NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

domenica 26 marzo 2017

Vita eroica di Amedeo di Savoia - seconda parte

Tre erano gli elementi fondamentali della Sua natura: la noncuranza assoluta del pericolo, che gli veniva da una tradizione secolare di gloria militare e civile; un senso pratico ed ordinato della Amministrazione e della vita, che aveva assorbito dai Suoi vecchi antenati Piemontesi: una sincerità talvolta perfino spregiudicata per la quale, se potè talvolta rasentare quelli che sembravano o forse anche erano i limiti della convenienza finì per imporsi a coloro che Lo circondavano, poiché questa rara virtù finisce sempre prima o poi - per imporsi, ed ottiene comprensione, anima gli uomini, solleva entusiasmi ed affetti.
Fu certo la sincerità più limpida che Gli sgorgava dal cuore quella che guidò naturalmente la Sua condotta tra gli allievi della Accademia Militare della Nunziatella di Napoli allorché, a 15 anni, fu rinchiuso in quel collegio per iniziare la Sua vita militare.
Quella era veramente una clausura! Entrava nelle camerate e tutti i Suoi compagni erano sugli attenti; li vedeva divertirsi tra loro, ma quando Egli compariva ogni giuoco cessava e tutto diventava rigido, silenzioso e solenne. Li incontrava per i corridoi, sorrideva loro, ed essi impalati, là sull’attenti, con la faccia seria : Altezza di qua, Altezza di là. Altezza Reale sì, Altezza Reale no; non ne poteva più!
Un giorno si fermò davanti ad uno di essi che se ne stava impalato lungo il corridoio, gli dette un buffetto sulla pancia, tirò fuori la lingua, strizzò gli occhi, fece tante smorfie buffissime, finché l’altro dovette ridere, per forza.
E così il ghiaccio era rotto.
Sì, Egli non lo disse, ma lutti lo capirono quello che Egli voleva: voleva essere come gli altri, trattato da amico, circondato dal calore di affetti, e
prendere parte ai loro giuochi e gioire della comune giovinezza.
Ma chi Gliela aveva data alla Sua età quella insuperabile capacità di essere un camerata ineguagliabile senza che tuttavia alcuno dimenticasse che bontà, colleganza, amicizia, non potevano mai annullare la Sua personalità di Principe della Casa Regnante?
Nessuno Gli mancò mai di rispetto mentre tutti Gli parlavano col tu, scherzava con tutti ed era a volte sfrenato c ridanciano, ma quando se ne andava tutti erano sull’attenti, col volto c con l’anima protesi.
Egli aveva, innata, questa incommensurabile virtù della semplicità che aggioga le anime: virtù che non si può improvvisare, che deve essere innata, che deve avere perciò origini lontane, come in Lui le aveva, nei secoli.
Aveva 17 anni quando nel 1915 scoppiò la guerra Europea. Scrisse di Suo pugno una petizione al Re: voleva andare a combattere per l’Italia l’ultima guerra della unità. Ma, data la Sua età, ci voleva il consenso del Padre.
Il Padre firmò, ed eccolo vestito in grigio-verde in un reggimento di artiglieria a cavallo, e dopo poco, a Monte Sei Busi, impavido sotto valanghe di ferro e di fuoco, meritarsi una medaglia di bronzo, ma, cosa più importante un indirizzo dei commilitoni, firmato da tutti e concepito così: noi, tuoi compagni, noi soli veramente sappiamo che se non fossi stato un Principe di Savoia, la medaglia sul tuo petto sarebbe stata di argento. Noi siamo testimoni che ci hai perduto ad essere Principe!
E leggendo la motivazione della Sua seconda medaglia, questa di argento, conseguita l’anno seguente, quando aveva 19 anni, si comprende come l’avesse meritata; non vaghe ed altisonanti parole, non retoriche frasi, ma fatti precisi: era veramente un soldato, ed alla prova del fuoco quella Sua temerarietà infantile si era trasformata in ragionata, consapevole virtù guerriera.
Risale a quel tempo della Sua guerra Carsica l’episodio di quando, recatosi a visitare una trincea che un generale aveva fatto costruire e che personalmente illustrava, a modello ed esempio di come avrebbero dovuto essere tutte le trincee, Egli non espresse giudizio guardando muto l’opera che pur era costata tanta sollecitudine e tanta fatica, finché, alla reiterata domanda espressa dallo stesso generale: che Gliene sembra Altezza Reale, Egli non esitò a rispondere nella Sua invincibile sincerità: la sto studiando attentamente per evitarla!
Questo episodio riferito da Beretta a De Vecchi trova il suo riscontro in altri successivi di epoche diverse, come ad esempio quello di quando, deliziandosene perdutamente, vide nel cielo di Gorizia, ove Egli allora era addetto, un areoplano eseguire la più ardita gamma di loopings, di tonneaux, di virate, di cabrate che si fossero mai viste e che pur erano severamente proibite; ed accanto a Lui che se la godeva, stava furente di sdegno il comandante della brigata aerea, il quale si avvicinò all'avventuroso giovane pilota appena atterrato per comunicargli di tenere gli arresti. Amedeo era pieno di ammirazione, si avvicinò al giovane ufficiale, lo prese sotto braccio, gli disse: che bello, ma perché non me lo ha detto che sarei venuto con lei?
Quel giovano era il Tenente Tait, che divenne poi il Suo aiutante di volo e non lo abbandonò mai più, e Gli fu vicino nell’ora estrema.

