NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 12 marzo 2022

La Monarchia dal 22 a domani - VI parte

 


Ma se il gesto d'audacia non fa osato, il perdurare dell'ostinato contrasto fra il Re e Mussolini fece sì che il Fascismo non abbia mai potuto soverchiare la Monarchia, malgrado Mussolini ne sentisse il più, vivo desiderio e non lo nascondesse.

Registra il Memoriale di Ciarla 10-V-39 «Per liquidarlo (il Re) basta un Manifesto e un giorno lo farò» - 14-V-40 «Il Duce ha detto chiaramente che a guerra vinta intende sbarazzarsi di una Monarchia che non ama e della quale non riesce più a sopportare il peso » - 25-V-40 « Il Duce attacca la Monarchia e dice: Invidio Hitler che non si deve trascinare a rimorchio dei vagoni vuoti»; e il 6-VI « Alla fine della guerra dirò a Hitler di far fuori tutti questi assurdi anacronismi che sono le monarchie »;

E non è neppure il caso di gettare del tutto fra le favole quanto si narra, che Mussolini chiacchierando con un Ufficiale di marina sulla nave che lo conduceva prigioniero alla Maddalena; gli avesse detto che l'auspicata pace dell'Europa egli l'aveva intravveduta nel trinomio Stalin, Hitler e lui, con un'organizzazione sociale su basi differenti dalle presenti.

E questo ventennale dissidio, se pure non riuscì ad evitare la guerra, ottenne però di ritardarne l'inizio di un anno e di anticiparne poi di due la fine. Disse Hitler nel suo discorso del 10 settembre '43 “le stesse forze che hanno provocato la capitolazione, riuscirono nell’agosto 39 ad impedire che l'Italia partecipasse alla guerra»: e nell'altro suo discorso del 9-X I-43 - precisa che «per l’atteggiamento del suo re era costretta a mantenere uno stato di non belligeranza»

E non fu forse lo Monarchia, la che salvò nel 1943 l’Italia dal fare la fine        che fece la Germania nel 1945? Solo l’avere avuto il Capo dello Stato indipendente dal Governo fece sì che quando si manifestò sicura la sconfitta poté sganciarsi darla Germania e unendosi agli Alleati salvare il salvabile; con un «Presidente della Repubblica legato, per forza di cose ai partiti al governo, la rovina sarebbe stata completa, come lo fu per la Germania. Questa è la più efficace delle prove perché sorge dai fatti: questa la forza della Monarchia.

Il Sovrano è estraneo; anzi superiore ai partiti, mentre il Presidente della Repubblica, scelto nei ranghi di uno di essi, per quanto portato all'alto posto o da un accordo fra di loro o quanto meno dalla supremazia di alcuni di essi, accettato o sopportato dagli altri, non può a meno di sentire l'influenza, pur involontaria, del partito cui appartiene. E allora sarà pur sempre un partito a prevalere. Che se Presidente abdicasse completamente alla sua personale concezione politica, finirebbe per essere nulla più che un intermediario delle varie tendenze, decadrebbe perciò al rango di un, simbolo formale, senza efficienza, senza forza, giacché la sua autorità personale gli viene esclusivamente dai poteri politici contingenti, che l'hanno nominato. Mentre l'autorità di un Sovrano è innata in Lui; è una forza che ha in sé, che non si poggia a poteri transeunti e che dà perciò garanzie sicure per l'avvenire.

È una forza che conserva ancora, malgrado i tempi mutati, una reminiscenza della «Grazia, di Dio», anche se ormai la sovranità dinastica debba poggiare indiscutibilmente sulla sovranità popolare.

Ed è appunto in virtù di questa «Grazia di Dio», da cui le Monarchie sono illuminate, che esse sono strettamente, indissolubilmente legate alla Religione; quella religione cattolica che, senza intaccare minimamente la libertà religiosa di altri culti, lo Statuto Albertino pose a capo della Carta Costituzionale, quasi fondamento dello Stato stesso.

Gli indistruttibili principi cristiani, che nei riguardi civili si imperniano sulla famiglia, sull'educazione ed istruzione dei figli, sulla proprietà privata, sorta dal lavoro proprio o degli avi, garantita ai possessori, sono le basi su cui lo Stato deve fare presa per poter a sua volta garantire alla popolazione quella «dignità della persona umana, (1) che solo può dare vita operosa e tranquilla, aspirazione delle popolazioni. L'attuazione, anzi la valorizzazione di questi principi cristiani, la Monarchia nostra ha sempre garantito e sempre garantirà — ne dobbiamo aver sicura fede — qualunque siano gli eventi e le direttive contingenti di Governo, che un regime democratico abbia a portare alla direzione della cosa pubblica, mentre la Repubblica, in balia dei partiti è sempre esposta ad eccessi, per cui questi valori abbiano, se non ad essere soppressi, certo ad allentarsi e correre imminenti pericoli, con evidente danno del Paese.

Nella realtà delle cose, nella pratica di governo quale differenza tra Monarchia e Repubblica, in una Monarchia ossequiente alle direttive parlamentari, in cui si concreta il regime democratico? Nessuna, assolutamente nessuna; col grande vantaggio però per la Monarchia che queste direttive saranno imparzialmente seguite e fatte valere essendo il Sovrano al di sopra dei partiti.

Scrive Malacoda (2): «La Monarchia ereditario più che la Repubblica, è in misura di moderare gli estremismi delle forze politiche e, a differenza della Repubblica, rimanendo di fatto, malgrado ogni vincolo imposto e ogni accettazione apparente, distinta da quelle, funziona da valvola di sicurezza e conserva in sé un supremo potere di intervento in situazioni estreme che sarebbero altrimenti senza uscita».

E ancora Camillo Lanciani (3): «E allora la Monarchia, che con la successione ereditaria al trono è strettamente legata alla continuità del benessere del popolo, vivendo fuori delle lotte di classe e di partito costituisce, secondo me, una garanzia di obiettività e di normalizzazione della vita politico-sociale, direi quasi un correttivo delle passioni degli uomini preposti alla direzione di un popolo».

E a conclusione di quanto sopra mi sia concesso di riportare ancora quanto scrisse a questo riguardo quell'altissimo ingegno che fu Ruggero Bonghi (4) : «Ciò che a parer mio è soprattutto a' giorni nostri la forza delle dinastie, nei paesi in cui non sono distrutte, è questa: che in esse il Paese che reggono sente una continuità di vita. Non sono nate oggi, non muoiono domani. La Nazione vi si eterna in una persona sempre viva, vi ricorda il panato e vi presenta il suo avvenire. S'aggiunge che niente dimostra che lo scomparire d'una monarchia di dove era da secoli, renda più felice lo Stato e più; sicuro; che si contemperi meglio gli elementi di cui si compone. E niente neanche prova o dimostra che la   Monarchia, dove è rimasta, ostacoli nessun progresso o nessuna libertà utile»

(1)    Messaggio per il Natale 1.942 del Pontefice Pio XII.

(2) S. Malacoda, op. cit. pag. 98.

(3) Camino Lanciani: Vittorio Emanuele III fu complice del fascismo? Avvenire d'Italia - Roma 1945.

(4) Ruggero Bonghi: l'Ufficio del Principe in uno Stato Libero; pubblicato nella Nuova Antologia del 15 gennaio 1893.

               

 

 

 

 

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