NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 23 febbraio 2016

Il Partito Democratico Italiano, di Enzo Selvaggi - terza parte

IL PROBLEMA ECONOMICO-SOCIALE

Abbiamo nettamente affermato che la sostanza politica della democrazia è l'idea della libertà, e l'eguaglianza è l'eguaglianza nella libertà. Ma oggi la libertà la si difende soprattutto sul piano sociale. Democrazia e libertà resterebbero oggi nomi vani se la loro vitalità e capacità costruttive non fossero raggiate sul complesso dell'organizzazione economica e sociale.

Noi crediamo che il fine ultimo di ogni attività politica e sociale rimane sempre l'uomo e, diciamo pure, l'individuo, che ha sempre- una sua vita, un suo valore, una sua dignità. Egli deve essere posto in condizioni di esercitare sempre concretamente la libertà, sul piano politico e su quello morale, su quello della famiglia e su quello dell'educazione, su quello del suo lavoro e dei suoi consumi. E' perciò necessario garantire a questo individuo certe condizioni elementari di vita e l'effettiva possibilità del suo movimento, senza di che la sua libertà rimarrebbe un nome vano.

Libertà di ognuno

Il problema storico che la società contemporanea deve risolvere è il problema della libertà di ognuno come condizione della libertà di tutti. Se il problema viene impostato come conciliazione teorica tra liberalismo e socialismo, esso appare insolubile. O si sacrificherà l'individuo sull'altare della società o si svaluterà l'esigenza sociale. Per cui noi riteniamo che l'idea della democrazia salvi interi i diritti dell'individuo e li realizzi socialmente come diritti di tutti gli individui.

Noi democratici quindi non possiamo accettare, in linea generale, una qualsiasi impostazione classista del problema sociale e, in linea particolare, quella impostazione classista che deriva dalla rigida ortodossia marxista. L'antitesi borghesia-proletariato che forse aveva una giustificazione nel momento storico in cui fu formulata (cento anni fa) appare, oggi piena di equivoci e bisognosa di chiarimenti, rettifiche, eccezioni. Essa non stringe il problema nei suoi termini attuali.

Il generico criterio della proprietà privata, assunto ancora oggi come la testa di turco del movimento marxista contemporaneo, non definisce, se non in forma generica, la reale natura dell'attuale organizzazione economica. Questo schema immobilizza o respinge in posizioni che non sono le, proprie forze e ceti vivi e vitali, capaci di lottare contro quei complessi supercapitalistici e monopolistici di cui essi sono vittime alla pari, almeno, dei proletari.

Il problema delle classi così dette medie è oggi molto grave ed acuto e di esso non ci si sbriga con la generica formula della proletarizzazione. Anche coloro che ancora oggi accolgono lo schema classista preferiscono parlare, anziché di antitesi borghesia -proletariato, di antitesi tra sfruttatori e sfruttati. Ma questi sono concetti più di ordine morale che di ordine economico; infatti è difficile precisare e definire le classi dal punto di vista economico in realtà la loro differenza è più culturale che economica.

Socializzazione e statizzazione

Anche di fronte al concetto di socializzazione, correlativo a quello ora esaminato. il nostro atteggiamento e la nostra critica sono analoghi. Essa è uno schema tecnico ed un fatto politico e non può perciò essere considerata fine a se stessa o strumento unico e necessario di certi fini sociali, almeno di quelli essenziali e caratteristici di un ordine democratico. Essa non è certo uno strumento magico, come molti sognatori, interessati. ad altri fini, vogliono far credere.

La socializzazione d'altra parte può diventare essa stessa strumento di monopolio e di privilegio. Tale possibilità è quanto mai evidente nelle forme estreme della burocratizzazione e d'ella statizzazione ma non è limitata solo a quelle.

La socializzazione, in qualsiasi forma possa presentarsi, anche 'in quella estrema della statizzazione, va valutata solo tecnicamente, in relazione alle, concrete esigenze particolari; e quindi essa apparirà in qualche caso necessaria, in qualche altro caso utile o possibile, in qualche, altro inutile e dannosa In sostanza, tanto la socializzazione quanto la statizzazione devono poter eliminare quei monopoli privati che, oltre a costituire un inammissibile privilegio, bloccano e legano altre iniziative, La socializzazione quindi può essere giustificata dalle tendenze associative là dove naturalmente e spontaneamente queste si manifestano.

