I parte
E'
la prima volta, io credo, in otto anni, che si manifesta in seno al PNM una
corrente che non nasca soltanto in base a simpatie personali o per occasioni
contingenti, e la quale, se inizia a manifestarsi in occasione di un Congresso,
nasce da sentimenti e da convinzioni che precedono di assai la propria
manifestazione, ed intende durare nell'azione ben oltre l'occasione
congressuale. Cioè: non combinazione polemica o, al contrario, di comodo, noi
siamo, in seno al Congresso, Nazionale; ma uomini che ci siamo ritrovati,
insieme, perchè insieme convinti di una posizione politica che insieme crediamo
corrisponda all'interesse della Nazione, e quindi all'interesse del Partito ed
al suo dovere verso la Nazione
ad un tempo. Perciò su questa posizione impegniamo oggi il Congresso, e
naturalmente seguiteremo da domani ad impegnare il Partito nei termini e nei
modi che dall'esito congressuale ci saranno democraticamente indicati. Perciò
la mozione che presentiamo al Congresso non vuole essere episodio isolato, ma è
il primo episodio di una posizione che vuol essere, e che sarà, conseguente, e
di questa rappresenta il contenuto più urgente, cioè l'accentuazione di quei
problemi che guardando da questa posizione alla vita della Nazione e all'azione
del Partito - si rivelano come i più importanti ed urgenti. Ma questa nostra
posizione non si esaurisce nella mozione, anzi le presuppone un generale esame
di coscienza intorno al compito dei monarchici italiani nell'attuale ora di
crisi politica nazionale, e da questo esame di coscienza trae un giudizio
politico di carattere generale, del quale - si diceva - la mozione, con i
problemi che essa pone e con le soluzioni che indica, è soltanto la
manifestazione più urgente.
Per
questi motivi ci sembra atto essenziale di lealtà e di democrazia presentare la
mozione con una relazione la quale dica più ampiamente ciò che «Sinistra
Sociale» genericamente è e vuole essere, e renda esplicito, proponendolo a
tutti gli amici congressisti - ed anzi in loro e attraverso loro, a tutti i monarchici
italiani - questo esame di coscienza.
Esso
parte - per noi che vogliamo essere non soltanto i custodi di una Tradizione,
ma i suoi interpreti e continuatori nelle circostanze dell'epoca che è nostra -
da una domanda: quando e come (sopratutto come) la Monarchia di Casa Savoia
si trasformò da fatto dinastico regionale in fatto unitario nazionale? Tutto il
senso del Risorgimento, o almeno gran parte di esso, è per noi monarchici in
questa domanda ed il rispondere a questa non soltanto può chiarirci quel senso,
ma può indicarci la via per quella interpretazione ne che oggi ci occorre per
continuarla.
La
trasformazione di Casa Savoia di fatto dinastico regionale in fatto unitario
nazionale non avvenne nel 1848 con la elargizione dello Statuto da parte di Re
Carlo Alberto; con questo atto senza sminuirne con questa constatazione la
grandezza - siamo ancora nel dinastico e nel regionale, come vi siamo con gli
analoghi atti del Papa - Re a Roma, del Re Ferdinando a Napoli, del Granduca
Leopoldo in Toscana. Che questi, poi, abbiano ceduto alla pressione delle forze
anticostituzionali ed il Re di Sardegna no, anche perché in Piemonte assai meno
vive erano le forze opposte al moto costituzionalista e più vive le favorevoli,
non è discriminazione sufficiente per discriminare questi atti sovrani - tutti
- dal piano della convenienza dinastica ad adattarsi ai tempi nell'ambito degli
Stati regionali. Anche la prima guerra dell'indipendenza è su questo piano,
almeno in principio: sono le truppe del Papa-Re, del Re di Napoli, del Granduca
di Toscana che si affiancano a quelle del Re di Sardegna in Lombardia.
La
trasformazione del piano storico - la rivoluzione storica di Casa Savoia -
avviene in seguito con Novara e subito dopo Novara. E' il giovane Re - poi, e
giustamente, chiamato Padre della Patria che volge l'azione della Monarchia,
dei Savoia da fatto dinastico regionale in fatto unitario nazionale, con il rifiutare
l'abrogazione della Costituzione malgrado l'intimazione di Vignale, e con tutta
la politica del decennio di preparazione 1849-1859. Quella trasformazione
avvenne con questa politica: che, nel Rappresentante della Dinastia che solo
trent'anni prima era ritornato sul Trono con il «Palma Verde» - come se il 1789
e Napoleone non fossero mai stati - fu la politica con gli esuli, da Manin a
Crispi, la politica con Garibaldi, e sarebbe stata la politica con Mazzini, se
questi, oltre o più che filosofo, fosse stato uomo politico. La stessa scelta
del Cavour - del giovane nobile che aveva lasciato il servizio di paggio di
Corte per fare il giornalista, e aveva studiato quella che oggi si direbbe una
riforma agraria - entra in questa politica e la caratterizza. E', insomma, la
politica con i progressisti dell'epoca e con i rivoluzionari, purché gli uni e
gli altri la facessero sul piano della Nazione che è la politica dell'unità
nazionale concepita in sento sociale insieme, e prima, che, in senso
territoriale, ed è perciò che il fatto territoriale si trasforma da conquiste
dei Piemontesi in unificazione dell'Italia e degli Italiani. Quella politica è
- questo è essenziale - il rifiuto da parte del Re di far politica con le
«Classi
alte» del tempo, o di fare la loro
politica; è la scelta di fare la politica
dei rivoluzionari e con i rivoluzionari
pur sapendo quanto questi fossero psicologicamente invisi alle «classi alte» e
da queste socialmente scomunicati, e pur sapendo i rischi gravi che questa
scelta comportava e le amarezze non meno grandi che dovevano venirgliene. E'
questa politica di Vittorio Emanuele II che, nel decennio dal 1849 al 1859, fa
la rivoluzione italiana, costruisce il fondamento di tutto ciò che di felice
avvenne dopo: è essa che trasforma la Monarchia dei Savoia da fatto dinastico regionale
a fatto unitario nazionale.
Con
l'intelligenza politica e con lo spirito nazionale che lo distinguevano, lo
ricordò e la riprese il grande Nipote del Padre della Patria mezzo secolo dopo,
allorché, all'indomani del regicidio, di Monza, immediatamente sostituì la
classe politica dei Pelloux con quella degli Zanardelli e dei Giolitti. Anche
per il piccolo grande Re a questa politica seguì un approfondimento ed un
progresso dell'unità nazionale, che si manifestò nella guerra del 1915-18 che
vide nelle trincee, volontari, i Corridoni, i Mussolini, i De Felice, e tra i
ministri un Bissolati. Cioè: i socialisti. Ancora una volta i reprobi delle «classi
alte», dei «benpensanti», i loro scomunicati dal punto di vista sociale.
Per
chi voglia non soltanto custodire una Tradizione - come se fosse una vecchia
pergamena da riporre in una bacheca di cristallo - ma interpretarla e
continuarla, come realtà viva e vivificante, questa grande esperienza dei Re
che, in un secolo, si ripete due volte nella vita della Nazione deve pur avere
un significato e racchiudere un monito ed un insegnamento. Ma, prima di trarne
le conclusioni, si hanno da guardare le condizioni odierne del Paese, si ha da
guardare la sua gravissima crisi politica in atto.
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