NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

lunedì 25 gennaio 2016

SONDAGGIO SCOMODO PER RENZI OSCURATO DALLA R.A.I.

Il no alla riforma costituzionale è in vantaggio. La tv di Stato lo sa, ma non lo dice

Augusto Minzolini
Domenica 24 gennaio 2016

Stranezze del Belpaese. In queste settimane c'è stato un fiorire di sondaggi, su tutto e su chiunque. Governo, partiti, banche, ma sullo scontro che sarà la madre di tutte le battaglie nell'immaginario renziano, cioè il referendum sulle riforme costituzionali, nessuno.
O meglio, ce ne sono, ma non sono venuti alla ribalta. Ulteriore segno della cappa mediatica che regna in Italia. Uno di questi sondaggi lo aveva una trasmissione della tv pubblica, ma è rimasto nella scaletta, dimenticato nell'almanacco delle cose che si potevano dire e che non sono state dette. Eppure quei dati sono curiosi e ancora di più il trend che rivelano, specie se messi a confronto con i toni trionfalistici del premier.
Ebbene, dallo studio in questione emerge che nel novembre scorso il 40% degli italiani non sapeva nulla della riforma del Senato, mentre tra quelli che ne erano al corrente il 31% avrebbe votato sì, il 21% avrebbe votato no, mentre l'8% non era intenzionato in ogni caso ad andare a votare.
A gennaio, in base ad un campione raccolto la scorsa settimana, la situazione è cambiata. Di molto. Addirittura si è capovolta. Il numero degli elettori completamente all' oscuro del tema è sceso al 30%, gli irremovibili del «non voto» sono rimasti quelli che erano e, con grande scorno del premier, i no si sono ritrovati ad avere 10 punti di vantaggio rispetto ai sì.
Insomma, il trend è per ora completamente sfavorevole alle mire renziane.
Certo manca ancora molto tempo, anche se il premier ha tentato di anticipare il referendum da ottobre a giugno per farlo coincidere con le amministrative. «Ci ha provato e ci riproverà - conferma il capogruppo di Sel al Senato, Loredana De Pretis, che ha buoni contatti in Cassazione -: dipende tutto da Mattarella».
Ma, al di là della data di svolgimento della consultazione, sicuramente Renzi scommette molto sulle elargizioni di primavera per risalire nelle simpatie degli italiani (il suo gradimento ora è al 29%) e per vincere il duello referendario: per essere più chiari, confida molto nell' entrata in vigore della card da 500 euro per la cultura dei diciottenni e nell'abolizione della prima rata dell'Imu a giugno. Anche tenendo conto di questi atout, però, la scelta del premier di giocare l'intera posta sulla vittoria nel referendum appare, più che una mossa azzardata, quasi un peccato di arroganza.
Simile a quello che commise Massimo D'Alema nella primavera del 2000, quando puntò tutto sulla vittoria nelle elezioni regionali, che si conclusero invece con una caporetto per il centrosinistra e con la sua cacciata da Palazzo Chigi: i due si odiano, ma in fondo si somigliano.
Già, Renzi rischia davvero di perdere i referendum, di rimediare una sonora batosta.
Come gli capita spesso, infatti, dà per scontati elementi tutti da verificare.
Ad esempio, la campagna che gli è più congeniale, quella basata sullo schema «il nuovo contro il vecchio» poteva convincere se il protagonista fosse stato il Renzi neo-inquilino di Palazzo Chigi, ma è trita e ritrita in bocca al Renzi di oggi, quello che per fare passare la riforma del Senato utilizza le poltrone delle commissioni parlamentari o mercanteggia sul rimpasto di governo.
Neppure i democristiani di un tempo - va detto - avrebbero usato questi metodi, che pure gli erano congeniali, per cambiare la Costituzione. E anche lo slogan «manderemo a casa i senatori» rischia di non solleticare più molto le pance del populismo nostrano, colpa delle delusioni patite dall' opinione pubblica per riforme gridate ai quattro venti che hanno partorito solo topolini.
I nove milioni di spettatori dell'ultimo film di Checco Zalone, ad esempio, hanno scoperto, grazie alle vicissitudini del protagonista, che le tanto vituperate Province non sono state abolite, ma hanno solo cambiato nome. Più o meno quello che succederà con il Senato.
Pur potendo mettere in campo un efficace bombardamento mediatico, Renzi ha di fronte, quindi, problemi ben più grandi di quelli che pensa di avere: e, soprattutto, per la prima volta dovrà fare i conti con il suo logoramento nel rapporto con il Paese. Un logoramento che, invece, è ben chiaro nella mente dei tanti avversari che lo assediano.
E qui emerge un altro «handicap» del premier. Certo il fronte del no è diviso in molti comitati elettorali, mette insieme il diavolo e l'acqua santa, anti-berlusconiani da sempre come Zagrebelsky & company e lo stesso Cavaliere, estrema sinistra e leghisti, cattolici conservatori e laici estremisti, ma l' obiettivo che unisce le varie anime dello schieramento è chiaro ed estremamente semplice: mandare a casa Renzi.
Di fatto lo ha fornito lo stesso premier, impostando il referendum come un plebiscito sul suo nome.
Il sì, invece, avrà un solo comitato nel quale, però, albergheranno mille giochi. Chi chiede a Pier Luigi Bersani, per fare un nome, se spera nella vittoria dei sì, può ricevere una risposta che può sorprendere solo qualche sprovveduto: «Ma chi l'ha detto che sono da quella parte della barricata?». Parole provocatorie che si ritrovano anche sulla bocca di personaggi come Gotor e di altri esponenti della minoranza del Pd.
E, a ben guardare, pure i potenziali grandi alleati del premier, hanno atteggiamenti enigmatici. «Durante l'intervento di Renzi in Senato sulle riforme - racconta il senatore di Ncd, Luigi Compagna - Napolitano è stato tutto il tempo a bofonchiare per esprimere il proprio disappunto anche se il premier lo copriva di lodi. Ad un certo punto gli ho detto: Presidente, ma lo hai voluto tu!. E lui mi ha risposto: Caro Luigino vedo che non sei informato bene...».
Il continuo movimentismo di Renzi aggiunge, infatti, alla guerriglia degli avversari interni anche la diffidenza di quelli che sulla carta dovrebbero essere degli alleati. La polemica contro la Ue, l'attacco alla politica dell' austerity, che il premier ha agitato per uscire dal cul de sac dello scandalo di Banca Etruria, sono stati interpretati da Napolitano - inventore del governo Monti, assertore del dogma «prima di tutto la Ue» - come un mezzo tradimento. Le «nuove tesi» del premier sull' Europa, infatti, finiscono fatalmente per metterlo sul banco degli imputati della Storia.
Così, l'elenco degli avversari più o meno dichiarati di Renzi continua ad allungarsi.

Per molti di loro la sconfitta del premier nel referendum può rivelarsi come lo strumento più efficace e più pulito per liberarsene senza sporcarsi le mani. Diranno: è stato il Paese a decidere. E nel Paese i numi tutelari di Renzi nelle aule di questo scassato Parlamento, cioè i vari Alfano e Verdini, contano davvero poco.

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