NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

giovedì 9 marzo 2017

Il Re soldato


di Emilio Del Bel Belluz  


Sono molti gli episodi che sono stati scritti per raccontare la grande Guerra, ma spesso ho constatato che i nostri storici e i nostri uomini di cultura abbiano avuto la tendenza a dimenticare certe piccole schegge di grande eroismo per esaltare solo una parte della storia. In questi mesi di rievocazione si sente parlare poco del ruolo che ebbe il Re Vittorio Emanuele III, il cui fondamentale contributo non viene spesso valorizzato come si dovrebbe.
Ogni atto di eroismo non viene ricordato come meriterebbe.
La storia che i soldati hanno tracciato con il loro eroismo è una storia vera e senza macchia. Non ci possono essere delle macchie per coloro che hanno dato per la patria i migliori anni della loro vita.
Questo Paese così aperto a ogni contributo dovrebbe ricordare questi fanti d’Italia che non  arretrarono per dare al Paese gloria e onore. Studiando la grande guerra ho sempre cercato di valorizzare qualsiasi ricordo; forse perché ho avuto per maestro uno zio che era stato bersagliere nella Grande Guerra.
Uno zio che visse gli ultimi anni della sua vita in una stanza da letto e fino all’ultimo istante osservava un quadro appeso alla parete vicino al crocifisso. In questo quadro, dalla cornice di legno, raffigurava lo zio in uniforme e il cappello da bersagliere, accanto alla sua amata moglie.
Questo zio diceva spesso che chi aveva prestato giuramento alla patria l’avrebbe onorata per tutta la vita e per essa sarebbe morto. L’altra promessa di fedeltà eterna l’aveva fatta quel giorno che si era sposato. Lo zio Gaetano era fiero di essersi comportato in un certo modo e per questo la sua esistenza era stata davvero una storia pulita. Dalla vita aveva ricevuto alcuni dispiaceri, ma il Signore gli aveva dato la forza per superarli e andare avanti. Forse era come suo padre, che quando perdette sua moglie, era sempre in cimitero a pregare. Aveva passato la sua vita con i suoi nipoti e con la cognata.  La moglie Rosa era mancata nel 1952, alcuni anni dopo la fine della guerra. Rosa era stata l’amore della sua vita, quell’amore che non si cancella. Lui morì vent’anni dopo la morte della moglie e fece in tempo a ricevere la medaglia che lo Stato dava a quelli che avevano combattuto nella Grande Guerra.
Gaetano aveva fatto incorniciare quella medaglia assieme all’attestato. Riceveva pure una pensione di guerra dell’importo di trentamila lire e con quei soldi si poteva comperare i toscani. Negli ultimi anni sapeva misurare le sue forze e ogni giorno combatteva per la vita. Suo padre aveva vissuto una esistenza più difficile, combattendo undici anni con Garibaldi. Tante volte lo zio Gaetano aveva sentito raccontare le sue storie di guerra a coloro che venivano a trovarlo.  Il vecchio zio Gaetano aveva trovato in un libro di scuola di suo nipote un racconto di guerra che lo aveva interessato molto. Questo racconto lo aveva talmente commosso che spesso chiedeva a suo nipote di leggerlo a voce alta.

Il racconto s’intitolava: “ L’inno Reale a Montesanto”. “ Nel Monte Santo è avvenuto ieri sera qualche cosa d’incredibile. Erano le dieci. Stava per nascere la luna. Qualche proiettile passava sibilando dall’Isonzo sull’altipiano di Ternova : qualche altro sibilava in partenza da Ternova. Colpi di fucile si sgranavano appena sotto il Santo, verso il San Gabriele, dove italiani ed austriaci stavano ad una quarantina di metri di distanza tra le due linee, con l’ordine di non parlare per non farsi sentire. All’improvviso echeggiarono trionfalmente nel buio le note della Marcia Reale, intonate da una banda con uno slancio straordinario. Venivano dal Monte Santo. Sulla vetta suprema della montagna vinta, la sera dopo la conquista, con la battaglia ancora vicinissima, una banda italiana teneva concerto sullo spiazzo dominante, fra le macerie del convento. 

Era la banda divisionale dei quattro reggimenti che vi avevano combattuto. Sui fianchi del monte, sulle nuove linee a valle, sulle trincee sgretolate a mezza costa del San Gabriele, gli Italiani urlavano di gioia. L’insolenza in faccia al nemico era veramente, supremamente italiana. Lì, sotto la sella di Dol, stava in linea contro il nemico a quaranta metri dalle trincee austriache, un reggimento nostro. Il colonnello si levò e urlò nel fuoco: - Soldati: in piedi! At…tenti ! I soldati elettrizzati si drizzarono, si rimpettirono nelle trincee. La musica continuava. Il colonnello gridò ancora : - Miei soldati gridiamo forte in faccia al nemico: Viva L’Italia!, Viva il RE! Viva la Fanteria! I soldati gridarono forte i tre evviva. Una scarica di cannonate austriache si avventò contro il Monte Santo. La musica continuò tranquillamente. Suonò la Marcia Reale. Il ghigno dei cannoni austriaci inveleniti riprese. La banda suonò l’inno di Mameli. molti occhi italiani, che non hanno mai pianto per le sofferenze atroci di questa guerra, molti occhi italiani piangevano di gioia. E l’ultima nota dell’inno si affievolì in un clamore di “ Evviva” Urlato da tutte le nostre linee al di là … Poi la battaglia continuò”. (Arnaldo Fraccaroli)  

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