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Quando il 17 marzo 1861 viene proclamato il Regno d’ Italia, l’ unità è ancora incompleta perché mancano il Veneto ed il Lazio, con Roma, (designata come futura Capitale fin da Cavour), che verranno acquisite al Regno rispettivamente nel 1866 e nel 1870. E’ così del tutto completa l’ Unità d’ Italia? In effetti manca il Trentino, perché Garibaldi che vi era penetrato durante la terza guerra d’indipendenza, ed aveva vinto gli austriaci a Bezzecca, dovette fermarsi, vedi il famoso telegramma “ Obbedisco”, per poi retrocedere e mancava la Venezia Giulia, con Trieste, il più importante porto commerciale dell’ Impero Austro-Ungarico, e con Pola, la baia dove aveva rifugio sicuro e quasi impenetrabile con i mezzi dell’epoca l’Imperial Regia Marina.
Queste mete non raggiunte nel 1866
erano un miraggio lontano perché il
periodo di pace seguito in tutta l’Europa,
all’ epoca signora del mondo, alla guerra
Franco-Prussiana del 1870, non lasciava
ipotizzare alcuna maniera per acquisirle
sia pacificamente sia, tanto meno, militarmente.
Il giovane Regno d’ Italia aveva
davanti a sé colossali problemi delle
più varia natura, specie le infrastrutture
mancanti in quasi tutta l’Italia Centrale
e Meridionale, che assorbivano gran parte
delle sue modeste risorse economiche. Alle
spese militari quindi non poteva essere
dedicata che una parte modesta del
bilancio statale, e di queste molto era
concesso al potenziamento della Regia Marina,
per ovvi motivi geopolitici. Inoltre in Europa,
erano cambiate diverse cose e la Francia,
che con Napoleone III, nel 1859 era stata
nostra amica ed alleata ed ancora
tale si era dimostrata e comportata
nel 1866, ora divenuta repubblica, sembrava quasi
pentita di aver favorito l’ Unità d’Italia,
malgrado il regalo di Nizza e della
Savoia, e l’Austria non considerava definitiva
la perdita del Lombardo-Veneto.
Per questi motivi si era quasi
dovuto procedere, governando Depretis e
la “Sinistra Storica”, alla stipula di un
trattato, nel 1882, con gli Imperi Germanico ed
Austro-Ungarico: la “Triplice Alleanza”. Questa ci
metteva al riparo da rivincite austriache
o da velleità francesi, essendo una
alleanza esclusivamente difensiva, che sarebbe
scattata solo se uno dei tre
contraenti fosse stato attaccato, da altre
Potenze, mai se avesse invece attaccato. Perciò
come si poteva onestamente parlare di Trento
e di Trieste? Il problema, che chiameremo
“irredentismo” esisteva, era latente e ne
seguiremo gli sviluppi, ma non poteva
essere recepito e fatto proprio dallo
Stato italiano, retto dalla monarchia dei Savoia.
I Re sapevano? Certamente, ma erano ormai
monarchi costituzionali ed esisteva il
Parlamento, con le sue maggioranze. Quanto a
Casa Savoia, era ingeneroso, se non peggio,
accusarla di scarsa passione nazionale, quando dando
origine al Risorgimento, con Carlo Alberto,
si era giuocata per l’unità il
tutto per tutto. Tipica la frase di
Vittorio Emanuele II che aveva detto
che altrimenti sarebbe diventato “Monsù
Savoia”, e anni ed anni dopo Vittorio
Emanuele III, avrebbe osservato che solo il
nonno era morto nel suo letto : Carlo
Alberto era morto solo in esilio ad
Oporto, ed il padre Umberto I, era morto
assassinato, e quando diceva questo non
sapeva che anche Lui ed il figlio Umberto,
sarebbero morti in esilio e che in
esilio sarebbero state anche le loro tombe!
Irredentismo è un termine che indica
l’aspirazione di un popolo a completare
la propria unità territoriale, acquisendo terre
soggette al dominio straniero sulla base
di una identità etnica, linguistica e culturale.
Esso trovava terreno più fertile nella
opposizione repubblicana, che ne faceva motivo
di polemica politica antigovernativa e
non voleva comprendere la necessità che la
politica estera del Regno, non ponesse in
risalto queste rivendicazioni. “Terre irredente”, ed
“irredentismo”, sono parole pronunciate per la
prima volta nel 1877, dinanzi alla bara
del padre Paolo Emilio, da Matteo Renato
Imbriani, divenuto repubblicano dopo il 1866, e
deputato dal 1889, le cui convinzioni irredentistiche
divennero la ragione stessa della sua vita,
finché non lo colse la morte nel 1901.
“Pensarci sempre, non parlarne mai“ era in
realtà il pensiero di molti in Italia,
come lo era in Francia per l’ Alsazia
e Lorena, che le erano state strappate
dalla Germania dopo la guerra del 1870.
