NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

domenica 29 agosto 2021

Viva la memoria. A Fossano il monumento al fondatore dei Granatieri di Sardegna.

Statua di Re Carlo Emanuele II a Novara


di Aldo A. Mola

 

Un monumento a Carlo Emanuele II

Miracolo dell'Italia civile. Mentre molti abbattono monumenti, cancellano nomi di piazze e di vie (come a Napoli quella intitolata a Vittorio Emanuele III) e oscurano il passato con polemiche strumentali, a Fossano viene scoperto il monumento a un Duca di Savoia di metà Seicento. Non è il più famoso della sua Casata, quasi offuscato tra il nonno, Carlo Emanuele I, e il nipote, Vittorio Amedeo II. Il primo dei due, al potere dal 1580 al 1630, nel 1587 annesse il marchesato di Saluzzo e col trattato di Lione se lo fece riconoscere da Enrico IV di Francia. A quel modo chiuse una delle porte alpine solitamente usate dai Francesi, ai quali rimase aperta la Castellata, in alta Valle Varaita, raggiungibile in forze solo poche settimane d'estate. Vittorio Amedeo II visse a sua volta con l'arma al piede per difendere lo Stato dal minace vicino d'Oltralpe. Luigi XIV ripetutamente lanciò al di qua delle Alpi le sue armate, vittoriose a Staffarda nel 1690. I marescialli del Re Sole, come Catinat, fecero “terra bruciata”. Tornarono in Piemonte nel corso della guerra per la successione sul trono di Spagna, quando Torino stessa fu a lungo assediata e infine liberata dalle forze congiunte del duca e di suo cugino, Eugenio di Savoia: una vittoria che gli fruttò la corona di Sicilia (lo ricorda una lapide murata all'interno dell'Abbazia di Staffarda), successivamente commutata con quella di Sardegna.

 

Vicissitudini di un Duca di Savoia  

Carlo Emanuele II (20 giugno 1634-12 giugno 1775), come si è detto, non fu il più fortunato dei duchi sabaudi. Orfano del padre, Vittorio Amedeo I, a soli quattro anni, crebbe sotto l'occhiuta reggenza della madre, Cristina di Borbone, sorella del re di Francia Luigi XIII, entrata nella storia come Madama Reale, pronta sempre a interferire nella vita del figlio, in tempi nei quali per un principe non esisteva separazione tra vita pubblica e privata e i matrimoni erano questione di relazioni tra le due Case perennemente in lotta per l'egemonia sull'Europa di terraferma: gli Asburgo (d'Austria e di Spagna) e i Borbone di Francia.

Carlo Emanuele II non ebbe molte opzioni. Sposata a otto anni Francesca d'Orléans, con la pace dei Pirenei (1659) recuperò Vercelli ma “obtorto collo” dovette lasciare ai francesi Pinerolo, a un'ora di cavallo dalla capitale. Suoi obiettivi furono l'accentramento del potere nelle proprie mani con un graduale rinnovamento dei principali consiglieri, la rivendicazione di titoli “di pretensione” ormai quasi solo nominali (anzitutto le corone di Cipro e Gerusalemme), l'ingrandimento dello Stato in Liguria. Mete invano agognate furono Savona e Genova, ove tentò la sorte con il sostegno del patrizio genovese Raffaele Della Torre, ma fallì l'obiettivo e temporaneamente perse anche l'enclave di Oneglia.

Alla scelta mercantilistica e alla speciale benevolenza nei confronti degli ebrei di Nizza, raggiunti da correligionari dalle Fiandre e dal Portogallo, il duca unì accorti passi negli accordi commerciali con Lisbona (per accedere al Brasile) e con Londra (trattato di Firenze, 1669).

Vedovo dal 1665 e sposata la cugina Maria Giovanna Battista di Nemours, sin da giovane amatissima, ne venne assecondato in tutte le principali azioni, compreso l'abbellimento di Torino (furono gli anni di Guarini e di Castellamonte, geniale artefice di fortificazioni militari), e incoraggiato a valersi di “borghesi” di grandi capacità amministrative (fu il caso di Giambattista Truchi), “una sorta di Colbert piemontese”, annota lo storico Valerio Castronovo, che però ne conclude il profilo biografico con molte riserve sul mancato ingrandimento dello Stato e il perdurante “vassallaggio” verso la Francia.

Nondimeno, va evidenziato, nei dodici anni di esercizio effettivo del potere ducale (dal 1663 alla morte, quando aveva appena 41 anni) Carlo Emanuele II gettò le basi dell'esercito permanente di pace, come riconosciuto da storici quali Claretta, Carutti e dalla Storia della monarchia piemontese di Ercole Ricotti, punto di riferimento del più autorevole storico dell'Esercito italiano, il generale di CdA Oreste Bovio.

 

L'istituzione dei Granatieri: un corpo di élite...

Tra le istituzioni militari ideate da Carlo Emanuele II e destinate a durare nei secoli spicca il Reggimento di Guardia (o delle Guardie), costituito il 18 aprile 1659, il primo e più antico della fanteria di ordinanza, incaricato di montare la guardia al palazzo del principe in un'età ancora segnata da attentati alla vita dei sovrani, da “fronde” di varia germinazione e gestazione (anche su pulsioni religiose: il duca brillò per la devozione nei confronti della confessione cattolica, sublimata con l'edificazione della Cappella della Santa Sindone) e mentre in Inghilterra ancora era in corso l' “esperimento” di Cromwell, “lord protettore”.

