LA CARITA' DI MAFALDA
La carità di Mafalda trovò il mezzo di esprimersi, di concretarsi anche nel campo di Buchenwald. La sua sofferenza, compendio di tutte le sofferenze che possano essere inflitte ad una creatura, sia essa Principessa o la più infelice donna del popolo, non attenuò, nemmeno per un attimo, il suo fervore caritatevole. Dimenticava sè stessa per occuparsi e preoccuparsi degli « altri ». Distribuiva, ogni giorno, dei viveri ai prigionieri ed, in modo speciale, al Boninu che veniva invitato a sedersi al tavolo della Principessa. Ella l'autorizzava a parlare di Lei ai loro connazionali e l'incaricava, se ciò si fosse dimostrato possibile, a far pervenire al marito le sue notizie. Gli diede l'indirizzo del suo figlio soldato: Maurizio, del Conte di Sant'Elia in Alghero (Sardegna) e della famiglia Riccio.
E Boninu ricambiava la confidenziale benevolenza di Mafalda con un modesto dono, dell'argilla, che consentiva ad Essa, artista, di fabbricare dei vasi cotti durante la notte nelle stufe, vasi che sperava di poter un giorno, sia pure un giorno lontano, portare ad Elisabetta, la sua piccola, ch'Ella ricordava con struggente tenerezza.
Un giorno, uno di quei t anti giorni su cui pesava la cappa del terrore, Boninu venne destinato ad un altro coniando: perfino la permanenza alla baracca n. 15 gli era vietata. Non vedendolo, Mafalda riuscì attraverso la complicità di un francese ad inviargli dieci marchi avvolti in un pezzo di carta sul quale aveva scritto il nome di lui e « tanti saluti ».
Boninu conserva e conserverà sempre come si custodisce un tesoro quel candido foglio: i k tanti saluti >'.
Il campo di Buchenwald ebbe un solo bombardamento: il 24 agosto 1944. Stormi di apparecchi alleati : officine distrutte, le caserme delle S.S. danneggiate. Non una sola bomba cadde entro il recinto del campo. Malgrado ciò le vittime, anche tra i prigionieri, furono notevoli dato che alla maggior parte degli internati non riuscì possibile allontanarsi dalle officine, e che le scariche della fucileria delle guardie ucraine colpirono coloro che cercavano scampo fuggendo nel bosco.
La nostra Principessa Mafalda si trovava in quel momento nella trincea : le macerie della baracca, colpita da una bomba incendiaria, le caddero addosso, la ricoprirono.
Alcuni prigionieri raccontano di aver udito grida d'aiuto, strazianti voci femminili, ancor prima che l'ultima pioggia di bombe, vicinissime, rovesciasse completamente il muro dì cinta e trasformasse in un braciere la baracca crollata. Gli aiuti non furono solleciti. Gli ufficiali S.S. si affrettarono a reclutare i primi volonterosi che si erano avvicinati alla baracca 15 ed imposero loro di mettere in salvo, innanzi tutto, gli oggetti, le cose che a loro premevano. Fra questi volonterosi vi era un Vorarbeiter tedesco che per ben due volte fu costretto ad interrompere la sua opera pietosa per portare dei pacchi a due ufficiali S.S.: ufficiali che non hanno più diritto di chiamarsi nomini.
Quando il Vorarbeiter riuscì, finalmente, a ritornare sul posto, si trovò dinnanzi al più lugubre degli spettacoli: un terreno ingombro, sconvolto dai resti fuinanti della baracca.
SI LEVA UN GRIDO...
Dalla trincea franata si leva un grido femminile una disperata invocazione d'aiuto. Una voce di donna: la voce della nostra Principessa sabauda.
Soltanto la testa di Mafalda. Soltanto il suo volto diafano e dolorante, affiora dalle macerie. I suoi grandi occhi, trasformati da un'espressione di terrore fissano il cielo: forse invocano la clemenza degli uomini invocano, certamente, la benevolenza di Dio.
Aiutato da altri volonterosi il Vorarbeiter incomincia a disseppellire la Principessa, ma ancor prima di aver portato a termine il suo lavoro, che poteva significare vita o morte, egli, per ordine di Mafalda disseppellì la signora Breitscheid che le giaceva vicina. questa, però, era soltanto svenuta.
