
NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.
sabato 30 gennaio 2016
giovedì 28 gennaio 2016
La Sinistra Sociale Monarchica II parte
di Pasquale Pennisi
Sostanza
della crisi e sua origine

«Prendere
di petto» la situazione, cioè riconoscere e denunciare la reale sostanza della crisi
di oggi significa riconoscere e denunciare lo scandimento di attualità di tutti
o quasi i miti ideologici così i quali dal 1948 in qua i partiti
politici giustificano e mascherano se stessi, mascherando in pari tempo la
situazione politica generale, e rendendola di più in più priva di
giustificazione; significa riconoscere e denunciare come dichiara la nostra
mozione - che il punto focale della situazione nazionale è attualmente costituito
non da problemi politici, ma dal problema economico-sociale, la cui gravità si
accresce progressivamente per l'accrescersi della distanza tra le poche grandi
ricchezze e la miseria estesa ed una vastissima aliquota della Comunità
nazionale. Cioè, a dirla spiccia: la crisi è dovuta al fatto che la situazione
politica è precipitata in una situazione - già attuale; ma ancor più gravemente
potenziale - di lotta di classe, e che, a trarnela, non bastano, ed anzi sono
di ostacolo, gli scaduti miti ideologici con i quali i partiti si mascherano e
mascherano, per loro interessi particolaristici, la realtà della situazione. Né
il riconoscere ed il denunciare che oggi la situazione politica è precipitata
in una situazione di lotta di classe significa essere classisti o accettare
comunque una impostazione marxista del problema Significa soltanto riconoscere
un dato di fatto, così come diagnosticare che un uomo è ammalato non significa
accettare una impostazione teoretica secondo la quale gli uomini, o quell'uomo,
debbano essere necessariamente malati. Ché anzi, avere la chiarezza ed il
coraggio della diagnosi è la prima cosa da fare per avere poi le possibilità
della cura e della guarigione. Perciò noi, antimarxisti per impegno morale e
per convinzione dottrinale, non esitiamo a riconoscere che oggi la situazione
politica italiana è di fatto una situazione di lotta di classe; perché bisogna
muovere dal riconoscimento e dalla denuncia di questo precipitare della situazione
per poternela trarre fuori.
Il
vuoto della Monarchia
Che
questo precipitare della situazione dovesse pressoché fatalmente avvenire noi
monarchici - o, almeno una parte di noi - lo avevamo presentito e previsto sin
dagli anni - ormai lontani, ed a torto dimenticati - della maggior vivacità
della polemica istituzionale, prima della battaglia elettorale per il
referendum.
Nè
una simile, triste, previsione era difficile da farsi poiché il togliere di mezzo dal giuoco delle forze politiche
e dei contrastanti interessi la
Monarchia per sostituirla con un Istituto del tutto
dipendente dalle maggioranze parlamentari e quindi dal giuoco dei partiti e dai
loro interessi, specialmente in un periodo di gravissimo
disagio economico e di impoverito vigore dello spirito nazionale per noi, e di
giganteschi appetiti ed interessi internazionali (così politici come economici)
altrui, non poteva condurre ad altro risultato.
Tolto
l'ago trascendente della bilancia costituzionale e il depositario storico e
morale della tradizione unitaria e nazionale - quale è la Monarchia - e tutto
lasciato senza possibilità di superiori ed imparziali mediazioni alla lotta e
agli interessi dei partiti - i quali sono, per loro natura, macchine dai costi
di produzione altissimi - era fatale che su di essi si ponessero e dietro di
essi si nascondessero, manovrandoli, i più cospicui e più oscuri interessi del
capitalismo internazionale.
A
questo siamo: da una parte le forze della rivoluzione marxistico - proletaria;
dall'altra le forze della reazione capitalistica rappresentate dal
Quadripartito, che proprio per questo è così facile da tener insieme e da
ricomporre ad ogni minaccia di sfaldamento, malgrado il suo permanente atto di
molteplice contraddittorietà ideologica e di avanzata consunzione politica. La
forze capitalistiche solidamente agganciate alle pattuglie dirigenziali
socialdemocratiche, liberali e storico - repubblicane, dominano ancora
dall'esterno e dall'interno il complesso corpus democristiano malgrado l'acuta
intelligenza di alcune delle sue punte e la crescente insofferenza di notevole
parte della sua base. Questa, originata dall'improvvisa e antistorica
instaurazione della Repubblica, la situazione politica italiana; questa la
gravissima crisi che pervade la
Comunità nazionale italiana.
In
mezzo c'è il vuoto: il vuoto dello spazio morale dove prima era la Monarchia e, con la Monarchia , il sentimento
comune e superiore della Patria e la coscienza operante della unità della
Nazione: quel sentimento e quella coscienza che fanno eguali ed uniti i
cittadini quali che siano le loro particolari e legittime posizioni ideologiche
o di classe; quello che vieta alla Maggioranza di identificare se stessa ed il
Governo con lo Stato e, peggio, con la Nazione , e che vieta all'Opposizione di identificare
necessariamente se stessa con la sovversione. Né a riempire questo vuoto basta
il sentimento dello Stato e la reintegrazione della sua autorità, che l’autorità
dello Stato - quando non poggi su quella operante coscienza dell'unitarietà
della Nazione di cui or ora si è detto - altro non è che strumento poliziesco e
fiscale della prepotenza delle forze che hanno avuto in sorte, dal gioco elettorale, non la responsabilità (che esse, senza quella coscienza unitaria
nazionale, non possono sentire) di esercitare la funzione di governo, ma il
privilegio di detenerla.
A
riempire questo vuoto della Patria, risuscitando in tutti - ma prima che in
ogni altro in noi stessi il sentimento unitario della Nazione al di sopra di
ogni discriminazione, siamo chiamati noi monarchici. Se non lo facessimo,
vanamente eserciteremmo la nostra azione politica, e la pretesa di interpretare
e di continuare la tradizione della Monarchia altro non sarebbe che velleitaria
illusione, o, peggio, maschera anch'essa di speculazione politica non
differente da quel che sono altre ideologie per altri partiti. Poiché questo
non vogliamo noi della Sinistra Sociale del P.N.M. prendiamo queste posizioni.
mercoledì 27 gennaio 2016
Quelli che "il Re ha consegnato l'Italia al Fascismo"... La Monarchia e il Fascismo - Appendice 2
SEDUTA DEL 25 NOVEMBRE
1922
Pieni poteri.