Periodicamente vi erano
eventi che davano rinnovato slancio a
sentimenti patriottici, come fu l’impiccagione di
Oberdan(k) il 20 dicembre 1882, lo scoprimento
a Trento, della grande statua in bronzo, di
Dante , opera dello scultore italiano Zocchi,
o la partecipazione di una squadra di
giovani atleti trentini, ad alcune gare atletiche,
la sera del 29 luglio 1900 a Monza.
Il Re Umberto, non dimentichiamo che come
giovane Principe aveva combattuto a Custoza,
nel 1866 contro gli austriaci, resistendo
alle cariche degli ulani nel famoso
“quadrato di Villafranca, l’aveva voluto onorare
con la sua presenza e, prima di
cadere sotto il piombo assassino
dell’anarchico Bresci, aveva donato a
questi giovani una statua della libertà. Tale
presenza Giovanni Pascoli, sottolinea nell’
ode “Al Re Umberto”,: “…Tu, Re salutavi l ‘ Italia
del Liberi e Forti..”, (nome della società
sportiva trentina), e prosegue precisando
che tra le bandiere presenti quella
sera : “…ed al vento , tra gli altri
cognati vessilli, batteva il vessillo di
Trento…”. Ed a questo proposito proprio la
morte del Re dette luogo a commosse
manifestazioni di lutto nelle “terre
irredente”, rafforzandone i sentimenti di italianità.
Posizione difficile per il Governo
quella di mantenere l’alleanza con l’Austria
e non dimenticare gli irredenti, per cui
l’Italia aveva dato ospitalità e
riconoscimenti a tanti italiani provenienti
dalle “terre irredente”, ed a titolo indicativo,
ma non esaustivo, ricordiamo Oreste Baratieri, nativo
di Trento, divenuto generale del Regio Esercito, Salvatore
Barzilai, di Trieste, eletto deputato in un
Collegio di Roma , Vittorio Italo Zupelli, di
Capodistria, divenuto addirittura Ministro della
Guerra, e professori universitari come
Graziano Ascoli, di Gorizia, docente di
linguistica a Milano, e Giacomo Venezian, di Trieste, docente
di diritto a Bologna,che ultracinquantenne sarebbe
caduto combattendo sul Carso, il 20
novembre 1915, ed un giornalista e
scrittore di Zara, Arturo Colautti, particolarmente
esperto di problemi navali. Tipico del
problema governativo è l’atteggiamento di
un Francesco Crispi, che non può essere
accusato di scarsa passione unitaria, il
quale ufficialmente aveva condannato l’irredentismo,
mentre poi finanziava la “Dante Alighieri”, associazione
nata nel 1889, fra i cui fondatori era
stato anche il Venezian, da noi ricordato,
con il chiaro scopo di rivendicare la
nostra cultura, anche fuori dei confini. Ma i
legami e l’attaccamento all’ Italia di trentini, triestini,
avevano radici profonde, e se ne era avuta
già manifestazione al risvegliarsi della
passione e della volontà di unità e
di indipendenza nazionale nel Risorgimento, con
le vicende della difesa della libertà
di Venezia nel 1848-1849, dove numerosi
erano stati i combattenti ed i caduti
provenienti da queste terre, e così
pure nel 1859, dove nell’ Esercito Sardo
militavano trentini ed istriani, e due di
essi, gli ufficiali Alfredo Cadolino e
Leopoldo Martino, morirono da valorosi nella
battaglia di San Martino, e più ancora
dal 1860 al 1866, quando era stato un
continuo accorrere di irredenti nelle file
di Garibaldi e dell’ Esercito Regio, mentre
nello stesso tempo aumentava nelle “terre
irredente”, la repressione violenta e sanguinosa
della polizia austriaca, in gran parte
composta da croati, con processi seguiti da
condanne a morte ed al carcere.
Come poi non ricordare un Niccolò
Tommaseo, (1802 - 1874) - dalmata di Sebenico, cattolico
fervente, uomo di vasta cultura e
liberalità di pensiero, autore di opere
letterarie all’epoca famose, difensore di
Venezia con Daniele Manin, dalla forte passione
nazionale, sia pure in una visione federalista,
un Giovanni Prati, (1814 - 1884) trentino di
Campomaggiore, poeta non dei minori del
nostro “ottocento”, che coi suoi versi
accompagnò le speranze e le imprese patriottiche,
fedelissimo alla causa Sabauda ed infine
un Antonio Rosmini, ( 1797- 1855) trentino di Rovereto,
sacerdote e filosofo,fautore di un
liberalismo cattolico e di una soluzione
monarchico sabauda al processo unitario, che, per
queste idee e sentimenti favorevoli all’Italia,
ebbe persecuzioni da parte del governo
austriaco. E tutti studiarono o si recarono , o
vissero a Venezia, a Padova, a Milano, a
Firenze ed a Torino, ma mai ad
Innsbruck o Vienna o Berlino!
