NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

mercoledì 29 novembre 2017

Io difendo la Monarchia II cap - i parte

Capitolo II

La crisi si aggrava nel dopoguerra

La decadenza del Parlamento - Si chiama in causa la Corona - I nuovi partiti in Italia - L’atmosfera del millennio - Le forze dell’interventismo battute - La reazione fascista - Un giudizio di Bonomi e uno di Nitti – Milano e l’Italia - La crisi del 1919-1922 e quella del 1860-61 - Rivoluzione e costituzione nel pensiero di Cavour.

Il Parlamento non riacquistò più il prestigio perduto nella crisi dell'intervento. I gruppi più accesi dell'interventismo continuarono a considerarlo la sede del neutralismo e del disfattismo. Il partito socialista e i gruppi politici del neutralismo non videro più in esso il presidio sufficiente della loro libertà. Nell’anno 1917 le difficoltà divennero maggiori e i fautori della pace presero coraggio per promuovere quelle agitazioni cittadine e quella propaganda disfattista nell'esercito che fu denunziata da Cadorna. Quando poi si verificò la rotta di Caporetto e l’antico interventismo insorse, il Parlamento fu messo in stato di accusa dalle due parti.
L’Italia aveva perduto il suo centro politico e stentava a riacquistarne uno nuovo. Gli studiosi italiani devono approfondire questo fenomeno per vedere come esso si è compiuto, attraverso quali fasi è passato,        a       quali leggi ha obbedito.
Nel 1919 il prestigio della Monarchia costituzionale decade in relazione con la caduta dell'istituto parlamentare. I partiti non si accorgono del grave pericolo in cui viene a trovarsi        lo Stato con il decadere dei suoi istituti fondamentali.
Accade infatti che la Corona non viene lasciata fuori dalla mischia come sarebbe doveroso, ma viene presa a partito. Più essa, presentendo il pericolo, si mantiene estranea all’urto delle fazioni, più essa viene chiamata in causa.
Gli uni pretendono che essa restauri la dignità nazionale, senza tener conto dell'atteggiamento dell'assemblea legislativa e delle grandi forze organizzate del lavoro, gli altri domandano che essa compia degli atti di forza contro le minoranze aggressive. Insomma i partiti politici, mentre si rivelano incapaci di raggiungere un
accordo ragionevole tra loro e mentre si affidano alle forze delle organizzazioni armate per vincere la loro battaglia, richiedono alla Corona un superiore giudizio
arbitrale che essa non - può pronunciare senza l'ausilio del Parlamento e senza gettarsi nella mischia. Si erano evidentemente compiuti nel corpo sociale italiano e in
tutto il suo tessuto popolare, dei fenomeni che di solito gli storici non possono afferrare nel momento stesso in cui essi si svolgono perché non presentano segni esteriori molto evidenti. Col diminuire dell'influenza britannica nel Continente, con l'immissione di nuove categorie sociali nella vita politica del paese, veniva cadendo, nella pubblica coscienza, quell'istituto parlamentare che non aveva purtroppo profonde radici nella nostra vita politica. Entrava così in crisi la nostra rivoluzione
liberale dell'ottocento e la crisi ancora dura e pare anzi farsi più violenta e più acuta
Dal 1861 al 1918 l'Italia aveva progredito sotto il governo della Monarchia costituzionale. L’Italia era divenuta una grande Potenza, ma i suoi istituti fondamentali, invece di acquistare vigore si andavano indebolendo. Associazioni di partito, organizzazioni operaie cominciarono a porre al numero uno del loro  programma la questione istituzionale.


