NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

giovedì 8 agosto 2019

Ferrovie in Italia pre e post 1861: una parola definitiva



Nel 1861 alla nascita del Regno d’Italia la situazione delle linee ferroviarie in esercizio era di km.2.189 comprese le regioni che sarebbero entrate a far parte del nuovo stato italiano dopo il 1861 e cioè il Veneto nel 1866 ed il Lazio nel 19870. Di queste ben 850 chilometri erano nel Regno di Sardegna, 607 nel Lombardo Veneto, 303 in Toscana, 101 nello Stato Pontificio, 99 nel Ducato di Parma, 50 in quello di Modena ed infine appena 128 nel Regno delle Due Sicilie, che pure era stato il primo a costruire una sia pur breve linea ferrata da Napoli a Portici, di circa 8 chilometri, progettata dall’ingegnere francese Armand Bayard de la Vingtrie, inaugurata il 3 ottobre 1839, le cui prime locomotive “Bayard” e “Vesuvio” erano state costruite in Inghilterra. Sempre allo stesso ingegner Bayard si dovevano i progetti per altre ferrovie per Nocera, prolungabili per Salerno ed Avellino, interamente a sue spese, a fronte di una concessione economica di 99 anni. Invece a spese del governo fu costruita la linea che collegava Napoli con l’altra Reggia di Caserta, prolungata fino a Capua e terminata nel 1844.
Abbiamo voluto sottolineare questo slancio iniziale delle ferrovie del Regno delle Due Sicilie, perché poi rimase fermo per ben 17 anni i, dal 1844 al 1861, anche se esistevano nei cassetti progetti, anche questo del Bayard di una linea transappenninica per raggiungere il porto di Manfredonia nelle Pugliem ed anche altri progetti per strade non ferrate, ma se è vero che “la strada dell’inferno è lastricata si buone intenzioni” le Due Sicilie così lastricavano la strada della propria scomparsa. Questo mentre in Piemonte, veniva effettuato il traforo dei Giovi, sulla linea Torino-Genova,la più lunga galleria dell’epoca, di 3.254 mt., inaugurata,il 18 dicembre 1853 dal Re Vittorio Emanuele II, e nel Veneto, il governo austriaco,( diamo a Cesare quel che è di Cesare), completava l’accesso a Venezia, con il ponte sulla laguna,lungo 3.603 mt, con 222 arcate e 750.000 pali di larice. Rimanevano prive di ferrovie intere regioni, come Marche, Umbria (Stato Pontificio), Abruzzi, Puglie.Basilicata, Calabria e Sicilia ( regno delle Due Sicilie ).
Iniziò così per il nuovo Regno uno sforzo veramente titanico che portò a realizzare dal 1861 al 1870 circa 4.000 km, per cui si raggiunsero i 6.429 km., di cui 1.372 nella Italia Centrale e 1.777 nella Italia Meridionale ed Isole, e delle 34 province che all’atto della unificazione erano completamente prive di ferrovie, soltanto nove erano ancora scollegate. Nel 1880 i chilometri erano 9.290, nel 1890 raggiungevano i 13.629 per toccare, nel 1911, cinquantenario del Regno d’Italia, i 18.394.
I collegamenti principali erano stati tutti assicurati fin dal primo decennio, con un occhio particolare per il Meridione che ne era privo, superando, anche qui difficoltà geologiche. Giustino Fortunato parlava per la sua regione di “sfasciume geologico), di acque non regolamentate per cui i lavori procedettero con qualche difficoltà, ma al tempo stesso scriveva : “Le strade ferrate, correggendo il vizio di conformazione e seguendo le stesse tracce delle grandi vie lastricate, il cui genio di Roma ne volle solcata l’Italia, hanno compiuto il miracolo. Gli ingegneri, i costruttori, gli operai valsero per l’unificazione della patria non meno dei martiri, degli statisti e dei soldati”.
Punto fermo alle stantie polemiche antirisorgimentali, perché le cifre parlano da sole.
Domenico Giglio  

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