L'IMPOSTAZIONE
DELLA BATTAGLIA
Per merito del Partito Nazionale Monarchico l'impostazione
della battaglia per la Monarchia affermò il diritto e il dovere di collocarsi
sul terreno morale, giuridico, costituzionale: perché la ragione morale, giuridica,
costituzionale assistono ugualmente l'interpretazione storica e la speranza
nazionale.
Proprio perché si avverti e ispirò la ragione morale il
Partito Nazionale Monarchico non soltanto fece appello all'opera di quanti
convennero nella rivendicazione e nella azione, ma a quanti riconoscevano la
realtà e la lealtà di premesse che sembravano - perché erano, perché sono
indubitabili, anche se essi non convenivano nelle conseguenze che dalle
premesse il Partito Nazionale Monarchico credette sin dalle prime ore - come
crede tuttora - di poter trarre.
Scrivevo, su Italia Monarchica del 20 ottobre 1949: « Il dato
obiettivo deve essere riconosciuto nella sua esattezza anche quando
l'interpretazione possa e debba divergere per l'inserirsi nella disputa di
elementi vari di natura storica e politica ».
In cospetto al referendum del 2 giugno per la determinazione,
per la preparazione, per la esecuzione di esso (come anche per la sua
interpretazione) il materiale morale al giudizio è imponente. Né si irrida alla
ragione morale nella interpretazione del fatto storico e politico non solo per
una ragione costante: che vale per tutti quelli che credono nella coscienza e
non proclamano nell'alto della bocca l'imperativo morale; ma soprattutto per
quelli che nell'ultimo conflitto si affidarono - o più esattamente dissero di
affidare le loro speranze - alla forza delle grandi idee universali che, come
la libertà, per le ragioni dello spirito contrastano la libertà della forza:
come tale, bruta.
Né potranno irridere alla ragione morale coloro i quali
credettero di addebitare alla espressione personale e concreta della
Monarchia---il Monarca proprio la colpa morale di asserita mancata fedeltà agli
impegni della Tradizione. Chiaro è, infatti, che se fosse stata vera la
impostazione contro la Monarchia derivata dagli errori di un Sovrano - a parte
la manifesta ed inammissibile e assurda sproporzione tra la causa e l'effetto -
sarebbe ancor più da esigersi la valutazione morale ispiratrice di una determinazione
che soltanto dalla ragione morale traeva la sua pretesa giustificazione. Né
soprattutto avrebbe potuto e dovuto sottrarsi all'imperativo morale, nella
considerazione del fatto storico, quel complesso politico che deriva o che-
afferma derivare la sua impostazione politica e sociale da una premessa
religiosa evidente essendo che non può non tendete - sempre - ad osservanza
morale chi viva religiosamente.
Se cosi è (e cosi deve essere), nessuno il quale creda al
dovere morale nella interpretazione politica, potrà non avvertire la iniquità
di decisioni imposte in eccezionalità di condizioni contingenti a decidere per
lungo destino - attraverso l'inabissamento di tutta una Storia; nella tregenda
del turpiloquio e della leggenda - assenti innumerevoli interessati -
interessati e autorizzati all'esame e alla decisione; confuse le opposte
ragioni e i diversi pretesti: incompatibili addendi per mostruoso totale.
Né il Partito Nazionale Monarchico ignorò la osservazione che
l'a ragione morale, che accusò quanto era accaduto, era ad un tempo morale
politica giuri
dica, ma subito osservò che mentre taluni rilievi contro il
fondamento della pretesa decisione istituzionale erano, esclusivamente, alla
radice, morali, altri furono ad un tempo - e rimangono - alla radice, morali e
politici e le stesse ragioni giuridiche e costituzionali, squisitamente tali,
avevano, ed hanno, il conforto di verità morali e di realtà politiche.
Assunse il Partito Nazionale Monarchico essere malagevole
scrivere tutto sul punto delle sofferte imposizioni che condussero al
referendum. V'hanno poteri che non possono mendicare giustificazioni dalla
impotenza e v'ha radice di sovranità che non può affidarsi alle fronde.
Ma la Monarchia italiana - pensò il Partito Nazionale
Monarchico - proprio per la sua storia, proprio per il suo atto di nascita - ha
potuto consentire ad un esame, al quale si era sottoposta quando i plebisciti
lo consacravano.
Nessuno che conosca la storia e, per averne inteso gli
insegnamenti del passato, non abbandoni l'esercizio del diritto ad influirla
senza piegare alle realtà che si assumono fatali, poteva non sentire il disagio
di fronte a giudizi storici affrettati e caotici, dove il caos era anche
contraddizione.
La rivoluzione è dato di fatto (i diritti di rivoluzione
essendo generalmente rivoluzione contro il diritto); comunque rivoluzione è
rivoluzione: ma non tale sicuramente era stato quello che si era verificato in
Italia, anche se la « papalina » non aveva sdegnato la confusione col «
berretto frigìo » ! Sul terreno istituzionale nella prima ora convulsa si era proclamata
la tregua istituzionale: e i Ministri, se non avevano giurato fedeltà al Re,
dal Re avevano ricevuta la investitura! Esperimento sicuramente abnorme sotto
il profilo costituzionale, ma non certo rivoluzionario e con forme perché
rivoluzionarie indeterminate i
Pubblicava il settimanale del Partito Nazionale Monarchico
(1): « L, quindi, evidente il disagio anche di intellettuale di fronte alla
pretesa storica di definire responsabilità anche di natura personale, nei
confronti di elementi estremamente complessi e di eventi verificatisi non nel
chiuso dei confini di una Nazione ma nei confini del Mondo! Ecco, invece, che
in Italia si è preteso di sentenziare in rito direttissimo in materia che
esigeva istruttoria formale... »
Peggio, non si è deciso in libertà: se libertà non sia
soltanto disponibilità fisica per la conclusione del voto, ma incontrastata
possibilità di libera discussione. Se si è potuto votare in cabina, non una
voce poté rivendicare la tesi monarchica su molte piazze e nei . grandi centri
degli stabilimenti operai. Né si dica che fu la viltà dovunque ad eleggere il silenzio:
fu la protervia ad imporlo.
In asserita tregua istituzionale fu sarabanda di offese: nei
confronti del Capo dello Stato non osservato un minimo - nemmeno un minimo -
nonché di rispetto (che la legge voleva nei non abrogati articoli del non
abrogato Codice Penale, oggi rivissuti e fiorenti non più per la persona del Re
«sacra ed inviolabile » ma per il Successore repubblicano pur passibile delle
ipotesi dell'articolo 90), ma di pudicizia che la morale dei puritani - pronubi
al « libero amore » nelle coabitazioni, anzi nelle convivenze intimissime - avrebbe dovuto esigere: parlarono in allora
i muri d'Italia lungo tutte le strade della Penisola senza calce! Ne arrossirono
i cittadini che avessero dignità civile e senso morale.
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