Se poi si dà alla formula della socializzazione un senso morale, inteso come sistema che tende nel campo della produzione e in quello del consumo al

l'elevamento del tenore di vita del singolo, allora non ci resta che da dire come si disse in Francia una volta: «Nous sommes tout socialistes».

Politica del consumo

Questi argomenti giustificano. il nostro convincimento che una politica economica moderna non sia possibile se non ponendosi nettamente dal punto di vista del consumatore. Una politica dei consumo infatti vuoi dire una politica che, determini la massima disponibilità e diffusione di beni e dì servizi al costo minore, anzi al costo minimo. Essa perciò deve garantire due cose: la possibilità di consumare e la libertà di consumare.

E' inutile parlare, di democrazia e comunque di vita civile se non si ha la possibilità di garantire a tutti il soddisfacimento dei bisogni elementari della vita, che devono essere, raggiunti, perché si tratta di una questione di sensibilità morale. In altri termini, e come affermò con parole ben più elevate il Pontefice Leone XIII nella sua enciclica Rerum novarum bisogna poter garantire, un salario corrispondente insieme alle esigenze familiari e alle capacità individuali.

E' poi necessario garantire la libertà del consumatore, poiché limitare od annullare questa libertà significa in definitiva annullare tutte le altre. Si comincia a pianificare il consumo degli alimenti e degli indumenti e si finisce col pianificare gli uomini, i loro cervelli, le loro volontà. L'eguaglianza dei consumatori alla base del livello minimo delle necessità elementari è condizione per la loro effettiva libertà nel progressivo elevamento del tenore di vita.

Tale eguaglianza iniziale noi la ve-diamo anche sul piano della produzione che altro non è se non l'unione di tante iniziative che si coordinano e si integrano. Perciò il diritto all'iniziativa dell'imprenditore deve legarsi con il diritto al lavoro del tecnico e dell'operaio.

Nei quindi riconosciamo ogni diritto all'iniziativa ed al lavoro quale che sia la forma ed il grado della sua qualificazione.

Nelle, attuali circostanze però allo Stato incombe il dovere morale di intervenire perchè la miseria dei più non venga offesa da una sfrenata ed egoistica libertà di consumo, specialmente dì beni voluttuari.

La proprietà

Il problema della proprietà non è secondo noi un problema centrale. Contestiamo qualunque diritto ad ogni situazione parassitaria, passiva od anonima. Riconosciamo invece che lo sviluppo tecnico della economia contemporanea sta allontanando sempre più la proprietà capitalistica in senso tecnico - elemento, e non il più importante, della produzione, che integra ed è integrata dal lavoro - dalla posizione centrale che aveva. Essa infatti viene progressivamente assunta dagli elementi direttivi tecnici e lavorativi dell'impresa.

Riconosciamo infine pienamente valida la proprietà personale, sia quella di uso, sia anche quella legata alle forme naturali e individuali di produzione. E' questa proprietà che deve essere tutelata, difesa ed estesa in ogni modo, poiché essa costituisce l'espressione della personalità umana e la più concreta garanzia della libertà dell'individuo, e si fonda sul risparmio, frutto del, lavoro dell'individuo

Non riteniamo fatale la condizione proletaria, la quale rimarrebbe tale anche in un ordinamento collettivistico. Riteniamo invece che, favorendo la formazione di una proprietà personale, di uso e di partecipazione alla proprietà aziendale, si possa costituire un concreto programma di redenzione sociale, cioè di sproletarizzazione.

La via naturale per tale opera di elevamento della condizione umana dei lavoratori, noi la vediamo nello sviluppo e nell'affermazione dei sindacati e delle associazioni professionali. Queste debbono rispondere a due requisiti: essere espressione di un libero movimento associativo; non costituire in nessun caso forme di monopolio. Esse. devono inoltre essere apolitiche cioè escludere che la loro forza possa diventare strumento di forze politiche. In tal modo esse potranno assolvere alla funzione di tutela degli interessi economici e morali dei lavoratori, cioè di equilibratrici della economia generale delle aziende.

Quanto alla pianificazione, soprattutto sul pianti della produzione, derivato più o meno diretto del collettivismo, osserviamo che essa può accumulare i difetti di un regime di iniziativa e di concorrenza e di un regime collettivista. Tuttavia noi non escludiamo la possibilità della gestione diretta di determinate imprese da parte dello Stato, ma riteniamo che lo Stato non debba interferire direttamente in quella sfera, grande o piccola, che è riservata all'iniziativa privata. L'iniziativa o c'è o non c'è, o 19, si riconosce, o la si nega del tutto.

