IL
PROBLEMA ECONOMICO-SOCIALE
Abbiamo
nettamente affermato che la sostanza politica della democrazia è l'idea della
libertà, e l'eguaglianza è l'eguaglianza nella libertà. Ma oggi la libertà la
si difende soprattutto sul piano sociale. Democrazia e libertà resterebbero
oggi nomi vani se la loro vitalità e capacità costruttive non fossero raggiate
sul complesso dell'organizzazione economica e sociale.
Noi
crediamo che il fine ultimo di ogni attività politica e sociale rimane sempre
l'uomo e, diciamo pure, l'individuo, che ha sempre- una sua vita, un suo
valore, una sua dignità. Egli deve essere posto in condizioni di esercitare
sempre concretamente la libertà, sul piano politico e su quello morale, su
quello della famiglia e su quello dell'educazione, su quello del suo lavoro e
dei suoi consumi. E' perciò necessario garantire a questo individuo certe
condizioni elementari di vita e l'effettiva possibilità del suo movimento,
senza di che la sua libertà rimarrebbe un nome vano.
Libertà
di ognuno
Il
problema storico che la società contemporanea deve risolvere è il problema
della libertà di ognuno come condizione della libertà di tutti. Se il problema
viene impostato come conciliazione teorica tra liberalismo e socialismo, esso
appare insolubile. O si sacrificherà l'individuo sull'altare della società o si
svaluterà l'esigenza sociale. Per cui noi riteniamo che l'idea della democrazia
salvi interi i diritti dell'individuo e li realizzi socialmente come diritti di
tutti gli individui.
Noi
democratici quindi non possiamo accettare, in linea generale, una qualsiasi
impostazione classista del problema sociale e, in linea particolare, quella
impostazione classista che deriva dalla rigida ortodossia marxista. L'antitesi
borghesia-proletariato che forse aveva una giustificazione nel momento storico
in cui fu formulata (cento anni fa) appare, oggi piena di equivoci e bisognosa
di chiarimenti, rettifiche, eccezioni. Essa non stringe il problema nei suoi
termini attuali.
Il
generico criterio della proprietà privata, assunto ancora oggi come la testa di
turco del movimento marxista contemporaneo, non definisce, se non in forma
generica, la reale natura dell'attuale organizzazione economica. Questo schema
immobilizza o respinge in posizioni che non sono le, proprie forze e ceti vivi
e vitali, capaci di lottare contro quei complessi supercapitalistici e
monopolistici di cui essi sono vittime alla pari, almeno, dei proletari.
Il
problema delle classi così dette medie è oggi molto grave ed acuto e di esso
non ci si sbriga con la generica formula della proletarizzazione. Anche coloro
che ancora oggi accolgono lo schema classista preferiscono parlare, anziché di
antitesi borghesia -proletariato, di antitesi tra sfruttatori e sfruttati. Ma
questi sono concetti più di ordine morale che di ordine economico; infatti è
difficile precisare e definire le classi dal punto di vista economico in realtà
la loro differenza è più culturale che economica.
Socializzazione
e statizzazione
Anche
di fronte al concetto di socializzazione, correlativo a quello ora esaminato.
il nostro atteggiamento e la nostra critica sono analoghi. Essa è uno schema
tecnico ed un fatto politico e non può perciò essere considerata fine a se
stessa o strumento unico e necessario di certi fini sociali, almeno di quelli
essenziali e caratteristici di un ordine democratico. Essa non è certo uno
strumento magico, come molti sognatori, interessati. ad altri fini, vogliono
far credere.
La
socializzazione d'altra parte può diventare essa stessa strumento di monopolio
e di privilegio. Tale possibilità è quanto mai evidente nelle forme estreme
della burocratizzazione e d'ella statizzazione ma non è limitata solo a quelle.
La
socializzazione, in qualsiasi forma possa presentarsi, anche 'in quella estrema
della statizzazione, va valutata solo tecnicamente, in relazione alle, concrete
esigenze particolari; e quindi essa apparirà in qualche caso necessaria, in
qualche altro caso utile o possibile, in qualche, altro inutile e dannosa In
sostanza, tanto la socializzazione quanto la statizzazione devono poter
eliminare quei monopoli privati che, oltre a costituire un inammissibile
privilegio, bloccano e legano altre iniziative, La socializzazione quindi può
essere giustificata dalle tendenze associative là dove naturalmente e
spontaneamente queste si manifestano.
Se
poi si dà alla formula della socializzazione un senso morale, inteso come
sistema che tende nel campo della produzione e in quello del consumo al
l'elevamento
del tenore di vita del singolo, allora non ci resta che da dire come si disse
in Francia una volta: «Nous sommes tout
socialistes».
