NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 4 febbraio 2012

Il martirio di Mafalda II parte

LA VITA SEMBRAVA SORRIDERLE...
La vita sembrava sorriderle: tenera madre di quattro figli, lunghe parentesi vissute nella , sua Italia, fra la sua gente, circondata dalla devozione del  suo popolo che aveva sofferto nel vederla andare sposa ad un Principe straniero. Ella ritornava, fedelissima, alla sua terra. Ella trascorreva i brevi periodi di riposo che concedeva alla sua caritatevole attività a Capri. Capri: la Principessa Mafalda ricompariva come ricompaiono le Principesse nelle fiabe, ai pescatori, ai poveri, li riconosceva ad uno ad uno, li chiamava per nome. La memoria del suo cuore era sorprendente. Sostava nel giardinetto generoso di fiori, ritrovava la sua forza fisica attraverso l'aria profumata da mille profumi, riprendeva ad essere se stessa, benediva il sole che la ribattezzava Italiana.

LA GUERRA
Eppoi, all'improvviso la guerra: questo terribile mostro dai troppi tentacoli, che fruga ed addenta in tutte le case, che impone agli uomini di uccidere degli altri uomini, che non rispetta nessuno, che livella tutte le classi sociali nel dolore che le accomuna.

La guerra non risparmia il cuore di Mafalda: ansia di moglie e di madre. Ella è soltanto una donna, come tutte le altre. Ella, come tutte le altre, si nutre d'ansia e di sofferenza. La follia di due Capi ha dimenticato, o vuol dimenticare, l'ombra di lutto che si addensa sulle case, sugli uomini pacifici ed imporrà ai campi un riposo che, forse, provocherà la farne, ed interrompe un ritmo fattivo: la follia di due Capi ha assecondato le ambizioni speculative ed ha dimenticato d'interrogare gli uomini che ne saranno i protagonisti e sapranno rivelarsi degni, malgrado non sentano la parte che è stata loro affidata, fino al loro ultimo respiro, del compito che è stato loro imposto.
La guerra addenta anche i sedici anni del Principe Maurizio: il primogenito della Principessa Sabauda. Mafalda possiede un'immensa forza: la Fede. Questa Fede la sorregge, questa Fede l'assiste concedendole il più grande dono che possa essere elargito dal Signore alle creature che se ne dimostrano degne. Ella trae dalla sua fragilità fisica una forza spirituale che può soltanto sorprendere coloro che non hanno avuto il privilegio di avvicinarla, od il desiderio di voler approfondire ciò che celava, per umiltà, il mesto riserbo della nostra Principessa.

LA MORTE DI RE BORIS
La notizia improvvisa della morte di Sua Maestà il Re Boris di Bulgaria, morte avvenuta in circostanze misteriose e che, con ogni probabilità fu una conseguenza del drammatico colloquio avvenuto con Hitler nella rocca di Berchtesgaden, è, ancor oggi, avvolta nel mistero. Si è ripetuto con un'insistenza che potrebbe essere una fonte di verità che Hitler sparò tre colpi di rivoltella nell'addome di Boris. Una cosa è certa: Boris ritornò a Sofia, moribondo, e vi morì due giorni dopo. Si era ai primi di settembre del 1943.

Fin dall'infanzia Mafalda aveva dimostrato una predilezione per Giovanna: Giovanna sua sorella minore; Giovanna, oggi, infelice Regina. Ella si recò immediatamente nella capitale Bulgara per sorreggere con la sua addolorata tenerezza la sorella, per assistere ai funerali del cognato. Pochi giorni: ore dense d'intimità e di dolore. Ore vissute lontane dalla ribalta a cui sono condannati i personaggi nati dalla Storia ed ai quali, non di rado, la Storia impone un destino tragico. Anche l'intiinità, la schietta, semplice intimità concessa al più umile figlio del popolo, rappresenta un dono raro, quasi un frutto proibito, per coloro che il destino ha elevato ad un rango ch'Essi non hanno preteso.