«
Hanno risposto sì:
Abisso, Acerbo, Albanese
Giuseppe, Albanese Luigi, Aldi Mai, Aldisio, Altice Amatucci, Angelini, Anile.
Bacci, Banderali,
Banelli, Baranzini, Bassino, Baviera, Belotti Bortolo, Benedetti, Beneduce
Giuseppe, Benni, Berardellì, Bertone, Bevione, Bianchi Carlo, Bianchi Vincenzo,
Biavaschi, Bilucaglia, Boggiano Pico, Bonardi, Boncompagni.Ludovisi, Bonomi
Ivanoe, Bresciani, Brezzi, Broccardi, Brunelli, Brusasca, Bubbio, Buonocore,
Buttafochi.
Caccianiga, Calò,
Camera, Camerata, Camerini, Capanni,Capasso, Capobianco, Caporali, Cappa Paolo,
Cappelleri, Caradonna, Carapelle, Carbonari, Carnazza Carlo, Carnazza
Gabriello, Carusi, Casalicchio, Casaretto, Casertano, Catalani, Cavazzonì,
Celesia, Celli, Cerabona, Cermenati, Chiostri, Ciano, Ciappi, Cicogna,
Cingolani, Ciocchi, Ciriani, Cirincione, Cocuzza, Codacci.Pisanelli, Colosimo,
Compagna, Corgini, Corradini, Cotugno, Crisafulli Mondio, Cristofori, Cuomo,
Curti, Cutufelli.
D'Alessio, D'Ayala, De
Bellis, De Capitani d'Arzago, De Caro, De Filippis Delfico, De Gasperi, D'Elia,
Dello Sbarba, De Nava, De Stefaní, De Vecchi, De Vito, Di Fausto, Di Francia,
Di Marzo, Di Salvo, Donegani, Drago, Ducos, Dudan.
Falcioni, Fantoni,
Faranda, Farina, Faudella, Fazio, Fazzari, Federzoni, Fera, Ferrari Giovanni,
Ferri Leopoldo, Finocchiaro-Aprile Andrea, Fino cchiaro-Aprile Emanuele, Finzi,
Fontana, Franceschi, Frova, Fumarola, Furgiuele.
Gallo, Gasparotto,
Gavazzini, Giolitti, Girardi i ni Giuseppe,
Giunta, Giuriati,
Grassi, Graziano, Gronchi, Guàccero, Gua-
rienti, Guarino-Amella,
Guglielmi.
Imperati, Improta.
Jacini.
Krekich.
Macchi Luigi, Mancini
Augusto, Marchi Giovanni, Marino, Marracino, Martini, Masciantonio,
Mattei-Gentili, Mattoli, Maury, Miazzarella, Mazzucco, Mendaja-Merlin,
Miceli-Picardi, Micheli, Milani Fulvio, Miliani G. Battista, Mininni, Misuri,
Montini, Morisani, Murgia, Mussolini.
Nasi, Netti Aldo,
Novasio.
Olivetti, Ollandini,
Orano, Orlando, Ostinelli, Oviglio.
Padulli, Paleari,
Pallastrelli, Palma, Pancano, Paolucci, Paratore, Pascale, Pasqualino Vassallo,
Pecoraro, Pellegrino, Pellizzari, Perrone, Persico, Pesante, Pezzullo,
Philipson, Pietravalle, Piscitelli, Pivano, Pogatischnig, Poggi, Porzio, Pucci.
Quilico.
Raineri, Reale, Renda,
Riccio, Roberti, Rocco Marco, Rodinò, Romani, Rosa Italo, Rosadi, Rossi Luigi,
Rubilli, Ruschi.
Sacchi, Saitta, Salandra,
Sandroni, Sanna-Randaccio, Sardi, Sarrocchi, Sensi, Serra, Siciliani,
Signorini, Sitta, Soleri, Sorge, Spada, Speranza, Squitti, Stancanelli,
Stefini, Suvich.
Tamanini, Tamborino,
Tangorra, Termini, Tinozzi, Tòfani, Tommasi, Torre Andrea, Torre Edoardo,
Toscano, Tosti, Tròilo, Tumiati, Tupini.
Ungaro,
Vairo, Vallone, Vassallo
Ernesto, Veneziale, Venino, Visco, Vittoria.
Zaccone, Zegretti.
Rispondono no:
Abbo, Amedeo,
Argentieri, Assennato.
Baglioni, Baratono,
Belloni Ambrogio, Bellotti Pietro, Beltrami, Bentini, Binotti, Bisogni,
Bocconi, Bosi, Buffoni, Buozzi, Bussi.
Caldara, Campanini,
Canepa, Canevari, Cao, Cavina, Caz. zamalli, Chiesa, Conti, Corsi.
D'Aragona, De Andreis,
De Angelis, De Giovanni Alessandro, Del Bello, Donati. Dugoni.
Ellero, Ercolani.
Filippinì, Fior,
Florian, Frontini.
Galeno, Gallanì, Garosi,
Giacometti, Gonzales.
Lazzari, Lollini, Lucci.
Macrelli, Maitilasso,
Majolo, Marchioro, Mastino, Mastraechi, Matteotti, Mazzolani, Merizzi, Merloni,
Mingrino, Modigliani, Monici, Montemartini, Morgari, Mucci, Musatti.
Nobili.
Pagella, Panebianco,
Paolino, Piemonte, Presutti.
Ramella, Riboldi,
Ròndani, Rossi Francesco.
Salvalai, Sardelli,
Sbaraglini, Smorti.
Tonello, Treves, Trozzi,
Turati.
Vacirca, Vella,
Ventavoli, Volpi.
Zanardi, Zanzi,
Zirardini Gaetano.