Politica
del consumo
Questi
argomenti giustificano. il nostro convincimento che una politica economica
moderna non sia possibile se non ponendosi nettamente dal punto di vista del
consumatore. Una politica dei consumo infatti vuoi dire una politica che,
determini la massima disponibilità e diffusione di beni e dì servizi al costo
minore, anzi al costo minimo. Essa perciò deve garantire due cose: la
possibilità di consumare e la libertà di consumare.
E'
inutile parlare, di democrazia e comunque di vita civile se non si ha la possibilità
di garantire a tutti il soddisfacimento dei bisogni elementari della vita, che
devono essere, raggiunti, perché si tratta di una questione di sensibilità
morale. In altri termini, e come affermò con parole ben più elevate il
Pontefice Leone XIII nella sua enciclica Rerum
novarum bisogna poter garantire, un salario corrispondente insieme alle
esigenze familiari e alle capacità individuali.
E'
poi necessario garantire la libertà del consumatore, poiché limitare od
annullare questa libertà significa in definitiva annullare tutte le altre. Si
comincia a pianificare il consumo degli alimenti e degli indumenti e si finisce
col pianificare gli uomini, i loro cervelli, le loro volontà. L'eguaglianza dei
consumatori alla base del livello minimo delle necessità elementari è
condizione per la loro effettiva libertà nel progressivo elevamento del tenore
di vita.
Tale
eguaglianza iniziale noi la ve-diamo anche sul piano della produzione che altro
non è se non l'unione di tante iniziative che si coordinano e si integrano.
Perciò il diritto all'iniziativa dell'imprenditore deve legarsi con il diritto
al lavoro del tecnico e dell'operaio.
Nei
quindi riconosciamo ogni diritto all'iniziativa ed al lavoro quale che sia la forma
ed il grado della sua qualificazione.
Nelle,
attuali circostanze però allo Stato incombe il dovere morale di intervenire
perchè la miseria dei più non venga offesa da una sfrenata ed egoistica libertà
di consumo, specialmente dì beni voluttuari.
La
proprietà
Il
problema della proprietà non è secondo noi un problema centrale. Contestiamo
qualunque diritto ad ogni situazione parassitaria, passiva od anonima.
Riconosciamo invece che lo sviluppo tecnico della economia contemporanea sta
allontanando sempre più la proprietà capitalistica in senso tecnico - elemento,
e non il più importante, della produzione, che integra ed è integrata dal
lavoro - dalla posizione centrale che aveva. Essa infatti viene
progressivamente assunta dagli elementi direttivi tecnici e lavorativi
dell'impresa.
Riconosciamo
infine pienamente valida la proprietà personale, sia quella di uso, sia anche
quella legata alle forme naturali e individuali di produzione. E' questa
proprietà che deve essere tutelata, difesa ed estesa in ogni modo, poiché essa
costituisce l'espressione della personalità umana e la più concreta garanzia
della libertà dell'individuo, e si fonda sul risparmio, frutto del, lavoro
dell'individuo
Non
riteniamo fatale la condizione proletaria, la quale rimarrebbe tale anche in un
ordinamento collettivistico. Riteniamo invece che, favorendo la formazione di
una proprietà personale, di uso e di partecipazione alla proprietà aziendale,
si possa costituire un concreto programma di redenzione sociale, cioè di
sproletarizzazione.
La
via naturale per tale opera di elevamento della condizione umana dei
lavoratori, noi la vediamo nello sviluppo e nell'affermazione dei sindacati e
delle associazioni professionali. Queste debbono rispondere a due requisiti:
essere espressione di un libero movimento associativo; non costituire in nessun
caso forme di monopolio. Esse. devono inoltre essere apolitiche cioè escludere
che la loro forza possa diventare strumento di forze politiche. In tal modo
esse potranno assolvere alla funzione di tutela degli interessi economici e
morali dei lavoratori, cioè di equilibratrici della economia generale delle
aziende.
Quanto
alla pianificazione, soprattutto sul pianti della produzione, derivato più o
meno diretto del collettivismo, osserviamo che essa può accumulare i difetti di
un regime di iniziativa e di concorrenza e di un regime collettivista. Tuttavia
noi non escludiamo la possibilità della gestione diretta di determinate imprese
da parte dello Stato, ma riteniamo che lo Stato non debba interferire
direttamente in quella sfera, grande o piccola, che è riservata all'iniziativa
privata. L'iniziativa o c'è o non c'è, o 19, si riconosce, o la si nega del
tutto.