Liberate le due signore esse furono trasportate dai loro salvatori, prima sulla strada, poi al campo, nell'ospedale. L'ospedale zeppo di feriti, sonoro di urli strazianti, non aveva la possibilità di accoglierle
Il calvario continuava.
Si aprirono ad esse le porte di un postribolo trasformato in un lazzaretto di fortuna. La casa che ospitava ieri un piacere anonimo accoglieva, oggi, indegnamente, una Creatura alla quale era stata imposta la più acuta sofferenza : sofferenza spirituale, sofferenza fisica.
Ore sedici. Le prime cure. La Principessa aveva riportatouna grave contusione al braccio sinistro ed inoltre presentava una vasta scottatura di secondo grado, mentre un'altra scottatura. meno importante, si notava sulla guancia sinistra. La medicatura affrettata si ridusse ad una semplice fasciatura e, nulla, assolutamente nulla, fu tentato per riattivare la circolazione del braccio.
Mafalda, pur soffrendo il soffribile, trovava ancora la forza per sorridere a quelli che le erano vicini, a quelli che dovevano poche ore dopo firmare la stia condanna. Ella non aveva smarrito la sua, fede : Ella voleva, credere ancora nella bontà degli uomini.
Una prostituta d'origine scandinava, Iugan Luzedan, le faceva da infermiera. Nel tetro edificio, trasformato dalla guerra vibravano l'ansia, l'abbattimento, la speranza, il dolore. Colpe di ieri. Colpe di oggi : spettri di colpevoli, candide visioni d'innocenti umanità. Umanità dolorosa e dolorante.
Il braccio sinistro della Principessa non tarda il presentare i segni della cancrena. L'amputazione si impone li chirurgo Hans Wittland è, già pronto per l'operazione il comandante del campo ordina invece al dottore delle S.S. Schidlawstzj di procedere all'amputazione.
L'S.S. nicchia e rimanda di giorno in giorno, con pretesti puerili, l'atto operatorio. Si ha la netta sensazione che l'indugio sia provocato per attendere ordini superiori, che si desideri ritardare l'intervento chirurgico dimenticando ogni dovere umano l'imperiosa evidenza, l'esperienza clinica.
Mafalda, creatura dispensatrice di pace, è, ancora una volta, vittima della crudeltà politica, figlia della guerra.
Finalmente il lunedì 28 agosto - sotto già trascorsi quattro lunghi, decisivi giorni - la Principessa viene trasportata all'ospedale per essere sottoposta all'atto operatorio. Una barella, come tutte le altre. Ore diciannove.
Il direttore S.S., contrariamente ad ogni previsione dichiara di voler operare Mafalda: non vuole che si possa dire che una Principessa di sangue Reale sia stata operata da un chirurgo prigioniero. Un altro tranello? E' veramente questo il tragico destino, la condanna che pesa sulla Principessa?
L'operazione viene fatta con l'assistenza del dottor Horn, del dottor Thomas George, assistente della clinica universitaria di Strasburgo, con istrurnentario Frank-Frank ed alla narcosi eterea Wunderfich.
Contrariamente all'avviso dei dottor Horn (che invece era sempre ascoltatissimo e stimato dagli S.S. ed in modo particolare nel campo chirurgico dal SchidIawskj, per la sua riconosciuta capacità chirurgica) il medico S.S. volle eseguire una minuziosa e classica operazione d'amputazione per disarticolazione alla spalla con pedante preparazione anatomica di tutti i muscoli e con la formazione di un estetico classico lembo muscolare d'amputazione.
Le gravi condizioni, quasi cachetiche, della Principessa, peggiorate dall'intossicazione post-traumatica avrebbero consigliato a qualsiasi medico un'operazione minuziosa e lunga, debilitante, con inevitabile e copiosa, perdita di sangue.
Sul registro delle operazioni l'intervento venne regístrato con uùa durata di mezz'ora.
Tempo già eccessivo per una disarticolazione. Tutti i presenti all'operazione ed anche il chirurgo francese Daladier che operava nella stanza a fianco, dichiararono che l'operazíone durò almeno tre quarti d'ora.
AGONIA
La Principessa, ancora addormentata, fu riportata nel postribolo.
Notte di silenziosa agonia: impercettibili sospiri, respiri lenti. L'alba indifferente e livida fu la prima a scorgere il suo cadavere: le cinque del mattino. Nessuno, durante la notte, era venuta a visitarla. L'alba indifferente e livida. fu la prima.
