NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 8 novembre 2022

Capitolo XXVI: Il quaderno dei Savoia .

 di Emilio Del Bel Belluz



La mattina successiva, appena sveglio, Umberto volle rivedere subito quel quaderno dove vi avrebbe incollato degli articoli su Casa Savoia, e in particolare sulla Regina Elena, letti la sera precedente. Quel quaderno sarebbe diventato per lui come un libricino da studiare e da mostrare a scuola. La Regina Elena gli era rimasta nel cuore, lo aveva colpito il suo sorriso e quel volto di madre buona che aiutava la gente. 
Sulla prima pagina vi mise una fotografia che raffigurava  la Principessa Elena nel suo paese dove era nata, Cettigne, l’otto gennaio del 1873, davanti alla casa di un vecchio che chiedeva l’elemosina e Lei che gli porgeva del pane. Era figlia del Re di Montenegro Nicola I. Suo padre era salito al trono nel 1860, a soli 19 anni.  Non solo nelle favole si trovavano persone che possedevano un buon cuore, infatti, la Regina  era un dono di Dio al popolo italiano. La maestra a scuola aveva più volte parlato di Lei, e l’aveva descritta come una Dama della Carità. Durante la Grande Guerra aveva trasformato una parte del Quirinale in ospedale territoriale della Croce Rossa, dove vennero accolti migliaia di soldati feriti, a cui dedicava tutte le sue premure, anche nel cuore della notte. 
La maestra si era soffermata a spiegare che questa donna non amava la guerra, aveva fatto di tutto perché si evitasse. La Regina vedeva nelle persone povere, nelle persone ferite, i suoi figli che doveva aiutare. La sua figura così generosa si era conosciuta anche prima della guerra, in uno dei tanti fatti importanti che erano accaduti. Umberto  aveva in mente le parole della maestra che a scuola aveva parlato del terribile terremoto di Messina del 1908. Quando la Regina lo seppe partì immediatamente con il Re Vittorio Emanuele III, a portare i soccorsi alla popolazione colpita dalla sciagura. La Regina si era subito attivata per l’assistenza a quel popolo, organizzando ogni tipo di aiuto. Era andata personalmente  a chiedere soccorso al capitano di una nave russa che era ormeggiata al porto. La sua determinazione permise di  far intervenire i membri dell’equipaggio nell’assistenza alla popolazione. 
Una donna coraggiosa che stava ore ed ore tra quella macerie pericolose, ma nel suo cuore predominava la possibilità di salvare qualcuno dei dispersi. Una donna che stando vicino alla popolazione, la consolava con la parola e con quelle mani capaci solo di fare del bene. Una donna instancabile che trovava pace solo aiutando le gente. Quel 28 dicembre 1908 fu per Messina una tragedia che nessuno si sarebbe mai immaginato. Quello che si vide erano macerie e distruzione, morte e disperazione ma tra quella gente disperata, sconfitta dalla natura, una donna coraggiosa stava con loro, divideva il loro stesso pane, organizzava in tutti i modi i soccorsi. Il suo esempio fu determinante per smuovere il mondo. La gente vedendola trovava coraggio, la salutava come sorella che nel bisogno d’aiuto si trovava presente. Una prova di coraggio, una Regina che pensava solo ai suoi figli italiani. Il buon Dio l’aveva creata perché diventasse una creatura del popolo. 
La maestra a scuola, parlando della Regina, aveva letto una testimonianza molto bella di un certo Angelo Cairoli , interrogato il 10 gennaio 1909,  che trascrivo: “Vestiva un semplice abito scuro; portava un berretto alla marinara, nessuna l’avrebbe presa per la Regina d’Italia. Sembrava un’infermiera, una suora di carità: il suo volto pallido e contratto dal dolore e dalla pietà si atteggiava a un dolce sorriso per confortare  le centinaia di feriti ai quali volle con le sue mani prodigare le prime cure. I suoi occhi erano piani di lacrime, nella sua voce era un singhiozzo. Nessuna sovrana ha fatto mai quello che la Regina Elena ha saputo compiere nelle tragiche giornate di Messina”. Umberto quella mattina si recò a scuola felice,  aveva salutato suo padre che si stava avviando a pescare, lo aveva visto allontanarsi con la barca fino a quando scomparve. La sua figura era stata nascosta dalla nebbiolina che si alzava dall’acqua.  