Ricostruzione
Riferendo
ora questi orientamenti alla concreta situazione italiana, dobbiamo ricordare
che se la caduta del fascismo che aveva esasperato il pescecanismo dell'altra
guerra, ha spazzato via una organizzazione economica corrotta nel protezionismo
e nel parassitismo, la guerra ha logorato in maniera impressionante e
continuerà ancora a logorare l'attrezzatura tecnica del Paese. In tali
condizioni, agli entusiasti della socializzazione ricordiamo le amare parole di
Filippo Turati: «Non si socializza la miseria».
Ai
fautori non meno entusiasti dell'intervento dello Stato, ricordiamo che ciò che
è più distrutto oggi in Italia è proprio lo Stato, nella sua struttura tecnico -amministrativa,
nella sua capacità ed energia imprenditrice, nelle, sue possibilità finanziare.
Si rifaccia lo Stato, gli si dia efficienza, ordine, autorità e credito e poi
parleremo in concreto di piani.
Ma
la ricostruzione non può aspettare, non può essere rinviata. La distruzione e
la miseria hanno toccato un limite estremo. Occorre lasciare all'iniziativa
privata di fare quello che può, sa e vuole fare.
Si
parla oggi di autogoverno: si cominci a riconoscere l'autogoverno
dell'individuo. Il più serio intervento statale nel campo della produzione sarà
oggi quello diretto a creare condizioni elementari e cioè un clima favorevole
alla iniziativa ed alla energia individuali.
Fissare
oggi dei piani o degli schemi per l'avvenire significherebbe rimanere
nell'astratto. Tuttavia vi sono dei punti di orientamento che possono essere
fissati nei riguardi della nostra struttura e organizzazione sociale. Innanzi
tutto occorre eliminare quel capitalismo, che abbiamo chiamato parassitario,
che ben caratterizza alcuni aspetti della condizione arretrata della nostra
struttura economico-sociale. Occorre poi vitalizzare al massimo limite
possibile l'iniziativa privata. Dopo tanto paternalismo, protezionismo ed
autarchia, questa può essere per noi un'esperienza nuova, tecnicamente utile ed
anche necessaria, per quel carattere aperto di scambio anche internazionale che
la nostra economia deve necessariamente assumere. Occorrerà infine una forte
iniziativa pubblica nel campo sociale e distributivo.
Evidentemente
qualcuno pagherà queste spese di politica sociale, ma noi riteniamo che una
redistribuzione del reddito nazionale sia necessaria, e che del resto sia già
in atto.
Conviene
però precisare che nessuna soluzione del problema italiano è possibile che non,
tenga conto degli ideali politici e delle aspirazioni sociali delle masse
cattoliche. E quando diciamo cattoliche vogliamo riferirci in questo caso ad
una meta morale che si attua in una vastissima concezione dell'ordine
familiare, della proprietà, della persona umana; concezione che s'identifica in
larga misura con la realtà italiana.
Quando
tutto il territorio sarà liberato, occorrerà una radicale revisione del nostro
sistema tributario basato sull'unificazione c'elle tasse, e sull'eguaglianza
dei cittadini anche di fronte alla legge fiscale. Bisognerà che lo Stato attui
una politica finanziaria che tenda a migliorare le fonti del reddito nazionale
piuttosto che. ad inaridirle; ma soprattutto occorrerà che, a parità di
condizioni, tutti siano assoggettati allo stesso carico tributario.
In
fatto di pubbliche finanze, riconosciamo la necessità di riassestarle con
provvedimenti di eccezione e con criteri aderenti alla risorgente collaborazione
internazionale. Ma le sole risorse nazionali non potranno certo ridarci la
perduta vitalità. E quando un Paese non è in grado di crearsi i mezzi per
riaversi da un profondo collasso, non gli resta che di attingere i mezzi
necessari ai prestiti ed agli investimenti esteri. A ciò può fare ostacolo
soltanto la sfiducia da parte del capitale estero, sia esso di Stati o di
privati, nei confronti specifici della ripresa italiana.
A
dare fiducia è quindi indispensabile che non si dia l'impressione all'estero di
avviarci verso sovvertimenti sociali o verso esperimenti che sarebbero un lusso
assolutamente incompatibile con la nostra situazione. Questa fiducia è anche
necessaria per avviare attraverso prestiti interni la nostra circolazione
monetaria a quei più drastici provvedimenti che la potranno restaurare
definitivamente. Ogni cittadino vi concorrerebbe sapendo di salvare non solo il
proprio capitale ma anche la collettività di cui esso fa parte.
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