La sicurezza del sovrano doveva fondare su basi rupestri. Furono quelle assicurate appunto dalla Guardia che nel 1685 con Vittorio Amedeo II vide crescere al proprio interno la specialità dei lanciatori di granate, i Granatieri. Era un corpo di élite, formato da uomini dotati di speciali qualità atletiche: statura elevata, forza muscolare, agilità sul campo.

Dalla fondazione esso fu tutt'uno con secoli di storia del regno di Sardegna e di quello d'Italia. I Granatieri legarono la loro fama alla guerra difensiva contro la Francia, tra il 1792 e il 1797. Quando Carlo Emanuele IV, lasciati gli Stati di Terraferma, si rifugiò in Sardegna, ove la Casa svolse una politica indipendente, l'unico reparto sfuggito allo scioglimento imposto dai francesi fu il Reggimento cacciatori Guardie, che poi prese nome da quello costituito nel 1744 da Bernardino Antonio Genovese, duca di San Pietro (“Reggimento di Sardegna”). Divenuto Reggimento Guardie, esso fu comandato personalmente da Vittorio Emanuele I, il Restauratore.

 

...nella Grande Guerra, a Fiume e oltre.

I Granatieri di Sardegna, come per semplicità qui li denominiamo e ricordiamo, si batterono nelle guerre per l'indipendenza, dal 1848-49 alla Grande Guerra: in quest’ultima, con una brigata di due reggimenti, essi lamentarono ben 12.202 vittime tra morti e dispersi e 14.110 feriti.

Successivamente, sette Granatieri del primo Reggimento, costretto a lasciare Fiume alla vigilia del trattato di pace italo-austriaco del 10 settembre 1920, giurarono “sulla memoria di tutti i morti per l'unità d'Italia: Fiume o morte! E manterremo, perché i granatieri hanno una fede sola e una parola sola. L'Italia non è compiuta. In un ultimo sforzo la compiremo”. Il loro appello a Gabriele d'Annunzio, sorretto anche da trame di cui furono protagonisti i fiumani Antonio Vio e Attilio Prodam, assecondati dal torinese Giacomo Treves, con il sostegno di Domizio Torrigiani e di Raoul Palermi, fu accolto. Il Vate di sicuro non agì all'insaputa del sovrano. Questo è però un aspetto della complessa vicenda fiumana  tuttora poco esplorato, ma illuminato dal conferimento a d'Annunzio del titolo di Principe di Monte Nevoso: fatto eccezionale, trattandosi dell’unico rango principesco concesso in 46 anni di regno da Vittorio Emanuele, che creò invece Paolo Thaon di Revel e Armando Diaz rispettivamente duchi del Mare e della Vittoria.

I Granatieri si coprirono di gloria nei conflitti successivi, dall'Etiopia alla seconda guerra mondiale e nella eroica difesa di Roma contro i tedeschi nel settembre 1943, da porta San Paolo al Campidoglio, preludio della lotta di liberazione che ebbe protagonista Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo.

Ricostituito a Roma il 1° aprile 1948 come Divisione di fanteria Granatieri di Sardegna, il corpo ha poi avuto l'evoluzione in Brigata meccanizzata e ha partecipato a missioni di pace (Somalia, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Libano...) e all'operazione  “strade sicure”, con interpretazione ampliata del ruolo originario di Guardia: chi garantisce il Capo dello Stato fa altrettanto per quanti rappresentano gli Stati esteri presso di lui.

L'omaggio di Fossano al fondatore dei Granatieri

Vi è quindi motivo perché i Granatieri di Sardegna siano sentiti quale parte integrante della storia secolare che unisce il ducato di Savoia all'Italia odierna e perché i Granatieri stessi ricordino il loro fondatore. Lo fanno domenica 29 agosto 2021 con iniziativa congiunta: lo scoprimento del monumento del loro fondatore, Carlo Emanuele II, a Fossano (Cuneo), presso il Castello prodigiosamente edificato in soli otto anni su ordine del principe Filippo d'Acaja.

Comune dal 1236, città dal 1566 per decreto di Emanuele Filiberto, diocesi dal 1592 (la quarta della Granda, dopo Alba, Mondovì e Saluzzo e secoli prima di quella di Cuneo, con la quale è in corso la “fusione”), Fossano ha una lunga e gloriosa storia politico-militare, civile ed ecclesiastica. Da metà Ottocento ne furono protagonisti Giovanni Battista Michelini, da un canto, e il vescovo integralista Emiliano Manacorda, Alessandro Michelini, il barone Giacomo Tholosan, Salvatore Sacerdote, i deputati Felice Merlo (primo presidente della Camera Subalpina), il generale Ignazio Pettinengo Genova, il geniale Giovanni Battista Borelli, il conte Falletti di Vllafalletto...

Principale snodo ferroviario tra Piemonte e Liguria verso Savona, Fossano fu una “piazza grande”, contesa e ambìta. Ora accanto al Castello il monumento di Carlo Emanuele II insegna che l'Italia ce l'ha fatta e ce la può fare, all'insegna del senso civico, dell'onore e di valori appresi dai suoi cittadini che si batterono per l'indipendenza, l'unità e la libertà della Patria. I Granatieri aprivano la strada...: esercitarono un Magistero che l'Italia odierna, proprio perché europea, sente l'attualità.

 


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