La Principessa Mafalda ritorna a Roma: esce da un'atmosfera tragica per ritrovare un'atmosfera più tragica ancora. Ha l'impressione che la sua Patria venerata abbia, all'improvviso, mutato volto ed anima. Stenta a riconoscerla. Stenta a ritrovare se stessa. Pochi giorni di lontananza sono riusciti a scavare un abisso. Ella, la soave Principessa, misura la drammatica solitudine che l'attornia: il Re e la Regina (per Lei rappresentano soprattutto « Suo Padre, Sua Madre ») sono andati a Brindisi con il Principe Umberto e Badoglio. Iolanda è partita per la Svizzera con la Principessa di Piemonte, il cognato, il Conte Calv.i di Bergolo, è stato internato, chissà dove, per l'aver rifiutato di collaborare con i tedeschi. Mafalda ignora dove si trovi suo marito, dove siano i suoi figli.

E' sola: è oppressa dal peso di questa drammatica, sconfinata solitudine che il destino risparmia alla gente del popolo, a coloro che non sono prigionieri dei « cosiddetti » privilegi di casta. E' sola. Non Le è nemmeno consentito di soffrire questa sua solitudine avvelenata da presagi funesti, fra le mura del Palazzo che l'ha veduta crescere.

Il Quirinale è vigilato dagli sgherri di Pollastrini e dalle S.S. tedesche. E' sola. Profondamente, tragicamente sola. Su di un cielo grigio e triste, foriero di un autunno precoce spicca, s'intaglia, la maestosa cupola di San Pietro. Questa cupola acquista il valore e la risonanza di un richiamo. La sventurata Principessa pensa che soltanto il Papa potrà darle aiuto e conforto.

L'ARRESTO
22 settembre 1943. Le campane di Roma vibrano per l'ansia di annunziare il mezzogiorno. Non si sono sbrigliate ancora. Attendono di poter elargire il loro dono sonoro.
La Principessa Mafalda esce dal Vaticano: è serena, ha ritrovato la sua forza, non teme l'avvenire. Una religiosa serenità l'investe e quasi la smemora. E' attratta dalla solenne, classica bellezza di Piazza San Pietro. Il prodigio d'armonia la seduce, seduce Mafalda, Italiana che lontano dall'Italia si è ammalata di nostalgia.

Le campane si sbrigliano nell'annunziare mezzogiorno.

Due poliziotti germanici fermano Pietro una donna Italiana.
Due poliziotti germanici fermano in Piazza San Pietro Mafalda di Savoia: la fanno salire su di una lunga macchina nera e chiusa. Non danno spiegazioni. Senza dubbio la Principessa non si abbassa  a chiederle.
La macchina sì dirige in fretta verso l'Ambasciata. L'ambasciatore von Rhan comunica alla
Principessa l'ordine d'immediata partenza per la Germania. Non le viene concesso di rivedere i suoi tre
figlioli nè di prendere nemmeno quel minimo di bagaglio indispensabile. Ella comprende troppo tardi
di essere considerata un prezioso ostaggio. Non le rimane  altro che chinare il capo ed ubbidire. Rivolge
un ultimo saluto ( doveva realmente essere l'ultimo) alla sua Roma, sfiora per l'ultima volta il suo suolo
natio prima di salire sull'apparecchio che la trasporterà a Berlino. Le hanno dato una compagna a cui sono state impartite direttive precise: una donna di facili costumi Mafalda non le serba rancore, pensa che, forse, anch'essa è stata costretta ad ubbidire.


Tragico volo acuta sofferenza vissuta nel cielo ,fra nubi e lembi d'azzurro, incertezza sta quanto le potrà accadere, angoscia al pensiero dei Figli. Quanto tempo dovrà trascorrere prima ch'Ella possa rivederli e dir loro: « Non sono fuggita... La vostra mamma era, quel giorno, soltanto un'infelice prigioniera? ».

Da Berlino sempre accompagnata dalla medesima donna che non l'abbandona un attimo, viene condotta in un'autovettura verso una meta non precisata. Le dicono ch'Ella rivedrà suo marito, il Principe di Essen. Essa ha quasi paura di credere. Teme un secondo tranello è entrata all'improvviso, da pochi giorni, in un mondo sconosciuto fino allora, che la sgomenta. Non osa nemmeno più sorridere.