Sono in congedo-
Alessio, Càsoli,
Corneli, Di Giovanni Edoardo, Di Pietra, Giavazzi, Imberti, Lombardi. Nicola,
Mauri Angelo, Meda, Rossi Cesare, Terzaghi, Valentini Ettore, Villabruna.
Sono ammalati:
Agnesi, Arcangeli,
Carboni Vincenzo, Corco-Ortu, Farioli, Lofaro, Mauro Clemente, Mauro Francesco.
Assenti per ufficio
pubblico:
Cappa Innocenzo, Ferrari
Adolfo, Grandi Achille, Marescalchi, Piva.
Risultato della
votazione sui pieni poteri:
Presenti e votanti: 365;
maggioranza: 183; hanno votato sì: 275; hanno votato no: 90.
lunedì 25 gennaio 2016
SONDAGGIO SCOMODO PER RENZI OSCURATO DALLA R.A.I.
Il
no alla riforma costituzionale è in vantaggio. La tv di Stato lo sa, ma non lo
dice
Augusto
Minzolini
Stranezze
del Belpaese. In queste settimane c'è stato un fiorire di sondaggi, su tutto e
su chiunque. Governo, partiti, banche, ma sullo scontro che sarà la madre di
tutte le battaglie nell'immaginario renziano, cioè il referendum sulle riforme
costituzionali, nessuno.
O
meglio, ce ne sono, ma non sono venuti alla ribalta. Ulteriore segno della
cappa mediatica che regna in Italia. Uno di questi sondaggi lo aveva una
trasmissione della tv pubblica, ma è rimasto nella scaletta, dimenticato nell'almanacco delle cose che si potevano dire e che non sono state dette. Eppure
quei dati sono curiosi e ancora di più il trend che rivelano, specie se messi a
confronto con i toni trionfalistici del premier.
Ebbene,
dallo studio in questione emerge che nel novembre scorso il 40% degli italiani
non sapeva nulla della riforma del Senato, mentre tra quelli che ne erano al
corrente il 31% avrebbe votato sì, il 21% avrebbe votato no, mentre l'8% non
era intenzionato in ogni caso ad andare a votare.
A
gennaio, in base ad un campione raccolto la scorsa settimana, la situazione è
cambiata. Di molto. Addirittura si è capovolta. Il numero degli elettori
completamente all' oscuro del tema è sceso al 30%, gli irremovibili del «non
voto» sono rimasti quelli che erano e, con grande scorno del premier, i no si
sono ritrovati ad avere 10 punti di vantaggio rispetto ai sì.
Insomma,
il trend è per ora completamente sfavorevole alle mire renziane.
Certo
manca ancora molto tempo, anche se il premier ha tentato di anticipare il
referendum da ottobre a giugno per farlo coincidere con le amministrative. «Ci
ha provato e ci riproverà - conferma il capogruppo di Sel al Senato, Loredana
De Pretis, che ha buoni contatti in Cassazione -: dipende tutto da Mattarella».
Ma,
al di là della data di svolgimento della consultazione, sicuramente Renzi
scommette molto sulle elargizioni di primavera per risalire nelle simpatie
degli italiani (il suo gradimento ora è al 29%) e per vincere il duello
referendario: per essere più chiari, confida molto nell' entrata in vigore
della card da 500 euro per la cultura dei diciottenni e nell'abolizione della
prima rata dell'Imu a giugno. Anche tenendo conto di questi atout, però, la
scelta del premier di giocare l'intera posta sulla vittoria nel referendum
appare, più che una mossa azzardata, quasi un peccato di arroganza.
Simile
a quello che commise Massimo D'Alema nella primavera del 2000, quando puntò
tutto sulla vittoria nelle elezioni regionali, che si conclusero invece con una
caporetto per il centrosinistra e con la sua cacciata da Palazzo Chigi: i due
si odiano, ma in fondo si somigliano.
Già,
Renzi rischia davvero di perdere i referendum, di rimediare una sonora batosta.
Come
gli capita spesso, infatti, dà per scontati elementi tutti da verificare.
Ad
esempio, la campagna che gli è più congeniale, quella basata sullo schema «il
nuovo contro il vecchio» poteva convincere se il protagonista fosse stato il
Renzi neo-inquilino di Palazzo Chigi, ma è trita e ritrita in bocca al Renzi di
oggi, quello che per fare passare la riforma del Senato utilizza le poltrone
delle commissioni parlamentari o mercanteggia sul rimpasto di governo.
Neppure
i democristiani di un tempo - va detto - avrebbero usato questi metodi, che
pure gli erano congeniali, per cambiare la Costituzione. E anche lo slogan
«manderemo a casa i senatori» rischia di non solleticare più molto le pance del
populismo nostrano, colpa delle delusioni patite dall' opinione pubblica per
riforme gridate ai quattro venti che hanno partorito solo topolini.
I
nove milioni di spettatori dell'ultimo film di Checco Zalone, ad esempio, hanno
scoperto, grazie alle vicissitudini del protagonista, che le tanto vituperate
Province non sono state abolite, ma hanno solo cambiato nome. Più o meno quello
che succederà con il Senato.
Pur
potendo mettere in campo un efficace bombardamento mediatico, Renzi ha di
fronte, quindi, problemi ben più grandi di quelli che pensa di avere: e,
soprattutto, per la prima volta dovrà fare i conti con il suo logoramento nel
rapporto con il Paese. Un logoramento che, invece, è ben chiaro nella mente dei
tanti avversari che lo assediano.
E
qui emerge un altro «handicap» del premier. Certo il fronte del no è diviso in
molti comitati elettorali, mette insieme il diavolo e l'acqua santa,
anti-berlusconiani da sempre come Zagrebelsky & company e lo stesso
Cavaliere, estrema sinistra e leghisti, cattolici conservatori e laici
estremisti, ma l' obiettivo che unisce le varie anime dello schieramento è
chiaro ed estremamente semplice: mandare a casa Renzi.
Di
fatto lo ha fornito lo stesso premier, impostando il referendum come un
plebiscito sul suo nome.
Il
sì, invece, avrà un solo comitato nel quale, però, albergheranno mille giochi.
