NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

lunedì 15 agosto 2022

Capitolo XVI :La maestra Silvana.

 


Di Emilio Del Bel Belluz 

Da quando la maestra era arrivata in famiglia tutto era cambiato. I bambini erano sempre attenti alle sue lezioni  e la casa sembrava trasformata in una classe. L’ultimo nato di sicuro sarebbe stato agevolato nell’apprendimento, sentendo fin da piccolo i suoi fratelli leggere e ripetere a voce alta le favole ascoltate. La maestra aveva abbracciato con molta felicità questa nuova sistemazione. Appena arrivata in paese sentiva la nostalgia della sua famiglia e non era stato facile per lei trovare delle amicizie, ma fortunatamente aveva conosciuto , dapprima, Genoveffa che l’aveva ospitata nella sua casa ed ora era con noi. La sua passione erano i libri, e nella mia casa ne aveva portati alcuni che spesso leggevo, magari con stanchezza, ma mi rendevo conto di quanta serenità potevano darmi. La maestra Silvana riceveva, inoltre,  dei libri che le venivano inviati dalla sua vecchia insegnante delle elementari che non l’aveva mai scordata. La vecchia maestra voleva che fosse lei ad occuparsi del suo ultimo periodo esistenziale, ma questo non era possibile, a causa della distanza che le separavano. Silvana amava  starsene seduta fuori all’ombra di una vecchia quercia  a leggere un libro, ogni tanto lo sguardo si indirizzava verso il fiume per osservare dei barconi riempiti di merci  che solcavano il fiume ed erano trainati da dei cavalli. Interrompeva la sua lettura per salutare le persone che erano a bordo. La quiete di quel posto era davvero contagiosa, infatti, Silvana emanava una grande serenità a coloro che la attorniavano. La maestra spesso sostava lungo la sponda del fiume, in attesa del mio arrivo dalla pesca. Aveva la curiosità tipica dei bambini per quello che era contenuto nella rete e che mi apprestavo a vendere ai miei clienti abituali. Il mondo della pesca non l’aveva mai vissuto prima d’adesso.  Lo aveva conosciuto in parte attraverso i libri del Verga, dove si narrava le storie dei pescatori, di questa umile gente che non si arrendeva al destino avverso. Nella chiacchierate davanti al caminetto ci aveva  raccontato che da bambina suo padre ogni tanto la portava a vedere il fiume, di cui ricordava ancora il suo profumo. Ci parlava anche  degli indiani che vivevano lungo i piccoli corsi d’acqua e  che pescavano per sfamarsi. Aveva sempre amato gli indiani che vivevano pacificamente e che rispettavano la natura; raccoglievano da essa solo lo stretto necessario per vivere senza turbare il suo equilibrio che durava da secoli. Poi dovettero abbandonare le loro capanne, perché l’invasore uomo bianco aveva deciso di farli  spostare e rinchiuderli nelle riserve, dove morivano di stenti e di malinconia Un popolo che aveva una sua storia, e delle sue tradizioni. La loro vita era scandita dall’avvicendarsi delle stagioni. Le loro donne  facevano i lavori più umili, ed erano felici di portare il loro contributo nell’ approvvigionamento del cibo e del vestiario. Le ragazze indiane avevano una bellezza particolare ed i loro capelli erano raccolti in lunghe trecce. Anche loro partecipavano alla pesca, l’abbondanza di pesce era tale che lo si poteva catturare anche con le mani.  Le donne indiane pulivano il pesce nel ruscello e in questo modo nulla andava perduto. I bambini imparavano a cacciare e a pescare. Gli uomini insegnavano loro a diventare dei guerrieri. Quel mondo non esisteva più, era passato  l’uomo bianco che si era impossessato di ogni cosa. Le foreste erano state abbattute per lasciare il posto alla ferrovia, i nuovi coloni avevano tolto loro le terre su cui cacciavano i bisonti: importante forma di sostentamento. La maestra aveva mostrato una sera un libro colorato, che conteneva dei disegni sugli  indiani, le loro belle facce dipinte e le donne con i bambini. Nel libro si raccontava di quanti indiani erano stati  uccisi dall’avanzare spietato dell’ uomo bianco.  