NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 14 marzo 2017

“La guerra 1915 – 18”, di U. D’Andrea, V. Tur, E. Avallone, R. Lucifero, con prefazione di Gioacchino Volpe


di Salvatore Sfrecola

Nei giorni scorsi è tornato in libreria, edito da Pagine nella collana “I libri del Borghese”, la casa editrice diretta da Luciano Lucarini, “La guerra 1915-18”, (pp-171, € 17,00), un volume che pubblica i testi delle conversazioni tenute presso il Circolo di Cultura ed Educazione Politica Rex nelle domeniche del 1965, per illustrare le vicende della Grande Guerra, secondo un organico programma indicato da Gioacchino Volpe, il grande storico che del libro ha scritto la prolusione, e che introduce agli scritti di Ugo d’Andrea, “l’Italia del 1915 e le ragioni del nostro intervento in guerra”, Enzo Avallone, “L’Esercito italiano nella guerra 1915 – 1918”, Vittorio Tur, “La Marina italiana nella guerra 1915 – 1918”, e Roberto Lucifero, “La vittoria e il Re soldato”.
Osserva Gioacchino Volpe che “l’Italia ufficiale non sembra si riscaldi troppo per questo evento. Forse perché esso fu nazionale o irredentista, laddove oggi, per chi ci governa, tutto è o dovrebbe essere internazionale, europeo, atlantico, cosmopolita? e la parola “Nazione” viene quasi cancellata dal vocabolario politico, come che i due concetti siano contraddittori? O perché si teme di urtare partiti di Sinistra e del Centro-Sinistra che, nei mesi fra il 1914 e il ‘15 furono e poi si mantennero avversi alla guerra e fecero quel che poterono per insidiarla o svigorirla? O perché, quando si parla di quei fatti, non è sempre possibile, neppure ricorrendo a ridicole circonlocuzioni o al silenzio, come si suole, nascondere certi nomi e innanzitutto un nome di Re? O perché oggi penne e lingue sono tutte affaccendatissime a parlare di “Resistenza”, a glorificare la “Resistenza” di cui ricorre il ventennale?”
Per Volpe la Grande Guerra è la “prova dell’Italia unificata, conclusione o consacrazione del Risorgimento”. E ricorda le parole del Re “siate un Esercito solo”. E “prima resistettero alle poderose offensive austroungariche: poi presero essi l’iniziativa dell’azione, ripassarono il Piave, liberarono le province invase, giunsero a Trieste e Gorizia e Trento e Fiume e Zara, cioè ai “confini che natura pose”. Giornate inebrianti per chi le visse”. Fu la prima occasione di un popolo finalmente unificato nel Regno consacrato dal voto popolare nei plebisciti che lungo gli anni si tennero nei territori già sotto dominio straniero, nei regni e nei principati confluiti nello Stato nazionale. Per poi venire a parlare del tempo presente, della democrazia sociale che “con la sua scarsa sensibilità nazionale, con le sue solidarietà ideologiche oltre i confini, con suo regionalismo, non ci dà molto affidamento”. Valutazioni valide anche per l’oggi.
Il testo della prima conversazione è di Ugo d’Andrea, giornalista, scrittore (sua la voce Nazionalismo nell’Enciclopedia Italiana), parlamentare: “L’Italia nel 1915 e le ragioni del nostro intervento in guerra”, una ricostruzione approfondita dell’evoluzione della storia politica e sociale del nostro Paese a partire dai primi anni del regno di Vittorio Emanuele III, con l’azione sociale di Giolitti, il suffragio allargato, il monopolio delle assicurazioni, la guerra di Libia nel 1911 ampiamente condivisa. Ricorda l’azione politica fortemente innovativa, spesso ardita, dello statista di Dronero, la sua apertura ai radicali con Credaro, Nitti, Ettore Sacchi, il dibattito politico con Gaetano Mosca, il ruolo del Corriere della Sera di Albertini. D’Andrea ripercorre le tensioni politiche ideali di quegli anni il nazionalismo nato 1910, i similari movimenti francesi, con l’Action Française e Maurras. C’è una ricognizione importante del pensiero e delle opere di quanti operarono in questo momento straordinario dalla parte dell’irredentismo. E racconta le iniziative politiche diplomatiche del Marchese di San Giuliano e la preparazione dell’intervento, la difficile ma determinata modifica dell’equilibrio internazionale con l’abbandono della Triplice Alleanza per puntare su un’intesa che, definita a Londra in un trattato firmato il 26 aprile, alla vigilia dell’ingresso in guerra, avrebbe riportato l’Italia in una alleanza con le potenze marittime, già in passato ritenuta necessaria, “perché abbiamo 8.000 Km di coste da difendere”  che ci farà vincere, come, invece, avendola abbandonata, perderemo nella guerra 1940 - 45.