BUCHENWALD
La conducono, infatti, a Buchenwald, la rinchiudono in una baracca speciale, numero 15, riservata ai prigionieri che possono destare un certo interesse.


La baracca è situata nel breve spazio esistente sulla sommità della collina, fra grandi officine e le caserme S.S. Il campo dei prigionieri si trova invece sul pendio settentrionale, poco discosto. La baracca recintata da un muro alto tre metri sormontato da sostegni di ferro inclinati verso l'interno che reggevano dei fili di ferro spinato e guarnito, in cima da pezzi di vetro, misurava dai 40 ai 60 metri.

Dalla baracca costruita in legno comune su di un rudimentale terrapieno, priva di soffitti, rifinita alla meglio si poteva soltanto scorgere il cielo. Sul lato occidentale erano allineate sedici stanzette: la porta di ciascuna si apriva su di un lungo corridoio che occupava la parte orientale della baracca. Sentinelle armate, di truppe S.S., reclutate in Romania: vigilanza continua di giorno e di notte, vigilanza spietata.
La Principessa si trovava nel lato settentrionale della baracca, lato opposto all'unico ingresso del recinto. Insieme ad Essa era una signora protestante, Maria Ruhnan (o Ruhn) che apparteneva alla setta
degli "scrutatori della Bibbia"  internati a Buchenwald soltanto perché si erano rifiutati d'impugnare
le armi.

Spazio ristretto. Letto di ferro privo di molle, formato  da semplici tavolette sulle quali era poggiato un saccone riempito di paglia di  lenzuola ruvide a righe celesti: lenzuola del campo.

Il vitto era simile al rancio dei soldati S.S., più abbondante e migliore di quello degli altri prigionieri. Consisteva in una porzione di pane nero, una Zuppa, una porzione di margherina, carne insaccata o miele o formaggio a seconda delle giornate già fissate: monotonia di settimane.
Il cibo per quanto sufficiente non si confaceva alla gracilità della Principessa. La nuova internata dimagriva in modo impressionante Ma. ciò nondimeno riusciva a conservare un aspetto giovanile.
Gli altri prigionieri ben lontani dalsupporre chi Ella fosse, la chiamavano, Gaudiger fraulein , (gentìle signorina) con tono rispettoso. La sua regale e dolce signorilità s'imponeva ancora una volta. anche tra estranei
 - Signorina?- Ella diceva sorridendo - No , sono madre di quattro figli...
Il sorriso sbocciato dalla, sua bontà scompariva all'iítiprovviso: la Madre ricordava i suoi quattro figli, lontani.
Non le era permesso di scrivere di svelare la sua identità Le era stato imposto, imposizione dettata da una crudeltà raffinata il nome di  Signora Abeba. Imposizione che, pur ferendola per l'Ironia che l'aveva suggerita non riuscì ad intimorirla. Presto tutti seppero che nel campo era rinchiusa una Principessa Italiana: l'avvicinarono durante lo scavo di una trincea scoperta, fatta fare nel cortile a scopo antiaereo.

La squadra dei lavoratori prigionieri era composta da uomini di varie nazionalità: tedeschi, francesi ed un italiano, il sardo « Boninu Leonardo ».

Questo fu il suo unico contatto con il mondo esterno: non riceveva posta, non poteva ascoltare la radio, non le era consentito di seguire gli avvenimenti che - Ella lo sentiva - ferivano la sua Patria, attraverso la stampa quotidiana. Esistenza dura e monotona. Le sue insistenze presso il comandante del campo non ottennero alcun risultato. Le sue lettere non vennero mai spedite. Soltanto un vecchio giornale, trovato per caso, le fece rivedere le sembianze del suo Consorte.