Vi era stato uno scrittore naturalista che aveva vissuto per anni cercando gli ultimi indiani rimasti. Aveva saputo di una piccola tribù che si era spostata a vivere nella foresta. Una trentina di indiani che aveva deciso di vivere in modo libero e questo scrittore riuscì a farsi raccontare la loro storia. Questa gente voleva morire in modo libero, e per questo aveva cercato la fuga nei luoghi più solitari. Dovevano spostarsi frequentemente alla ricerca di posti dove potessero cacciare, pescare e nascondersi dall’uomo bianco per non finire nelle sue mani. Lo scrittore che li aveva trovati annotava su dei foglietti di un quaderno tutto quello che apprendeva, ivi,  li ritraeva a matita mentre svolgevano le loro attività per riuscire a mantenersi. Con il passare dei giorni si era affezionato a loro fino a decidere di viverci assieme. Un donna indiana, che era stata la moglie di un guerriero ucciso dai bianchi, divenne sua moglie. L’uomo con gli indiani rimase per anni, non gli mancava proprio nulla, non temeva nulla e si era legato a tal punto che vestiva i loro abiti. La donna che era diventata sua, lo amava tanto. L’uomo andava a caccia e spesso veniva deriso perché non era abile e doveva ancora imparare i trucchi usati da quel popolo. Quella zona era particolarmente selvaggia che sembrava che nessuno l’avesse mai scoperta prima. Gli anni passarono e la sua felicità aumentava, non aveva nessuna nostalgia per il suo passato, le vita di un tempo era solo un ricordo assai lontano. Nel suo taccuino continuava a scrivere la vita di questo popolo, non mancando di fare dei disegni. Lo scrivere era quotidiano, annotava quello che accadeva con scrupolo. L’unica cosa di cui non si era dimenticato era l’amore per Dio. Alla sera pregava e cercava di convincere gli altri alla fede cattolica, parlava loro di Gesù, specialmente  ai bambini che lo seguivano ovunque.  Alla sera davanti al fuoco stava sempre vicino alla sua donna, che essendo più giovane di lui era ancora più bella.  La fiamma che proveniva dal fuoco ne illuminava il volto,  e una mattina venne a sapere che attendeva un figlio. Quella notizia accrebbe ancora di più la sua voglia di vivere  e di resistere alle difficoltà che incontrava, anche se il vivere era molto appagante. L’idea di diventare padre lo rendeva molto felice, e sognava il momento in cui tutto questo si sarebbe realizzato.  Finalmente venne alla luce un bel maschietto che fece udire la sua voce al fiume che scorreva vicino. I suoi amici indiani  lo festeggiarono. Sentiva crescere sempre più dentro di sé l’amore per la sua donna e per quel bambino che entrambi avrebbero cambiato il suo futuro. Infatti, alla mattina si alzava sempre felice e anche se non osava svegliare la sua donna, si soffermava ad osservarla mentre riposava accanto al piccolo.   La sua vita passata non esisteva più, ora si sentiva davvero un indiano, uno che sapeva cosa fosse quello spirito che li univa. Venero degli inverni molto rigidi, non era facile sopravvivere al freddo e alla fame, perché la cacciagione scarseggiava, ma seppe andare avanti. Intanto il bambino cresceva.  Alla sera nel suo quaderno annotava quanto accadeva durante il giorno e vi univa una infinità di disegni. Gli uomini della tribù se li facevano mostrare e sorridevano. Ormai lo rispettavano come se fosse sempre stato uno di loro. Il destino di quella piccola tribù di indiani fu minata dalle malattie e dall’impossibilità di curarsi. Alla fine uno ad uno si ammalarono e morirono: l’unico che si salvò fu lui che li seppellì. Quando gli morì la donna che amava gli sembrava di impazzire, poi venne la volta del figlioletto che depose accanto a lei. Alla fine rimase solo lui,  passò ancora qualche anno, vivendo di stenti e del poco cibo che si procurava. La morte, alla fine, lo raggiunse, e  volle morire proprio sulla tomba della moglie e del figlioletto. Aveva costruito una croce su cui aveva inciso i loro nomi. Fino all’ultimo giorno aveva continuato a scrivere in quel quaderno che contava centinaia di pagine, scritto in modo fitto per risparmiare la carta. Passarono anni e un giorno arrivò in quel posto un cacciatore di pellicce che vide i poveri resti di quell’ uomo e trovò quel quaderno che portò ad un giornale che provvide a pubblicarlo a puntate, mentre i disegni furono raccolti in un libro. Fu così che molti vennero a conoscenza della sua vicenda umana condivisa con quel popolo da lui tanto amato .

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