Chi chiede a Pier Luigi Bersani, per fare un nome, se spera nella vittoria dei
sì, può ricevere una risposta che può sorprendere solo qualche sprovveduto: «Ma
chi l'ha detto che sono da quella parte della barricata?». Parole provocatorie
che si ritrovano anche sulla bocca di personaggi come Gotor e di altri
esponenti della minoranza del Pd.
E,
a ben guardare, pure i potenziali grandi alleati del premier, hanno
atteggiamenti enigmatici. «Durante l'intervento di Renzi in Senato sulle
riforme - racconta il senatore di Ncd, Luigi Compagna - Napolitano è stato
tutto il tempo a bofonchiare per esprimere il proprio disappunto anche se il
premier lo copriva di lodi. Ad un certo punto gli ho detto: Presidente, ma lo
hai voluto tu!. E lui mi ha risposto: Caro Luigino vedo che non sei informato
bene...».
Il
continuo movimentismo di Renzi aggiunge, infatti, alla guerriglia degli
avversari interni anche la diffidenza di quelli che sulla carta dovrebbero
essere degli alleati. La polemica contro la Ue, l'attacco alla politica dell'
austerity, che il premier ha agitato per uscire dal cul de sac dello scandalo
di Banca Etruria, sono stati interpretati da Napolitano - inventore del governo
Monti, assertore del dogma «prima di tutto la Ue» - come un mezzo tradimento.
Le «nuove tesi» del premier sull' Europa, infatti, finiscono fatalmente per
metterlo sul banco degli imputati della Storia.
Così,
l'elenco degli avversari più o meno dichiarati di Renzi continua ad allungarsi.
Per
molti di loro la sconfitta del premier nel referendum può rivelarsi come lo
strumento più efficace e più pulito per liberarsene senza sporcarsi le mani.
Diranno: è stato il Paese a decidere. E nel Paese i numi tutelari di Renzi
nelle aule di questo scassato Parlamento, cioè i vari Alfano e Verdini, contano
davvero poco.
domenica 24 gennaio 2016
Nuovo aggiornamento del sito dedicato a Re Umberto II
![]() |
Il Principe Umberto tra le truppe del I Raggruppamento Motorizzato del ricostituito Regio Esercitoa Castelnuovo al Volturno |
L'accoglienza fatta al Re nelle città liberate e la lotta con il governo di De Gasperi nella parole del Sovrano a Cascais.
www.umberto.it
sabato 23 gennaio 2016
Il Partito Democratico Italiano, di Enzo Selvaggi - prima parte
Un fortunato ritrovamento su ebay ci consente di restituire al nostro mondo e al mondo un pezzo della nostra storia.
Enzo Selvaggi è una figura quasi mitologica per i monarchici, ma in realtà su di lui si trova ben poco. Anche trovare una sua immagine non è stato facile.
Enzo Selvaggi è il monarchico fedelissimo che fondò il Partito Democratico Italiano, dichiaratamente monarchico, che fondò il quotidiano monarchico Italia Nuova, unico di una certa importanza a sostenere le ragioni della Monarchia e del Re durante la battaglia referendaria, che presentò il famosissimo ricorso alla Suprema Corte di Cassazione confutando i risultati del referendum istituzionale del 1946.
Riproponiamo un pezzo di storia per noi importante, per saper difendere meglio le nostre le nostre ragioni.
Riproponiamo un pezzo di storia per noi importante, per saper difendere meglio le nostre le nostre ragioni.
ENZO SELVAGGI
DISCORSO PRONUNCIATO IN ROMA IL 3 DICEMBRE 1944 NEL TEATRO QUIRINO
L'ITALIA
CHE COMBATTE E CHE SOFFRE

Lotta
politica significa inevitabilmente antitesi e opposizioni. Ma la lotta nella
quale noi abbiamo preso il nostro posto non ci spaventa, poiché essa è il
necessario, faticoso travaglio della libertà.
Solo
in un caso questa lotta potrebbe spaventarci e allarmarci: se al di sotto di
essa non avvertissimo, pur talvolta apparentemente dimenticato, ma non certo da
noi, l'esistenza di un piano comune che in qualche modo orienta ed unifica le
nostre lotte e le nostre antitesi. Questo piano è l'Italia, l'Italia che
combatte. E se è vero che tutte le possibilità di riscatto e di rinnovamento
sono affidate esclusivamente all'energia con la quale l'Italia saprà sostenere
tutti i termini di questa lotta, bisogna concludere che l'Italia più vera e
migliore è appunto l'Italia che combatte.
Noi
quindi pensiamo con gratitudine a tutti coloro che in diverse forme e
condizioni combattono per la libertà italiana: alle ricostituite Divisioni
dell'Esercito, all'Aeronautica, alla Marina, ai Patrioti.
Marinai
e Patrioti
Non
v'è certo graduazione nel significato morale del loro sacrificio. Ma se
guardiamo al rilievo politico, obiettivo, che, ogni azione acquista, non siamo
ingiusti pensando con particolare ammirazione ed orgoglio a due categorie di
combattenti: i marinai ed i patrioti.
I
marinai hanno avuto il privilegio in un certo momento di rappresentare quasi
soli l'Italia e di costituire l'unico peso da gettare sulla bilancia della
sorte e del futuro. Nel tragico settembre, del '43, nella dissoluzione di ogni
forza, l'Italia ha continuato ad esistere di fronte al mondo, come realtà
politica, solo grazie ai suoi marinai.
Se
la Marina è
l'unico organismo tradizionale che ha retto alla crisi, i patrioti
rappresentano il fatto nuovo, importantissimo, di questa nostra guerra. La loro
guerra è umanamente la più dura e la più desolata delle guerre. Essi sanno che
l'alternativa unica della loro vittoria e il sacrificio supremo. Oltre gli
effetti militari e politici della loro lotta, essi provano l'esistenza nella
nostra compagine nazionale di centri vivi ed attivi, di forze moralmente e
civilmente sane. Forze nella loro maggioranza non politicamente definite e
qualificate ma spontanee, suscitate dall'urto della crisi e mosse da un senso
elementare di dignità e coscienza
civile. Ora, se democrazia implica appunto coscienza civile,
spontaneità, iniziativa popolare, l'azione dei patrioti costituisce una
premessa ed una fondata speranza per la nuova democrazia italiana. Prendano
atto non solo gli italiani, ma soprattutto gli stranieri, di questa verità. Un
popolo che si batte è pienamente degno della sua libertà: poiché esso è già
libero.
