divenne una delle basi fondamentali del nuovo
Stato.
Se l’ordinamento
corporativo significò il tramonto della libertà sindacale e praticamente la
soggezione dei lavoratori ai più potenti rappresentanti dei ceti padronali,
l'applicazione della «Carta del lavoro» non poteva non recare alcuni vantaggi
ai lavoratori, «perché i nuovi contratti collettivi dovevano garantire la
giornata di otto ore, le vacanze pagate, una relativa stabilità di occupazione,
una mercede contrattualmente fissata, l'adozione delle Casse mutue di malattia
ed il preavviso obbligatorio di licenziamento accompagnato dal pagamento di una
indennità proporzionata alla anzianità nell'azienda» (36).
Un giudizio
politico e morale sul fascismo non può che essere altamente negativo, perché si
reggeva sulla negazione della libertà e sulla violenza, interruppe lo sviluppo democratico del nostro popolo, con
effetti che ancora oggi ben sentiamo. Troppo si fondava sul sentimento, a spese
della ragione, e nella sua rovina finì sventuratamente con il trascinare la
Monarchia stessa che, durante il ventennio, aveva avuto una funzione oscura ma
essenziale di freno, sì da impedire al fascismo gli orrori di altre dittature
consorelle.
Un giudizio sulla
politica economica del fascismo non può essere altrettanto negativo, perché ad
essa si deve riconoscere il merito di aver contribuito in qualche modo allo
sviluppo dell'industria e dell'agricoltura italiana, mentre non si possono
rimproverare gli investimenti africani che avrebbero dovuto consentire lo stabilirsi
in quelle terre di tante famiglie costrette alla povertà nella poca e non
sempre ricca terra di casa nostra. Condannabile invece l'autarchia economica,
quando non dettata dalla necessità, perché il governo fascista finì con
l'impoverire il nostro Paese, costringendolo a produrre anche ciò che poteva
fabbricare solo ad alto prezzo e con risultati spesso scadenti.
Il governo
fascista, pur con tutti i suoi errori, seminò però su un terreno fertile: era
quello già fecondato durante i precedenti governi democratici della Monarchia.
Uniamo questo concetto allo altro, anch'esso vero, di un sincero interesse del
fascismo, o almeno di una parte attiva del movimento, ai problemi dei lavoratori,
la cui simpatia doveva conciliarsi, e non ci meraviglieremo se, nonostante la
mancanza di libertà e di controlli, la nostra legislazione sociale ebbe
importanti sviluppi, indubbiamente più notevoli di quelli realizzati finora
dalla repubblica del 1946.
Già s'è accennato
ai fondamenti giuridici del nuovo ordinamento sindacale fascista, ai suoi
aspetti negativi ed ai riflessi positivi. Ecco ora un quadro dei principali
provvedimenti nel campo delle assicurazioni sociali.
L'assicurazione
obbligatoria delle malattie professionali venne introdotta con il R. D. 15
maggio 1929, n. 988, entrato in vigore il 10 gennaio 1934, dopo la
pubblicazione del relativo regolamento approvato con R. D. 5 ottobre 1933 n.
1565. Le, leggi relative alla assicurazione contro gli infortuni del lavoro
industriale e contro le malattie professionali furono unificate nella legge 17
agosto 1935, n. 1765, ancora vigente, mentre, come già accennato,
l'assicurazione contro gli infortuni agricoli è ancora disciplinata dalla legge
del 1917.
La «Carta del
lavoro» diede nuovo impulso alla costituzione di organismi mutualistici di
malattia, promuovendo la cosiddetta mutualità professionale o sindacale.
Ricordiamo nel settore industriale: il contratto collettivo nazionale 6 marzo
1930, avente lo scopo di fornire un contributo tecnico nella formazione di
organismi mutualistici industriali; il R. D. L. 6 settembre 1934, n. 1619, convertito
nella legge 14 gennaio 1935, n. 123, costitutivo della «Federazione delle mutue
di malattia dell'industria»; il contratto collettivo nazionale 11>
luglio 1936, istitutivo della Mutua provinciale per gli impiegati; il contratto
collettivo nazionale 3 gennaio 1939, istitutivo della Mutua provinciale per gli
operai; i quattro contratti collettivi nazionali stipulati nel 1939 e nel 1941,
per l'estensione dell'assicurazione ai capi operai, assistenti ed aiuto
assistenti, ai componenti il nucleo familiare degli operai e degli impiegati.