** *
Finita la grande guerra, nel 1919 Amedeo se ne andò con lo Zio in Somalia. L’amore dell’Africa lo dominava dall’infanzia, da quando bambino se ne andava al porto a vedere le navi che partivano.
Abitava con lo Zio un bungalow nel villaggio di Afgoi, a 20 Km. da Mogadiscio. Quel vecchio marinaio ed esploratore, quella grande anima chiusa ed ardente di Luigi di Savoia, che conobbe tutte le altezze tutte le discipline e tutte le rinuncie, stava trasformando un lembo di Africa con la sua tenace volontà di colono. Il senso eroico della vita non aveva bisogno di insegnarlo al nipote Amedeo, ché questi già l’aveva nel sangue. Ma altre cose Gli insegnò, che Gli rimasero impresse e Gli servirono di viatico quando si trovò venti anni dopo a dominare il vastissimo territorio dell’Etiopia!
Gli insegnò la tenacia delle opere durevoli. Gli insegnò ad amare la terra che risponde all’uomo che la lavora e la feconda col suo sudore.
Non mi sbaglio, diceva il grande Suo Zio, non mi sbaglio, ma se noi vogliamo la Somalia ha un grande avvenire: canna da zucchero, cotone, arachidi, alberi di kapoc possono rendere enormemente. Queste nozioni Gli servirono come vedremo, più tardi, e le mise in pratica.
Rimase sei mesi presso lo Zio e poi ritornò facendo il giro del Capo di Buona Speranza, ma ammalò e dovette sbarcare a Zanzibar, ove stette un mese tra la vita e la morte, soccorso dalla Madre, accorsa subito al Suo capezzale. Della Sua malattia e delle angoscie materne troviamo indelebile nobilissima traccia nelle pagine scritte dalla Duchessa Madre nel Suo libro:
« Ma vie errante ».
Ritornato in Patria nel 1920 fu destinato a Palermo. Era l’epoca tremenda del dopo guerra Italiano, quando imboscati e disertori si riunivano per dare veste di ideale alla fellonia ed alla viltà, quando i vari Misiano stavano per essere inviati in parlamento. Del resto, sempre, nelle ore torbide della nostra vita nazionale la diserzione diventa un Ideale, il tradimento diventa virtù, l’incitamento alla rivolta esige il suo premio e l’uno o gli altri conducono in parlamento quando non portano addirittura ad una poltrona ministeriale!
Fu per sfuggire a tale stato nauseante di cose che Amedeo, sotto il nome di capitano della Cisterna se ne andò al Congo belga, a Stanleyville a fare l’operaio in una fabbrica di sapone.
Voglio vedere cosa sarei capace di fare nella vita civile se fossi nato diversamente da come sono nato, Egli affermò.
E non si può dire che l’esperimento non sia riuscito, perché da operaio semplice divenne capo operaio, e poi assistente, ed alla fine del 13° mese era già vice-direttore della grande fabbrica e stavano per nominarlo direttore, quando dette le dimissioni per ritornare in Italia; e solo allora si seppe chi era. La cronaca pettegola dette un’altra versione di questa strana sosta di oltre un anno nel Congo. Si vociferò che ad una cerimonia, vedendo arrivare il Re e la Regina, Amedeo avesse detto sorridendo: ecco Curtatone e Montanara, alludendo alla bassa statura del Re ed alle origini Montenegrine della Sovrana; e che il Re, venuto a conoscenza del fatto dal riferimento di uno zelante che aveva inteso, avrebbe punito il Principe con un anno di sospensione dal grado e dai privilegi regali, così che, per sfuggire allo scandalo,