Ma
insieme all'Italia che :combatte noi dobbiamo rivolgere il nostro pensiero con
dolorosa solidarietà anche all'Italia che soffre. E innanzi tutto agli italiani
premuti ancora dalla dominazione nazi-fascista, i loro dolori e le loro
sofferenze sono infiniti, ma noi sappiamo che essi non cedono. Il loro
sacrificio rimane come segno e titolo di questa nuova Italia che sta
sanguinosamente sorgendo.
I
prigionieri di guerra
Vada
poi il nostro pensiero ai fratelli lontani: ai prigionieri di guerra. Lontani
dalla Patria, lontani dal presente travaglio politico, in essi la, sofferenza
della nostalgia si raddoppia nel dubbio, nell'incertezza, nello scoramento,
anche talvolta nell'errore. Noi comprendiamo la loro angoscia ed essi avranno
bisogno di noi, della nostra comprensione. Ma anche noi avremo bisogno di
associare queste forze, che sono fra le più giovani e le migliori, al comune
lavoro di ricostruzione. E' dunque necessario domandarsi con inquietudine se si
è fatto tutto il possibile per alleviare la loro sorte. Non comprendiamo
infatti come sia possibile, dopo quindici mesi di cobelligeranza, dopo
l'allineamento morale e politico della Nazione italiana la fianco degli
Alleati, mantenere dei soldati italiani nello stato giuridico di prigionieri di
guerra dei nostri stessi alleati di fatto.
La
massa
Infine
il nostro pensiero deve rivolgersi a tutta la grande massa del popolo, colpito
da lutti, distruzioni sofferenze, senza fine, la cui vastità e profondità ha
superato ogni immaginazione. Pensiamo agli strati più umili, ai componenti più
ingenui e più ignari di Questo popolo, agli uomini smarriti e senza lavoro,
alle donne sole che si aggrappano disperatamente al focolare aspettando i loro
cari o nel ricordo di coloro che più non torneranno, ai giovani ed ai fanciulli
sui quali ricade il maggior peso della sofferenza collettiva. Pensiamo all'uomo
della strada, attonito di fronte al presente disorientato le sfiduciato di
fronte al futuro. In tale situazione lo squilibrio morale si aggiunge allo
squilibrio sociale ed economico e i problemi del Popolo, si riducono ai
problemi del sopravvivere, come si dice, o del vivere materiale giorno per
giorno.
Verso
questo popolo noi sentiamo: il più profondo e commosso interesse, ma sentiamo
anche pesante e tremenda la responsabilità politica che, noi, per il fatto
stesso di occuparci di politica ci siamo assunti proprio di fronte ad esso. Abbiamo
quindi voluto ricordare con particolare accento questa realtà dell'Italia che
combatte e dell'Italia che soffre perché la coscienza e l'interesse per tale
realtà costituiscono per noi, per il nostro movimento, uno dei punti essenziali
e caratteristici, che ci hanno portato a trarre certe conseguenze e a fissare
certe posizioni.
venerdì 22 gennaio 2016
mercoledì 20 gennaio 2016
La Sinistra Sociale Monarchica
I parte
E'
la prima volta, io credo, in otto anni, che si manifesta in seno al PNM una
corrente che non nasca soltanto in base a simpatie personali o per occasioni
contingenti, e la quale, se inizia a manifestarsi in occasione di un Congresso,
nasce da sentimenti e da convinzioni che precedono di assai la propria
manifestazione, ed intende durare nell'azione ben oltre l'occasione
congressuale. Cioè: non combinazione polemica o, al contrario, di comodo, noi
siamo, in seno al Congresso, Nazionale; ma uomini che ci siamo ritrovati,
insieme, perchè insieme convinti di una posizione politica che insieme crediamo
corrisponda all'interesse della Nazione, e quindi all'interesse del Partito ed
al suo dovere verso la Nazione
ad un tempo. Perciò su questa posizione impegniamo oggi il Congresso, e
naturalmente seguiteremo da domani ad impegnare il Partito nei termini e nei
modi che dall'esito congressuale ci saranno democraticamente indicati. Perciò
la mozione che presentiamo al Congresso non vuole essere episodio isolato, ma è
il primo episodio di una posizione che vuol essere, e che sarà, conseguente, e
di questa rappresenta il contenuto più urgente, cioè l'accentuazione di quei
problemi che guardando da questa posizione alla vita della Nazione e all'azione
del Partito - si rivelano come i più importanti ed urgenti. Ma questa nostra
posizione non si esaurisce nella mozione, anzi le presuppone un generale esame
di coscienza intorno al compito dei monarchici italiani nell'attuale ora di
crisi politica nazionale, e da questo esame di coscienza trae un giudizio
politico di carattere generale, del quale - si diceva - la mozione, con i
problemi che essa pone e con le soluzioni che indica, è soltanto la
manifestazione più urgente.
Per
questi motivi ci sembra atto essenziale di lealtà e di democrazia presentare la
mozione con una relazione la quale dica più ampiamente ciò che «Sinistra
Sociale» genericamente è e vuole essere, e renda esplicito, proponendolo a
tutti gli amici congressisti - ed anzi in loro e attraverso loro, a tutti i monarchici
italiani - questo esame di coscienza.
Esso
parte - per noi che vogliamo essere non soltanto i custodi di una Tradizione,
ma i suoi interpreti e continuatori nelle circostanze dell'epoca che è nostra -
da una domanda: quando e come (sopratutto come) la Monarchia di Casa Savoia
si trasformò da fatto dinastico regionale in fatto unitario nazionale? Tutto il
senso del Risorgimento, o almeno gran parte di esso, è per noi monarchici in
questa domanda ed il rispondere a questa non soltanto può chiarirci quel senso,
ma può indicarci la via per quella interpretazione ne che oggi ci occorre per
continuarla.