Era questo un fatto nuovo. Il socialismo aveva una autorevole rappresentanza in Parlamento sin dall'ultimo decennio dell’ottocento. Il socialismo era per sua natura
repubblicano, ma non aveva mai posto tale pregiudiziale nella lotta politica. Durante il periodo giolittiano l’opposizione del socialismo si era attenuata; il marxismo, si disse, era stato risposto in soffitta. Turati era stato in dubbio se entrare o no in un ministero Giolitti, Bissolati aveva salito in giacchetta le scale del Quirinale.
Ora d’improvviso la lotta politica si faceva più accesa e più settaria.
Le correnti di sinistra domandavano la repubblica o quanto meno la Costituente. Anche il fascismo nel suo primo programma di piazza San Sepolcro (23 marzo 1919)
si proclamava agnostico, ma con tendenza alla Repubblica; domandava la  costituente e l’abolizione della Camera Alta.
Ma esaminiamo ora con calma gli avvenimenti tra il 1919 e il 1922. Fu quello un tempo assai agitato presso a poco eguale al tempo attuale per altro assai più profondamente sconvolto. Gli uomini e i partiti seguivano atteggiamenti contradditori e mutevoli secondo l'evolvere della situazione e secondo l'istinto delle masse.
Dall’ottobre 1917 aveva trionfato in Russia la rivoluzione bolscevica. I paesi vinti dell'Europa e soprattutto Germania e Ungheria sembravano presi da quel contagio.

L'Italia non aveva perduto la guerra, ma per le molte difficoltà interne e per una esasperata polemica attorno alla Conferenza della Pace sembrava dominata dalla psicologia postbellica di un paese vinto. Cominciarono a premere sui poteri dello Stato i grandi partiti e innanzi tutto il socialismo, divenuto più aggressivo e più avverso allo Stato di quanto non fosse nel 1915. I suoi capi più autorevoli apparivano superati dalla volontà delle masse. Esse non erano più in soggezione dinnanzi alla superiore cultura, alla calda eloquenza, alla specchiata onestà del vecchio Turati, ma ascoltavano volentieri nuove suggestioni, obbedivano a impulsi più violenti e sbrigativi. Si affermava come capo un Bombacci che sulla piazza di Bologna prometteva la rivoluzione e il comando al popolo nei prossimi mesi e la forca ai nemici.

Compariva poi sulla scena un nuovo grande partito di masse: il Partito Popolare che un sacerdote siciliano Luigi Sturzo era venuto organizzando con grande energia e indiscussa autorità. Era un partito che a volte sembrava perseguire un riformismo gradualista, a volte concorreva
demagógicamente, per non perdere le masse rurali, con le richieste, del socialismo; aveva un programma di decentramento  amministrativo e assumeva a sua insegna lo scudo con la croce, simbolo del libero comune. In complesso si affermavano pensieri, sentimenti e simboli diversi da quelli di anteguerra. Una rivoluzione si era compiuta. 
Durante la guerra il popolo italiano era andato cercando, nella profondità dei tempi, la sua essenza, il suo genio, il suo vero essere; ed ecco oggi esso esplodeva in nuovi aspetti e nuove formazioni. Sorgevano così le grandi associazioni dei reduci che parlavano un nuovo linguaggio e agitavano programmi di riforme.
I reduci erano il fenomeno nuovo della vita italiana. Avevano programmi confusi: a volte parlavano con la voce dei maggiori partiti, a volte trovavano una voce diversa. I Fasci italiani di combattimento „ non erano un movimento di reduci, ma molti ex combattenti che avevano l’orgoglio della guerra combattuta vi entravano con intenzioni risolute e con aspirazioni audaci. Insomma tutto il vecchio mondo politico era crollato e il Parlamento che n’era il cuore e il cervello era caduto dalla coscienza del maggior numero.
La lotta politica si svolgeva altrove. Essa aveva altri modi, altro fine, altri idoli, altra eloquenza, altro spirito. I vecchi partiti già svuotati di contenuto e divisi al tempo del l’intervento, erano ora in dissoluzione; i nuovi partiti obbedivano a idealità diverse da quelle dell’anteguerra. La Francia e l’Inghilterra che avevano vinto la guerra avrebbero potuto diffondere le energie e le idee della conservazione sociale, ma esse non riuscivano a influenzare la vita degli altri paesi. La sconfitta determinava la caduta di quattro imperi: dei Romanoff, degli Hoenzollem. degli Asburgo, degli Osmanli.