Amedeo sarebbe andato al Congo.
Vero o falso che sia voglio dire che il fatto è verosimile, poiché si inquadra nella mentalità spregiudicata semplice e ridanciana del Principe, il quale però, se disse quella frase ciò fece per fare dello spirito, senza ombra di irriverenza verso quel Re, cui, nella Sua ora suprema, di fronte alla solennità della Morte, doveva, venti anni dopo, c come già aveva fatto il Suo Augusto Genitore, riaffermare devozione e fedeltà, spirando con sulle labbra il Suo nome e quello dell'Italia adorata.
Ritornò dunque dopo 13 mesi dalla lunga esperienza del Congo, ritornò con una carovana da Lui allestita lungo i grandi laghi equatoriali, il Victoria ed il Tangunica, e sostò ai piedi del Ruvenzori, in memoria dello Zio che ne aveva fatto la scalata, ed, ultima tappa del viaggio, prima di imbarcarsi a Mombasa, fu a Nairobi, quella fatale Nairobi, dove doveva venti anni dopo chiudere la Sua nobile vita.
L’Amore dell’Africa ormai lo teneva, ed in Africa riuscì a farsi destinare nel 1925, rimanendovi per sei anni, fino al 1931, salvo brevi parentesi a Torino per la scuola di guerra, o quella ancor più breve ma importante del Suo matrimonio nel 1926 con Anna di Francia, la dolce e nobile compagna della Sua vita.
L’Italia stava riconquistando la Libia, di cui non aveva potuto occuparsi durante la guerra, mantenendo solo la costa. Ed in queste operazioni di polizia che talvolta si tramutavano in vere e proprie e sanguinose battaglie, seguito dal Maggiore Volpini, Suo aiutante, che doveva poi morirGli accanto da Generale sul picco dell’Amba Alagi, Amedeo si distinse perché fu infaticabile e temerario, a piedi, a cavallo, a dorso di cammello, a bordo di areoplani, mitragliando i ribelli a volo radente, tornando con l’apparecchio crivellato di colpi.

Tutte le marce e le battaglie, di Zella, dei pozzi di Bir Tagritt, Nufilia, Marzuk, Kufra, ricordano il Suo nome. Con la occupazione di Kufra la colonia era ridonata completamente, totalmente alla Patria, e la si poteva oramai attraversare in piena tranquillità dalla costa fino al più profondo deserto. Ritornato in Patria alla morte del Padre, il Comandante vittorioso della III Armata, avvenuta nel 1931, morte che commosse tutti gli Italiani, non solo per il passato glorioso del Duca ma per un Suo testamento spirituale che rimane una delle pagine umane più nobili e belle che siano mai state scritte, Amedeo divenuto Duca di Aosta, passò l’anno seguente nella aviazione. Si compiva così un Suo ardentissimo voto.

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