La
trasformazione di Casa Savoia di fatto dinastico regionale in fatto unitario
nazionale non avvenne nel 1848 con la elargizione dello Statuto da parte di Re
Carlo Alberto; con questo atto senza sminuirne con questa constatazione la
grandezza - siamo ancora nel dinastico e nel regionale, come vi siamo con gli
analoghi atti del Papa - Re a Roma, del Re Ferdinando a Napoli, del Granduca
Leopoldo in Toscana. Che questi, poi, abbiano ceduto alla pressione delle forze
anticostituzionali ed il Re di Sardegna no, anche perché in Piemonte assai meno
vive erano le forze opposte al moto costituzionalista e più vive le favorevoli,
non è discriminazione sufficiente per discriminare questi atti sovrani - tutti
- dal piano della convenienza dinastica ad adattarsi ai tempi nell'ambito degli
Stati regionali. Anche la prima guerra dell'indipendenza è su questo piano,
almeno in principio: sono le truppe del Papa-Re, del Re di Napoli, del Granduca
di Toscana che si affiancano a quelle del Re di Sardegna in Lombardia.
La
trasformazione del piano storico - la rivoluzione storica di Casa Savoia -
avviene in seguito con Novara e subito dopo Novara. E' il giovane Re - poi, e
giustamente, chiamato Padre della Patria che volge l'azione della Monarchia,
dei Savoia da fatto dinastico regionale in fatto unitario nazionale, con il rifiutare
l'abrogazione della Costituzione malgrado l'intimazione di Vignale, e con tutta
la politica del decennio di preparazione 1849-1859. Quella trasformazione
avvenne con questa politica: che, nel Rappresentante della Dinastia che solo
trent'anni prima era ritornato sul Trono con il «Palma Verde» - come se il 1789
e Napoleone non fossero mai stati - fu la politica con gli esuli, da Manin a
Crispi, la politica con Garibaldi, e sarebbe stata la politica con Mazzini, se
questi, oltre o più che filosofo, fosse stato uomo politico. La stessa scelta
del Cavour - del giovane nobile che aveva lasciato il servizio di paggio di
Corte per fare il giornalista, e aveva studiato quella che oggi si direbbe una
riforma agraria - entra in questa politica e la caratterizza. E', insomma, la
politica con i progressisti dell'epoca e con i rivoluzionari, purché gli uni e
gli altri la facessero sul piano della Nazione che è la politica dell'unità
nazionale concepita in sento sociale insieme, e prima, che, in senso
territoriale, ed è perciò che il fatto territoriale si trasforma da conquiste
dei Piemontesi in unificazione dell'Italia e degli Italiani. Quella politica è
- questo è essenziale - il rifiuto da parte del Re di far politica con le
«Classi
alte» del tempo, o di fare la loro
politica; è la scelta di fare la politica
dei rivoluzionari e con i rivoluzionari
pur sapendo quanto questi fossero psicologicamente invisi alle «classi alte» e
da queste socialmente scomunicati, e pur sapendo i rischi gravi che questa
scelta comportava e le amarezze non meno grandi che dovevano venirgliene. E'
questa politica di Vittorio Emanuele II che, nel decennio dal 1849 al 1859, fa
la rivoluzione italiana, costruisce il fondamento di tutto ciò che di felice
avvenne dopo: è essa che trasforma la Monarchia dei Savoia da fatto dinastico regionale
a fatto unitario nazionale.
Con
l'intelligenza politica e con lo spirito nazionale che lo distinguevano, lo
ricordò e la riprese il grande Nipote del Padre della Patria mezzo secolo dopo,
allorché, all'indomani del regicidio, di Monza, immediatamente sostituì la
classe politica dei Pelloux con quella degli Zanardelli e dei Giolitti. Anche
per il piccolo grande Re a questa politica seguì un approfondimento ed un
progresso dell'unità nazionale, che si manifestò nella guerra del 1915-18 che
vide nelle trincee, volontari, i Corridoni, i Mussolini, i De Felice, e tra i
ministri un Bissolati. Cioè: i socialisti. Ancora una volta i reprobi delle «classi
alte», dei «benpensanti», i loro scomunicati dal punto di vista sociale.
Per
chi voglia non soltanto custodire una Tradizione - come se fosse una vecchia
pergamena da riporre in una bacheca di cristallo - ma interpretarla e
continuarla, come realtà viva e vivificante, questa grande esperienza dei Re
che, in un secolo, si ripete due volte nella vita della Nazione deve pur avere
un significato e racchiudere un monito ed un insegnamento. Ma, prima di trarne
le conclusioni, si hanno da guardare le condizioni odierne del Paese, si ha da
guardare la sua gravissima crisi politica in atto.
sabato 16 gennaio 2016
Quelli che "il Re ha consegnato l'Italia al Fascismo"... La Monarchia e il Fascismo - Appendice 1
Elenco dei Deputati che nella seduta del 17 novembre 1922 votarono sulla fiducia al Governo di Mussolini.
SEDUTA DEL 17 NOVEMBRE 1922
Ordine del giorno Terzaghi
"La Camera, fiduciosa nelle sorti della Patria udite le dichiarazioni del Governo le approva, e passa all'ordine del giorno".
Il Governo ha posto la questione di fiducia.
Rispondono sì:
Abisso (d.s.), Acerbo (f.), Agnesi (p.p.), Albanese Giuseppe (d.s.), Albanese Luigi (L), Aldi-Mai (a. poi l.d.), Alice (d. poi l.d.), Amatucci (d.s. poi d.it.), Angelini (p.p.), Anile (p.p.), Arcangeli (d.s.), Arpinati (i.).