“L’Esercito italiano nella guerra 1915-1918” è di Enzo Avallone e si sofferma sulle difficili condizioni dell’Esercito italiano all’inizio della guerra che già aveva impegnato le potenze europee nel 1914. Per descrivere le condizioni dell’arduo amalgama di forze prive di un autentico passato militare, se si esclude l’esercito piemontese e quello napoletano. Al di fuori di questi ambienti non c’era una “tendenza militare delle famiglie, che trasmettesse l’abitudine all’esercizio delle armi di padre in figlio”, quella tradizione che era stata sempre, ricorda, una forza dell’esercito germanico. Le condizioni dei mezzi, degli armamenti, oltre che dell’addestramento vengono analizzate con dovizia di particolari ricordando l’opera di rammodernamento degli armamenti del generale Pollio ed in particolare dell’artiglieria che si rivelerà essenziale nel corso di un conflitto nel quale un ruolo speciale ebbero le posizioni fortificate del nemico sulle montagne del Trentino che si dovettero smantellare, una dopo l’altra, con l’impiego di grossi obici. Avallone richiama anche quello che ha scritto Salandra, il Presidente del consiglio all’atto dell’intervento in un volume di recente ripubblicato in anastatica, sulle insufficienze delle Forze Armate che avevano consumato ingenti risorse nella recente guerra di Libia. E dà conto dell’impegno di quanti erano tenuti a provvedere, comprese le incertezze negli approvvigionamenti a causa della posizione politica di neutralità che l’Italia aveva assunto. Significativo il caso delle mitragliatrici. Erano state ordinate già da due anni alle industrie inglesi che tuttavia tardavano a consegnarle per ragioni politiche, non essendo certo il Regno Unito, nel 1914, della scelta che l’Italia, impegnata a fianco degli imperi centrali dal 1882, avrebbe fatto. Si dovete pertanto provvedere a progettare una mitragliatrice italiana, la Fiat 14, con la conseguenza che, entrato in guerra, l’Esercito italiano disponeva di quell’arma, già da tempo ritenuta sempre più importante nella guerra moderna, in quantità nettamente inferiore al necessario.
L’Autore segnala una serie di errori delle autorità di governo, dovute in primo luogo all’incertezza della scelta del campo nel quale schierarsi e della segretezza della decisione di abbandonare la Triplice Alleanza per schierarsi a fianco del Regno Unito e della Francia, a seguito del Trattato di Londra, rimasto a lungo segreto, tanto che Sonnino non volle darne una copia a Salandra finché non lo poté trascrivere di proprio pugno e il Capo di stato maggiore italiano fu tenuto all’oscuro della firma del patto e di una clausola importantissima di esso, cioè che entro 30 giorni dalla firma (26 aprile) l’Italia doveva entrare in guerra. E fu, infatti, il 24 maggio, il passaggio del Piave. Racconta Avallone che “Cadorna venne a conoscenza di questa clausola per vie secondarie, quando un colonnello del Comando supremo, a Parigi, ne ebbe notizia dai francesi”. “Il Governo evidentemente – scrive Avallone – non si rendeva conto del tempo necessario a una mobilitazione, a una radunata, all’apprestamento delle Forze armate; il Governo credeva bastasse premere un bottone perché l’esercito e la marina si potessero scagliare oltre le frontiere o fuori dai porti”. Una mentalità formatasi sull’esperienza delle guerre dell’800.