Umberto pensava a quanti sacrifici doveva fare suo padre, a quante giornate difficili doveva affrontare per provvedere alle necessità della sua famiglia. Umberto che era di animo nobile e sensibile pensava a quante persone avevano dovuto lasciare la loro casa per andare in cerca di un posto di lavoro, anche all’estero. La vita non era facile e questo lo aveva capito subito. Suo padre non lo faceva pesare, ma quel pezzetto di pane era davvero sudato, e guadagnato affrontando tanti pericoli. Umberto amava i poveri come la Regina d’Italia, avrebbe voluto poter aiutare tutti, ma era solo un’utopia. La maestra a scuola aveva parlato di una persona molto buona che tutti chiamavano il “Maestro”. Costui andava di paese in paese a insegnare alle persone a leggere e a scrivere. Era uno spirito libero e pertanto, non aveva una fissa dimora.
Aveva l’abitudine di andare in certi paesi di montagna, dove vi erano pochi abitanti, entrava nelle case a insegnare a leggere e a scrivere ai più giovani e a fare la firma ai più vecchi che così non dovevano più vergognarsi nell’ apporre la famosa X.  Nelle case era sempre il benvenuto, i ragazzini volevano ascoltarlo perché raccontava tante storie. Era interpellato anche per risolvere dei problemi di carattere finanziario perché quella gente non aveva imparato a fare di conto.  L’unico compenso che chiedeva era quello di poter stare in famiglia per alcuni giorni,  gli capitava di starci anche un mese e di poter mangiare un boccone con loro, che in quel momento rappresentavano la sua famiglia. 
Non avendo degli interessi personali, tutto quello che consigliava, era trasparente e pulito. Quando arrivava in una famiglia portava sempre le novità che erano successe in altri paesi lontani. Quello che sentiva per le persone era un affetto vero, anche se sapeva bene che non poteva legarsi ad alcuno. Era  come uno che avesse  fatto parte di un circo che doveva cambiare di paese in paese. La sua soddisfazione più importante era quella d’aver insegnato qualcosa, d’aver arricchito gli altri. Quella gente non l’avrebbe più rivista, ma aveva lasciato la sua impronta. Quella era l’umanità che preferiva, fatta di anime semplici. A  volte si arrampicava sui monti fino a raggiungere una casa isolata, dove magari vi viveva un pastore con le sue pecore, e anche in quel caso proponeva quello per cui il buon Dio lo aveva chiamato. Amava osservare le stelle perché tra di esse c’erano i suoi genitori che lo osservavano e che di notte lo seguivano, facendogli luce. Quando gli era capitato di dormire all’aperto, gli piaceva accendere un fuoco, sedersi  accanto  e fumare la pipa. Sua madre lo aveva sempre amato tanto e gli aveva chiesto di prodigarsi per gli altri. Sentiva che quella era la sola cosa che avrebbe potuto fare e che lo avrebbe fatto sentire bene. 
Con l’avanzare degli anni, si spostava sempre più lentamente. Una notte con il cielo pieno di stelle se ne andò per sempre. Venne trovato dai pastori vicino ad una vecchia chiesetta quasi in abbandono e lì vicino venne sepolto. Con la morte aveva raggiunto la sua famiglia e le stelle sarebbero diventate più numerose. La voce della sua morte echeggiava di paese in paese  e raggiunse quelli che lo avevano conosciuto. 

Nel luogo della sepoltura venne messa una croce con il suo nome, da uno dei suoi allievi, che dopo averlo conosciuto, aveva studiato ed era diventato maestro. Umberto arrivò per ultimo a scuola dove lo attendeva sull’uscio la buona maestra

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