Baldassarre (m.), Banderali (p.p.), Banelli (f.), Baracco (p.p.), Bartolomei (d.s.), Bassino (d.l. poi d.it.), Baviera (m. poi d.it.), Belotti Bortolo (l.d. poi d.l.), Benedetti Tullio (d.l. poi d.), Beneduce Alberto (s.r.), Beneduce Giuseppe (d.s. poi d.), Benni (l.d.), Berardelli (s,r.), Bertone (p.p.), Bevione Giuseppe (d.l.), Bianchi Carlo (d.l. poi d.it.), Bianchi Vincenzo (d.s. poi d.), Biavaschi (p.p.), Bilucaglia (f.), Boggiano Pico (p.p.), Bonardi Carlo (d.s.) Boncompagnil Ludovisi (p.p. poi m.), Bonomi Ivanoe (s.r.), Bosco-Lucarelli (p.p.), Bresciani Carlo (p.p.), Brezzi Broccardi (d.l.) Brunelli (p.p.), Buo. nocore (d.l. poi d.it.), Buttafuochi (t.).
Caccianiga (l.d. poi d.l.), Calò (d.s. poi di.), Camera (s.r.), Camerata (a.), Camerini (di. poi I.d.), Capanni (f.), Capasso (s.r.), Capobianco (s.r.), Caporali (d.s. poi d.it.), Cappa Innocenzo (m.), Cappelleri (p.p.), Carapelle (p.p.), Carbonari (p.p.), Carboni Vincenzo (di. poi d.), Carnazza Carlo (d.s.), Carnazza Gabriello (d.s.), Carusi (m.), Casalicchio (a.), Casaretto (l.d.), Casertano (d.s.), Càsoli (p.p.), Catalani (a.), Cavazzoni (p.p.), Celesia (f. poi I.d.), Celli (s.r.), Cerabona (s.r.), Cermenati (d.s. poi d.), Chiggiato (a.), Chiostri (f.), Ciano (f.), Ciappi (d.l. poi d.it.), Cicogna (p.p.), Cingolani Mario (p.p.), Ciocchi (d.l.), Ciriani (s.r.), Cirincione (a.), Cocuzza (s.r.), Codacci-Pisanelli (l.d.), Colonna di Cesarò (d.s.), Colosimo (d.l. poi d.), Compagna (a. poi I.d.), Corazzin (p.p.), Corgini (f.), Coris (p.p.), Corradini Camillo (d.l. poi d.), Crisafulli Mondio (a.), Cucca (d.s. poi d.), Cuomo (d.l. poi d.it.).
D'Alessio (d.s.) D'Ayala (n.), De Bellis (d.l. poi d.), De Capitani d'Arzago (l.d.), De Caro (d.s. poi d.it.), De Filippis Delfico (d.l. poi d.), De Gasperi (p.p.), D'Elia (s.r.), Dello Sbarba (s.r.), De Nava (d.l.), De Stefani (f.), De Vecchi (f.), Di Fausto (p.p.), Di Francia (a.), Di Giovanni Edoardo (s.r.), Di Marzo (d.l. poi d.it.), Di Pietra (d.s. poi d.it.), Di Salvo (l.d.), Donegani Guido (di.), Drago (s.r.), Ducos (di. poi I.d.), Dudan (L).
Falcioni (d.l. poi d.it.), Fantoni (p.p.), Farina (p.p.), Farioli (p.p.), Faudella (s.r.), Fazio (d.l. poi d.), Ferrarese (p.p.), Ferrari Giovanni (a.), Fazzari (d.l. poi d.), Federzoni (n.), Fera (d.s.), Ferri Leopoldo (p.p.), Fino (p.p.), Finocchiaro-Aprile Andrea ( ' d.l. poi d.it.), Finocchiaro-Aprile Emanuele (d.s.), Fìnzi (f.l. Fontana (a. poi I.d.), Franceschi (Ld.), Frova (p.p.), Fulci (d.s.), Fumarola (d.s.), Furgiuele (d.l. poi d.).
Gai Silvio (0, Galla (p.p.), Gasparotto (d.s.), Gavazzeni (p.p.), Giavazzi (p.p.), Giolitti (d.l. poi d.), Girardini (d.s.), Giuffrida (d.s. poi s.r.), Giunta (f.), Giuriati (f.), Grassi di.), Gray Ezio (n.), Graziano (d.l. poi d.it.), Greco (n.), Gronchi (p.p.), Guaccero (a.), Guarienti (p.p,), Guarino Amella (d.s.), Guglielmi (a. poi m.).
Imberti (p.p.), Imperati (m.), Improta (d.l. poi d.).
Jacìni (p.p.).
La Loggia (s.r.), Lancellotti (f.), Lanfranconi (f.), Lanza di Scalea (a.), Lanza di Trabia (l.d.) La Rosa Luigi (p.p.), Larussa (di.), Lissia (d.s. poi M.), Locatelli (p.p.), Lombardi Nicola (s.r.), Lo Monte ( ' a. poi I.d.), Longinotti (p.p.), Lo Piano (s.r.), Lucangeli (p.p.), Luiggi (n.).
Mancini Augusto (d.s.), Manenti (p.p.), Mantovani (a.), Marchi Giovanni (l.d.), Marconcini (p.p.), Marescalchi (a. poi
I.d.), Mariotti (a. poi I.d.), Martini (p.p.), Masciantonio (di. poi d.), Mattei-Gentili (p.p.), Mattoli (d.l. poi d.), Mauro Francesco (p.p.), Maury (a. poi I.d.), Mazzar ella d.s. poi d.it.), Mazzini (l.d.), Mazzucco (f.), Meda (p.p.), Mendaja (di. poi d.it.), Merlin (p.p.), Miceli-Picardi (p.p.), Micheli (p.p.), Milani Fulvio (p.p.), Miliani G.B. (di.), Mininni (d.l. poi d.it.), Misuri (f.), Morisani (d.l. poi d.), Murgia (di. poi d.), Mus solini (f.).
Nasi (d.s.), Negretti Netti Aldo (d.c,.), Novasio (p.p.).
Olivetti (d.l.), Ollandini (d.s.), Orano (m.), Orlando (d.l. poi d.), Ostinelli (f.), Oviglio (f.).