ERA GIUNTO L'INVERNO...
Era giunto l'inverno: un inverno nordico, generoso di un soffice candore. Mafalda che tanto amava il sole, i colori violenti della sua Capri, la benevola mitezza della sua Italia, considera, per la prima volta, la neve che cade per ore, senza, fretta, una complice. Ricorre ad uno stratagemma commovente. Elude la sorveglianza dei guardiani, affronta il freddo che le fa battere i denti, traccia a lettere cubitali sulla candida distesa due nomi: Italia - Mafalda. Il nome della sua Patria lontana: il « Suo » nome di Principessa prigioniera ed infelice. La sua mano è, decisa, vigorosa, eppur trema, un tremito di speranza. Spera che un aviatore abbassi lo sguardo sulla bianca distesa, scorga queste lettere ch'Ella ha tracciato ad una ad una, senza fretta, con fiducioso amore nostalgico. Questo aviatore che, forse, per caso, distoglierà gli occhi dall'azzurro per posarli un attimo su l'uniforme candore potrà rilevare e trasmettere dove Ella si trova.
Speranza commovente e vana.
Gli apparecchi solcano rapidissimi il cielo. Gli aviatori non abbassano lo sguardo e sorvolano il martirio di Mafalda, ignorandolo.
La Principessa non ricevette mai alcun cambio di vestiario: i mesi trascorrevano lentissimi, le stagioni si alternavano veloci. Una compagna di prigionia, mossa a compassione, le cedette un paio di scarpe. Quando sul finire dell'aprile 1944 i prigionieri entrarono nel recinto di Mafalda si accorse che su di uno di essi spiccava il triangolo rosso con la «I », imposto agli Italiani : era il Boninu. Ella lo fece chiamare dalle S.S.. che stavano di sentinella con il pretesto di farsi portare della legna. Boninu rimase assai sorpreso nel trovarsi di fronte ad una Signora Italiana ed immaginò subito ch'Essa doveva essere un personaggio importante. Mafalda, accortasi di questo suo stupore silenzioso gli chiese, sorridendo, se egli credeva di averla già veduta.

Il sardo esitò un attimo prima di risponderle: - mi sembra dì sì... su qualche fotografia - e soggiunse poi, dopo una lunga pausa, senza mai distogliere lo sguardo dalla sua persona, ch'Essa poteva essere un membro della casa Reale perché rassomigliava al Re.

Il sorriso della Principessa si trasformò in pianto convulso: un attimo. In quell'attimo la sua sensibilità dolorante aveva rivissuto tutto il suo passato. Dinanzi a Lei era un italiano, un sardo fedele, un operaio che, senza conoscerla l'aveva, senza saperlo, riconosciuta.
A Leonardo Boninu, Mafalda di Savoia volle confessare il suo nome, raccontare attraverso lunghi silenzi velati di lacrime e poche parole pronunziate sottovoce, la sua storia, drammatica storia; le sue ansie di madre, di sposa, di figlia. Triplice sofferenza di donna imposta a questa donna gracile.

Da quel giorno, ricorrendo ai più astuti pretesti Leonardo Boninu riuscì a penetrare quotidianamente nella baracca, ed Ella, in seguito, fece in modo di poter scambare con lui poche parole: brevi, spaventate parole, durante i lavori duri, estenuanti, a cui essi venivano sottoposti.
Ogni mattina, appena alzata, Mafalda apriva la finestra: questo gesto non significava per lei la rassegnata sofferenza di accogliere la luce di una nuova giornata ma la gioia schietta, giovanile, di salutare Boninu, Boninu l'italiano, che aveva, nella sua devota comprensione, misurato il suo dramma.
Leonardo Boninu grato e commosso, s'informava se Ella avesse ancora pianto, se Ella fosse riuscita, malgrado tutto, a riposare un poco: cercava d'infonderle coraggio, cercava, soprattutto, di trasmetterle il calore della loro Patria lontana.
Era questo il modo migliore d'incominciare la nuova giornata: entrambi, la Principessa e l'operaio sopportavano le ore estenuanti e nemiche per la forza che infondeva loro quell'attimo di dolorosa ed intensa solidarietà italiana. Un saluto mattutino: il calore della loro Patria lontana.

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