Ricostruzione

Riferendo ora questi orientamenti alla concreta situazione italiana, dobbiamo ricordare che se la caduta del fascismo che aveva esasperato il pescecanismo dell'altra guerra, ha spazzato via una organizzazione economica corrotta nel protezionismo e nel parassitismo, la guerra ha logorato in maniera impressionante e continuerà ancora a logorare l'attrezzatura tecnica del Paese. In tali condizioni, agli entusiasti della socializzazione ricordiamo le amare parole di Filippo Turati: «Non si socializza la miseria».

Ai fautori non meno entusiasti dell'intervento dello Stato, ricordiamo che ciò che è più distrutto oggi in Italia è proprio lo Stato, nella sua struttura tecnico -amministrativa, nella sua capacità ed energia imprenditrice, nelle, sue possibilità finanziare. Si rifaccia lo Stato, gli si dia efficienza, ordine, autorità e credito e poi parleremo in concreto di piani.

Ma la ricostruzione non può aspettare, non può essere rinviata. La distruzione e la miseria hanno toccato un limite estremo. Occorre lasciare all'iniziativa privata di fare quello che può, sa e vuole fare.

Si parla oggi di autogoverno: si cominci a riconoscere l'autogoverno dell'individuo. Il più serio intervento statale nel campo della produzione sarà oggi quello diretto a creare condizioni elementari e cioè un clima favorevole alla iniziativa ed alla energia individuali.

Fissare oggi dei piani o degli schemi per l'avvenire significherebbe rimanere nell'astratto. Tuttavia vi sono dei punti di orientamento che possono essere fissati nei riguardi della nostra struttura e organizzazione sociale. Innanzi tutto occorre eliminare quel capitalismo, che abbiamo chiamato parassitario, che ben caratterizza alcuni aspetti della condizione arretrata della nostra struttura economico-sociale. Occorre poi vitalizzare al massimo limite possibile l'iniziativa privata. Dopo tanto paternalismo, protezionismo ed autarchia, questa può essere per noi un'esperienza nuova, tecnicamente utile ed anche necessaria, per quel carattere aperto di scambio anche internazionale che la nostra economia deve necessariamente assumere. Occorrerà infine una forte iniziativa pubblica nel campo sociale e distributivo.

Evidentemente qualcuno pagherà queste spese di politica sociale, ma noi riteniamo che una redistribuzione del reddito nazionale sia necessaria, e che del resto sia già in atto.

Conviene però precisare che nessuna soluzione del problema italiano è possibile che non, tenga conto degli ideali politici e delle aspirazioni sociali delle masse cattoliche. E quando diciamo cattoliche vogliamo riferirci in questo caso ad una meta morale che si attua in una vastissima concezione dell'ordine familiare, della proprietà, della persona umana; concezione che s'identifica in larga misura con la realtà italiana.

Quando tutto il territorio sarà liberato, occorrerà una radicale revisione del nostro sistema tributario basato sull'unificazione c'elle tasse, e sull'eguaglianza dei cittadini anche di fronte alla legge fiscale. Bisognerà che lo Stato attui una politica finanziaria che tenda a migliorare le fonti del reddito nazionale piuttosto che. ad inaridirle; ma soprattutto occorrerà che, a parità di condizioni, tutti siano assoggettati allo stesso carico tributario.

In fatto di pubbliche finanze, riconosciamo la necessità di riassestarle con provvedimenti di eccezione e con criteri aderenti alla risorgente collaborazione internazionale. Ma le sole risorse nazionali non potranno certo ridarci la perduta vitalità. E quando un Paese non è in grado di crearsi i mezzi per riaversi da un profondo collasso, non gli resta che di attingere i mezzi necessari ai prestiti ed agli investimenti esteri. A ciò può fare ostacolo soltanto la sfiducia da parte del capitale estero, sia esso di Stati o di privati, nei confronti specifici della ripresa italiana.


A dare fiducia è quindi indispensabile che non si dia l'impressione all'estero di avviarci verso sovvertimenti sociali o verso esperimenti che sarebbero un lusso assolutamente incompatibile con la nostra situazione. Questa fiducia è anche necessaria per avviare attraverso prestiti interni la nostra circolazione monetaria a quei più drastici provvedimenti che la potranno restaurare definitivamente. Ogni cittadino vi concorrerebbe sapendo di salvare non solo il proprio capitale ma anche la collettività di cui esso fa parte.

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