Prima di morire volle scrivere una parola, traeciare il suo ultimo saluto, ai Figli, ai Marito, ai Genitori.
Ciò che viene consentito a qualsiasi reo, a qualsiasi delinquente è stato negato a Lei, creatura regale e pietosa, è stato negato a Mafalda di Savoia.
Chiese, Lei, profondamente religiosa, Il assistenza e la benedizione di un sacerdote.
L'ultimo conforto concesso, per l'infinita cIemenza di Dio, anche al più ostinato dei peccatori, è stato negato a Lei, creatura innocente.
UNA PRINCIPESSA ITALIANA
Subito dopo la morte il corpo della Principessa Mafalda completamente nudo fu portato da due nomini al forno crematorio. Un certo Giorgio Stiel, che procedeva all'autopsia chiese, naturalmente, l'identità della defunta agli uomini che avevano trasportato il cadavere. Fungeva da prosettore l'internato Padre Giuseppe Tyl il quale, vedendo una salma di donna con il braccio amputato, chiese anch'esso ai portatori chi fosse.
La risposta fu laconica e breve: Una Principessa Italiana.
La salma era quella di una donna di piccola statura, molto magra di grave deperimento, con mucose completamente sbiancate, pelle pallidissima per evidente emorragia, con mancante il braccio sinistro. La spalla sinistra era fasciata e dalla fascíatura conipietamente imbibita di sangue, gocciolava ancora del siero sanguinolento. Le palpebre non erano completamente abbassate. La bocca serrata, il labbro inferiore stretto fra i denti, esprimeva anche dopo la morte un vivo dolore. Sulla guancia sinistra era visibile una vasta scottatura. Pure i capelli erano in parte bruciacchiati.
Il Padre Tyl che voleva, a tutti i costi, salvare la salma della cattolica Principessa dalla cremazione si recò, con questo intento, dall'Oberscharfuher S.S. dei crematorio, domandandogli a bruciapelo che cosa s'intendeva fare della salma di Mafalda di Savoia.
L'S.S. - logicamente - non riuscì a nascondere il suo disappunto. Malgrado le precauzioni prese la salma era stata identificata li Padre Tyl insistette ancora per ottenere un feretro: umile, pietosa richiesta L'S.S., dopo qualche esitazione finì con l'acconsentire.
Il prosettore prese allora una cassa dipinta in nero con ornamenti d'argento e vi depose, con mani pietose e cuore commosso la salma. Prima di chiudere la cassa egli tagliò una ciocca di capelli della Principessa, ciocca che, più tardi, divise in due: una parte, nascosta nella busta degli occhiali venne portata a Dachao al sacerdote Giorgio Stengher e l'altra ad un vecchio professore residente a Iena dal suo conoscente, il medico olandese Robert Jan.
La salma di Mafalda venne trasportata assieme a quella di altri S.S. a Weimar dove venne seppellita nel reparto d'onore riservato ai morti per causa di guerra.
UNA DONNA SCONOSCIUTA
La sua fossa porta il numero 262. Nel registro Essa venne notata come: - "Donna, sconosciuta" .
Sola. Ancora una volta: sola. Lontana dalla Sua Italia. Non la vigila nemmeno l'ombra pietosa di un nostro cipresso.
Ad alcuni marinai di Gaeta è stato concesso il privilegio di. porre sulla Sua tomba una croce di legno ed una lapide di marmo.
Questi marinai, interpreti di noi tutti, hanno deposto anche un vaso portafiori. Essi hanno compreso il nostro desiderio: quello di profumare il sonno della nostra Principessa con il profumo dei « suoi , dei nostri » fiori.
Profumo d'Italia. Profumo di terra lontana. Il popolo s'inchina dinnanzi a Mafalda di Savoia, Bandiera Italiana.
Carla Orlando, donna sensibile, -donna profondaniente Italiana, ha descritto con tono appassionato e commosso, ad un pubblico che non ha saputo trattenere le lacrime la nobile figura di Mafalda di Savoia.
Le parole sbocciate dal fervente cuore siciliano di Carla Orlando s'intrecciano con i fiori deposti dalle mani riverenti dei marinai di Gaeta.
DAISY DI CARPENETTO
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