Il testo ricorda vari aspetti della conduzione della guerra, ben noti ma ricostruiti con molta precisione sicché il lettore viene guidato lungo gli eventi, con particolare riferimento a quelli drammatici, delle battaglie sull’Isonzo, od a Caporetto quando emerse l’intollerabile insufficienza organizzativa e di comando del nostro esercito, con le conseguenze anche psicologiche che avrebbero creato un grave sbandamento militare, politico e psicologico in un Paese costretto dagli immani sacrifici dell’economia di guerra. Una crisi politico militare riscattata a Peschiera quando il Sovrano, alla prospettiva del nuovo schieramento arretrato proposto dagli Stati maggiori alleati, li convinse sulla base di una appassionata rivendicazione del valore del soldato italiano del cui impegno di faceva garante, certo che l’Esercito avrebbe saputo fermare il nemico, riconquistare le posizioni perdute e riprendere l’avanzata verso Trento e Trieste. Poi l’impegno del nuovo Capo di Stato maggiore, generale Armando Diaz, e l’offensiva trionfale di Vittorio Veneto dopo la battaglia difensiva del giugno in pianura.
Si legge tutto d’un fiato questo capitolo nel quale sono descritte le operazioni militari, l’impegno dei Corpi d’armata, delle divisioni, dei reggimenti, e dell’Aeronautica, che pure vantava una storia recente, avendo esordito soltanto nella campagna di Libia nel 1911. C’è, poi, la pagina degli eroi della Grande Guerra, da Cesare Battisti a Fabio Filzi, da Damiano Chiesa a Enrico Toti. In concomitanza alle operazioni militari ed in ragione di esse Avallone ricorda come la “Famiglia Reale, con tutti i suoi componenti, sia stata in primissimo piano nel lavoro, nel sacrificio, nell’esempio. La Regina trasformò il Quirinale in ospedale per feriti e mutilati (1915-1919) e se stessa in materna infermiera; con lei la Duchessa d’Aosta. Il Re, lasciata la direzione dello Stato, per quanto atteneva alle attività interne, a Tommaso duca di Genova nominato luogotenente generale del Regno, partì fin dal primo giorno per il fronte rientrò solo a guerra finita; né al fronte, si limitò al controllo diretto della situazione e a visitare quotidianamente le truppe di linea e i comandi (una volta, rovesciatosi il berretto e imbracciato all’improvviso il fucile d’un soldato, volle sparare anche lui contro un aeroplano nemico che sorvolava le prime linee) contribuendo con la sua onnipresenza a mantenere elevato il morale; ma, quando necessario, seppe intervenire con energia assumendosi anche responsabilità che andavano al di là dei Suoi doveri costituzionali”, come a Peschiera, lo abbiamo già ricordato, nel corso della riunione degli Stati maggiori degli eserciti dell’alleanza che lui stesso aveva convocato.
Il capitolo si chiude con il bollettino della vittoria.
“La Marina italiana nella guerra 1915 1918”si deve alla penna di Vittorio Tur, ammiraglio, che descrive innanzitutto i compiti della Forza Armata, in particolare quello di bloccare efficacemente l’Adriatico, di proteggere l’avanzata dell’esercito verso Trieste e di impedire qualsiasi sbarco alle sue spalle. Inoltre la Marina doveva proteggere i nostri convogli militari il vettovagliamento e i rifornimenti alla Nazione provenienti da Gibilterra e da Suez.
Tra le forze armate la Marina certamente aveva per tempo provveduto a un rafforzamento e ad un ammodernamento delle unità sotto la direzione dell’ammiraglio Paolo Thaon di Revel che “aveva anche provveduto ad assicurare efficienza e protezione alle basi navali, agli approvvigionamenti di combustibili, alle armi e, avendo sempre sostenuto la grande importanza in guerra di siluranti, sommergibili e aviazione, disdisse - per poter provvedere alla loro costruzione - quella delle grandi corazzate da 30.000 tonnellate in progetto, contro il parere dei sostenitori di esse, tanto più che i piani non garantivano loro la incolumità dalle offese subacquee”. In particolare, ricorda Tur, Thaon di Revel era stato sempre un sostenitore dell’aviazione e “grazie a lui, la Marina poté avere, al principio della guerra degli idrovolanti, seppure in numero minimo rispetto ai 150 iniziali da lui richiesti e che riteneva rispondenti alle necessità, numero che poté però, sempre grazie a lui, essere accresciuto in seguito. Infatti durante la guerra arrivammo al 1.645 idrovolanti e aeroplani e a 49 dirigibili di vario tipo”.