Padulli (p.p.), Paleari (p.p.), Pallastrelli (d.l. poi d.), Palma (d.l. poi d.it.), Pancano (d o.), Paolucci (n.), Paratore (d.l. poi d.it.), Pascale (d.s. poi d.it.), Pasqualino Vassallo (d.s.), Pecoraro (p.p.), Pellegrino (d.l. poi d.), Persico (d.s.), Pestalozza (p.p. poi m.), Petrillo (l.d.), Peverini (p.p.), Pezzullo (d.l. poi dit.), Philipson (d.l. poi I.d.), Piatti (di. poi f.), Pietravalle (d.s.), Piscitelli (p.p.), Piva (p.p.), Pivano (di. poi d.), Pogatschnig (l.d.), Poggi (d.l. poi d.), Porzio (di.. poi d.), Presutti (d.s. poi d.it.), Pucci (a.).
Quilico (a. poi dl.).
Raineri (di.), Renda (d.l. poi d.), Riccio (l.d.), Roberti (p.p.), Rocco Alfredo (n.), Rocco Marco (p.p.), Romani (p.p.), Rosa Italo (p.p.), Rosadi (di. poi d.), Rossi Cesare (di. poi d.), Rossi Luigi (di. poi d.), Rossini (d.s. poi d.I.), Rubilli (d.s. poi d.), Ruschi (a. poi I.d.).
Sacchi (d.s.), Saitta (s.r.), Salandra (l.d.), Sandroni (m.), Sanna-Randaccio (d.s.), Sardi (f.), Sarrocchi (l.d.), Scialabba (d.s.), Selmi (p.p.), Serra (d.s.), Signorini (p.p.), Sipari (d.s. poi d.), Sitta (di. poi d.), Soleri (d.l. poi d.), Sorge (ds.), Spada (a. poi d.it.), Speranza (p.p.), Squitti (di. poi d.it.), Stancanelli (d.s.), Stefini (p.p.), Stella (p.p.), Suvich (n.).
Tamanini (p.p.), Tamborino (d.l. poi d.), Tangorra (p.p.), Termini Terzaghi (f.), Tinozzi (d.I. poi d.ìt.), Tofani (d.s. poi d.l.), Tommasi (p.p. poi m.) Torre Andrea (d.l.), Tortorici (s.r.), Toscano (s.r.) Tosti di Valminuta l.d.), Tovini (p.p. poi m.), Tripepi Troilo (d.l. poi d.), Tumiati (d.s.), Tupini (p.p.).
Ungaro (d.s. poi d.l.).
Vairo (d.s. poi d.it.), Valentini Luciano (a. poi I.d.), VallIone (m.), Vassallo Ernesto Veneziale (d.s. poi d.it.), Venino (a. poi I.d.), Vicini (f.), Villabruna (d.l. poi d.), Visco (d.l. poi d.it.), Visocchi (d.l. poi d.it.), Vittoria (d.s.), Volppini (a.).
Zaccone (p.p.), Zegretti (d.l. poi d.).
s = socialista; s.u. = socialista unitario; r = repubblicano; p.p. = partito popolare s.r. socialista riformista; d = democrazia; a = agrario; I.d. liberale democratico c = comunista; n.= nazionalista; d.l. democrazia liberale; d.i. = democratico italiano; m. = gruppo misto; d.s. = democrazia so. ciale; s. d'a. = sardo d'azione.
venerdì 15 gennaio 2016
Felipe, il Re illuminato che riconquista la Spagna
Ha rifiutato l'incontro con il presidente catalano e ha tolto il titolo alla sorella
Pochi avrebbero scommesso su di lui. All'inizio neppure la moglie prima di sposarlo. «Felipito», lo chiamava.
Pochi avrebbero scommesso su di lui. All'inizio neppure la moglie prima di sposarlo. «Felipito», lo chiamava.
Non sono poche le trappole che si sono presentate finora al monarca. I separatisti ad esempio, altra spina nel fianco di un Paese insofferente e in cerca di stabilità. Già nel suo discorso di insediamento aveva parlato chiaramente: la Spagna unita. Nessuno spazio a compromessi. Lo ha dimostrato recentemente, pochi giorni fa, quando ha detto no alla presidente del Parlamento catalano, l'indipendentista Carme Forcadell che aveva chiesto un appuntamento con il sovrano per prendere atto del nome del nuovo presidente della regione spagnola. La casa reale ha inviato un messaggio alla Camera catalana invitando a comunicare «per iscritto» anziché personalmente l'investitura del presidente eletto, il secessionista Carles Puigdemont. Forcadell si è dovuta quindi accontentare di inviare un'e mail. Misura forte che è piaciuta alla pancia del Paese che invoca un uomo forte; chiaro in tempi di grigi politici, dove le elezioni hanno annacquato quarant'anni di bipartitismo. Felipe ha aspettato tanto, ha studiato, è volato in America, nelle migliori scuole, ha osservato gli errori del padre e oggi sta attento a evitarli, si tiene stretta la moglie che da principessa minacciava di andarsene ma che oggi da regina ha smesso di fare i capricci, lavora sodo, prende le distanze dalle situazioni imbarazzanti, anche quelle che girano in famiglia. Ha puntato molto sul suo ruolo, ci crede e si vede. La Spagna sta riscoprendo la Corona e rispetta il suo re.
Il miracolo di Felipe, resuscitare il nome dei Borbone dagli anni più bui. Il 2014 era stato l'anno peggiore: il Paese stretto dalla morsa della crisi, oltre 5 milioni di disoccupati, molti giovani, nessun futuro, poche speranze, la bolla immobiliare che aveva sfilato via anche la casa a una classe media già al limite, l'Unione europea che chiedeva rigore e tasse, i rubinetti dei sussidi a pioggia ormai chiusi, la politica che arrancava e non trovava soluzioni. Corruzione e foto vergognose di Juan Carlos durante il suo costosissimo safari, l'ennesima amante che spuntava avevano reso la monarchia debole e traballante. L'abdicazione di Juan Carlos era arrivata quando non era più possibile far finta di niente. Il peso sulle spalle di Felipe. Il giovane re che nessuno conosceva, su cui nessuno avrebbe puntato ha conquistato il suo popolo.
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