Nel settore agricolo: convenzione 10-7-1929, tra le due confederazioni
dell'agricoltura: dei datori di lavoro e dei prestatori d'opera, per la
costituzione di Mutue provinciali di malattia facenti capo ad una Federazione
nazionale con scopi di coordinamento, studi e propaganda; riconoscimento
giuridico di questa Federazione, con R. D. 23 ottobre 1930, n. 1567; una serie
di contratti collettivi nazionali, stipulati tra il 16 ottobre 1935 e il 28
novembre 1939, per l'effettiva costituzione di Mutue in tutte le provincie, per
l'assistenza ai braccianti, salariati, compartecipanti, maestranze
specializzate, coloni e mezzadri; R. D. 14 luglio 1937, n. 1485, e 4 dicembre
1939, n. 221, per la trasformazione delle Mutue provinciali da enti autonomi in
uffici periferici della Federazione. Nel settore del commercio: R. D. 24
ottobre 1929, n. 2608. che riconosceva giuridicamente la Cassa nazionale
malattie per gli addetti al commercio, alla quale vennero successivamente affidate
diverse categorie di lavoratori. Nel settore del credito, assicurazione e
servizi tributari: R. D. 1 novembre 1938, n. 2001, che accordava il
riconoscimento giuridico, all'INFALACAST.
Alla mutualità
sindacale fece seguito l'assicurazione generale di malattia, introdotta con la
legge 1l gennaio 1943, n. 138, creatrice dell'INAM, Istituto nazionale per
l'assicurazione contro le malattie, in cui avrebbero dovuto essere assorbiti
tutti gli organismi mutualistici dei vari settori economici. Attualmente tale,
fusione è avvenuta solo in parte: gli assistiti dall'INAM, a circa 10 anni
dalla fine della guerra, ammontavano a 16, milioni. Si attende sempre la
attuazione di una completa riforma della Previdenza sociale.
Trascuriamo, per
brevità, di accennare ai numerosi provvedimenti modificativi della legge sull'assicurazione
obbligatoria contro l'invalidità e la vecchiaia e su quella contro la
disoccupazione involontaria. Ricordiamo soltanto che l'assicurazione
obbligatoria contro la tubercolosi fu introdotta con R. D. L. 27 ottobre 1927,
n. 2055.
Oltre ai
provvedimenti assicurativi, vi furono disposizioni legislative concernenti
particolari limitazioni al lavoro delle donne e dei fanciulli: legge 16 aprile
1934, n. 653, e R. D. 22 marzo 1934, n, 654, oggi modificato e integrato dalla
legge 26 agosto 1950, n. 860. La giornata lavorativa di otto ore fu introdotta
dal R. D. L. 15 marzo 1923, n. 682, riguardante gli impiegati in generale e gli
operai dell'agricoltura e del commercio (inizialmente anche gli operai della
industria), seguito dal R. D. L. 29 maggio 1937, n. 1768, per gli operai
dell'industria.
Il nuovo Codice
civile, promulgato nel 1942, dedicò il libro V, «Del lavoro», in particolare il
titolo I, «Della disciplina delle attività professionali», e il titolo II, «Del
lavoro nell'impresa», alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato, di
mezzadria, di colonia parziaria e di soccida.
La sconfitta
militare travolse il fascismo che, soprattutto per una previsione errata del
suo «duce», volle il nostro intervento, a fianco della Germania, molto prima
che fosse completata la nostra preparazione militare (37); la sconfitta non
poteva evidentemente annullare i progressi sociali conseguiti tra la prima e la
seconda guerra mondiale, progressi che appartengono in buona parte ai non molti
fatti positivi ereditati dal fascismo, ma che, è bene riaffermarlo, si
inquadrano nella gloriosa tradizione sociale della Monarchia sabauda.
(33) MARIO VIANA: «La Monarchia e il
fascismo - L'angoscioso dramma di Vittorio Emanuele III », Marviana, Roma,
1954, pagina 211.
(34) FRANCO CATALANO: «Le corporazioni
fasciste e la classe lavoratrice dal 1925 al 1929», in «Nuova Rivista Storica»,
Roma, gennaio-aprile 1959, pag. 35.
(35) VINCENZO
PICH: «I telefoni in Italia fino alle convenzioni del 1925 », in « Selezionando
- notiziario STIPEL », anno X, n. 2, 3, 4, febbraio – marzo - aprile 1959.
(36) FRANCO CATALANO, opera citata, pag.
54.
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