Anche questo capitolo sulle operazioni in mare è una lettura appassionante delle imprese dei nostri marinari che, abilmente guidati resero praticamente inerte, incapace di operare la marina austriaca che anzi perse per l’aggressione dei nostri mas prestigiose unità come la corazzata Santo Stefano e la Viribus Unitis. Il testo dà conto delle nostre unità, della loro dislocazione, delle operazioni nelle quali sono state impegnate. Il lettore troverà anche i nomi di valorosi ufficiali e marinari e delle loro straordinarie imprese, dalla “beffa di Buccari” alla vittoria di Premuda, l’affondamento delle corazzate Wien nella rada di Trieste ad opera di Luigi Rizzo, Tegetthoff e Szent Istvàn (Santo Stefano). In tutti questi avvenimenti emerge il nome di Luigi Rizzo il quale sarà decorato di medaglia d’oro e insignito dell’Ordine Militare di Savoia e Conte di Grado. Altro insigne marinaio, l’Ammiraglio Umberto Cagni di Bu Meliana, Comandante delle forze navali destinate a Pola.
Il volume si chiude con una conversazione di Roberto Lucifero intitolato “La vittoria e il Re soldato”, pagine che sottolineano il ruolo e l’impegno del Sovrano nella fase precedente l’entrata in guerra e nella sua presenza al fronte nel corso dell’intero conflitto. Ricorda, in particolare, quanto gli aveva riferito il padre a proposito di una serie di colloqui con Vittorio Emanuele III, già nell’estate del 1914. Il Re aveva chiara l’idea che per motivi storici era inevitabile che fosse giunto il momento della completamento dell’unità d’Italia che non si era potuta raggiungere prima. Inoltre era consapevole dello sviluppo del conflitto e dell’inevitabile impegno degli Stati Uniti d’America che sarebbe avvenuto soltanto nel 1917, ma che lui ben tre anni prima riteneva certo.
“Il Re, dunque, volle la guerra. E, io credo, possiamo dire che in certo senso la impose perché, a un determinato punto, se il governo non avesse avuto lo stimolo e l’appoggio del Re di fronte alle resistenze del Parlamento e di gran parte del Paese, con le minacce del socialismo sempre pronto a crear disordini ogni volta che il Paese avesse particolare bisogno d’ordine, probabilmente a quella decisione non si sarebbe venuti”.
In conseguenza di ciò scrive Lucifero: “il 24 maggio si chiama Vittorio Emanuele III. Ma anche la guerra si chiama Vittorio Emanuele III sotto tutti gli aspetti multiformi del Re: del Re il quale sapeva di esser Lui mallevadore di quella battaglia condotta dal suo popolo; dell’uomo, che si accompagnava ai soldati nei luoghi più rischiosi giorno per giorno, ora per ora, che in mezzo agli scoppi delle granate mangiava il suo fagottino seduto sopra un sasso; del capo di una Famiglia, il quale ha voluto che tutti i Principi di Casa Savoia partecipassero alla guerra (e uno c’è morto, il Conte di Salemi); ha voluto che tutte le donne della Sua famiglia partecipassero alla guerra. E le avete viste nella uniforme gloriosa della Croce Rossa, con alla testa quella Regina di cui, nel Suo ultimo viaggio, ebbero tanta paura da non consentirLe di passare alcune ore in cabina nel porto di Napoli, quando dall’Egitto doveva trasferirsi a Montpellier”. Una sosta per incontrare un medico che si sperava potesse alleviare le sue sofferenze, una sosta che le fu impedita dalle autorità della repubblica.
La figura del Sovrano e della Regina Elena riempiono con il ricordo di episodi significativi della loro vita questo capitolo conclusivo, come in un modo diverso non sarebbe stato possibile, per sottolineare, nel centenario della Grande Guerra, che per il Regno d’Italia, fu la Quarta guerra d’indipendenza, come fu portata a completamento l’unità nazionale. Un impegno del Circolo di cultura ed educazione politica Rex, istituzione culturale che risale al  1948, indipendente, sostenuta esclusivamente dai soci, e che ha visto alla presidenza e nel Consiglio direttivo personalità della cultura, della politica delle Forze Armate e dell’Amministrazione dello Stato, per ricordare eventi ed approfondire momenti salienti della storia italiana, sempre con la serenità di chi crede nei valori e nella identità nazionale.

12 marzo 2017

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