E insieme determinava la caduta delle vecchie classi politiche della borghesia intellettuale e parlamentare. La guerra aveva distrutto tante barriere ed ecco che molte altre di natura morale ne sorgevano. La distanza tra la classe dirigente di Londra e di Mosca, di Parigi e di Berlino era molto maggiore nel 1919 di quel che non fosse nel 1914. L’Europa intanto si saturava dell’ideologia di un grande vinto: la Russia. La rivoluzione proletaria seduceva le menti, eccitava l'entusiasmo di grandi folle, appariva come la nuova mèta dei popoli.
E anche essa era contro il Parlamento (1). Ma caduto in Italia il Parlamento, caduto il governo della borghesia intellettuale e professionale, che cosa rimaneva di quella classe di governo che aveva costituito il nuovo Regno?
La bandiera rossa sventolava su alcuni dei comuni più grandi del nord: una bandiera che non era simbolo della nazione italiana. Nasceva un nuovo regionalismo, segnacolo di disunione e di separazione (in Sicilia, in Sardegna, nel Molise), non di unità nazionale.
La vecchia classe politica era sfiduciata. Essa non aveva l’autorità morale sufficiente per domandare il voto ai reduci dalle trincee. Non osava neppure difendere il vecchio sistema elettorale basalo sul collegio uninominale. Il paese era nelle mani del primo uomo 
d'eccezione come del primo avventuriero privo di scrupoli. Scrive Machiavelli nel Principe quando si intrattiene sulle virtù di alcuni uomini dell’antichità arrivati al principato: « Ed esaminando le azioni e la vita loro non si vede che quelli avessero altro della fortuna che l'occasione la quale dette loro materia da potere introdursi dentro quella forma che apparve loro; e senza quell’occasione la virtù dell'animo loro si sarebbe spenta e senza quella virtù l’occasione sarebbe venuta invano ».
Ora dunque in Italia si presentava l'occasione di prendere il potere dello Stato. E a Mussolini se mancava la virtù in senso proprio non mancava la virtù in senso machiavellico e cioè la volontà, il proposito fermo, la forza per condurre a termine la grave impresa.
L'occasione si combinava storicamente con il dono e la virtù dell'azione. Le vecchie forze politiche non avevano nè la volontà nè l’energia per mantenere il
potere che, in definitiva, era considerato, nei lieti e onesti tempi ormai perduti per sempre, un grave peso senza utile personale. Gli Orlando, i Salandra, i Giolitti, i Sonnino non pensavano neppure di poter trarre un personale profitto dall'esercizio del potere. Essi vivevano in case di vetro, esposti alla critica della stampa e della tribuna parlamentare e dovevano chiudere gli uffici professionali o abbandonare gli studi e i particolari interessi nel periodo in cui erano in carica. Dal loro ufficio traevano solo fastidi, amarezze, sospetti ed ingiurie
Se il Parlamento del 1915 parve superato e privo di autorità a termine della guerra, anche l’esercito non poté sfuggire al contagio dell’indisciplina. I suoi quadri erano enormemente cresciuti e la disciplina si era venuta indebolendo.
Fiume e il fiumanesimo ebbero un'influenza perniciosa sulla compagine militare. La massa degli ufficiali di complemento, prossima a riprendere le attività civili,
portava nelle caserme le vaghe aspirazioni, i tumulti disordinati, i disparati programmi che agitavano le masse. In un momento in cui più si sentiva la necessità
di rafforzare il centro morale dello Stato, si avvertiva da per tutto la disintegrazione del tessuto nazionale. Rimaneva la Monarchia.

Il prestigio del Re era grande in tutto il paese: durante la guerra egli aveva servito con umiltà, costanza e intelligenza: a Peschiera, dopo Caporetto, aveva difeso l’esercito e aveva espresso la sua incrollabile fiducia nella resistenza dell'Italia. Un rinnovamento della classe politica e di tutta la struttura del paese sarebbe stato
possibile facendo perno sulla Monarchia. E invece le nuove forze, i grandi partiti, le masse erano agnostiche e si manifestavano antimonarchiche. Insomma lo stato
italiano, debole per troppo recente costituzione, sembrava non poter reggere alle conseguenze di una guerra così lunga, aspra e sanguinosa.

(1) Il bolscevismo nel 1917 aveva sciolto con le mitragliatrici — monito a quegli Italiani che sognano una Repubblica legalitaria — la costituente per instaurare il governo del soviet.

Nessun commento:

Posta un commento