Questo vicende dell’irredentismo, sommariamente
descritte, corrispondono alla prima fase
risorgimentale e postrisorgimentale che si
chiude con la triste vicenda di
Oberdan ed alla seconda fase legalitaria
con il programma minimo difensivo
del patrimonio storico e culturale di queste
terre, con Società come quella Dalmata di
Storia Patria, e come quella degli
Alpinisti Tridentini, nonché con associazioni
operanti sia nel Regno che nei
territori soggetti all’Austria, con relativi giornali, per
impedire che il problema finisse nel
dimenticatoio. Prima di passare alla terza
fase che logicamente termina con l’entrata
in guerra dell’Italia, soffermiamoci su due
figure che emergono nell’irredentismo
trentino ed altoatesino per la loro
personalità. Il primo come data di nascita,
Ettore Tolomei, nato a Rovereto nel 1865,
che da geografo si dedicò particolarmente
ai problemi dell’Alto Adige, raccogliendo
testimonianze storiche e linguistiche in un
fondamentale “Archivio dell’Alto Adige”, relativamente
alla presenza italiana, preparando il rinnovamento
della toponomastica, con la versione italiana
dei nomi delle località e combattendo
il pangermanesimo che si era sviluppato
nell’ Ottocento in concomitanza e
contrapposizione al nostro Risorgimento, ed
infine “volontario di guerra” a 50
anni e per i suoi meriti
nominato dal Re, nel 1923, Senatore del
Regno.
L’ altro, più famoso per la sua tragica
e pur gloriosa fine che ne fece
il Martire degli Irredenti, senza con
questo dimenticare Fabio Filzi, Damiano Chiesa, Nazario
Sauro, è Cesare Battisti, nato a Trento nel
1875, da una agiata famiglia di commercianti,
studente a Firenze e poi anche
lui geografo di valore, studioso appassionato
del suo Trentino, ma anche uomo politico,
socialista, deputato nel 1911 nella Dieta dell’
Impero Austro- Ungarico, la cui importanza è
fondamentale per la causa degli interventisti, avendo
tenuto decine di discorsi in Italia, per
spiegare le ragioni che ci dovevano
portare alla guerra. Guerra alla quale
partecipò fin dall’inizio negli alpini data
la sua competenza e conoscenza delle
montagne trentine, e dove, durante un’azione
sul Monte Corno, il 10 luglio 1916, viene
preso prigioniero dagli austriaci, portato a
Trento, processato ed impiccato nel cortile
del Castello del Buon Consiglio. Le sue
ultime parole furono: ”Viva Trento Italiana, Viva
l’Italia”.
L‘irredentismo entrava così nel secolo XX,
dovendo combattere contro l’invadenza tedesca
nel Trentino-Alto Adige, che costrinse
addirittura nel 1912, il Vescovo di Trento,
monsignore Endrici, a prendere una dura
posizione contraria, e contro quella slava nell’
Istria, entrambe favorite dal governo, e che
rispondeva ad un preciso programma di
conquista, neppure nascosta, basti pensare che in
un giornale sloveno, un articolo, ripreso e
riportato dal nostro grande giornalista
Luigi Barzini, sul “Corriere della sera”, il
21 settembre 1913, era scritto:”…non desisteremo
fino a che non avremo ridotto in
polvere l’ italianità di Trieste e fino
a che a Trieste non comanderemo noi
slavi…”, e sempre a Trieste, il Governatore,
Principe di Hohenloe, nel 1913, aveva pubblicato
un’ordinanza che vietava a cittadini
italiani di ricoprire posti di lavoro.
Perciò ad esempio il problema di
una Università per gli studenti di
lingua italiana acquistava una straordinaria
importanza , anche perché nel 1903 vi erano
stati scontri sanguinosi ad Innsbruck
contro gli studenti italiani, ed il
problema di una maggiore autonomia
amministrativa del Trentino divenivano i
punti fondamentali delle richieste degli
irredenti, che avevano capito, perdurando la Triplice,
essere esclusa ogni altra soluzione. Nondimeno
non perdevano occasione di farsi riconoscere,
e notare come quando Vittorio Emanuele III,
si recò in visita ad Udine nel 1903, dando
vita ad ardenti manifestazioni irredentistiche,
che non potevano sfuggire all’attenzione
del Sovrano, né lasciarlo indifferente. Anche
l’inaugurazione di un monumento a Verdi
a Trieste costituiva momento di italianità
e così pure il dono nel 1907 di
una lampada votiva alla tomba di Dante a
Ravenna, e poi le celebrazioni nel 1911
del cinquantenario del Regno d’Italia
facevano rivivere le passioni del Risorgimento,
ed ad esempio in quello stesso anno,
il primo ottobre, si teneva a
Capodistria il congresso di tutte le
organizzazioni giovanili per stabilire una
linea d’azione unitaria.
Giungiamo così al luglio 1914: l’Austria
dichiara guerra alla Serbia, ritenendola mandante
dell’assassinio dell’ Arciduca Francesco Ferdinando, violando
il trattato non consultando l’Italia. L’Italia
che giustamente si proclama neutrale, tenta
inizialmente la strada per arrivare ad
un accordo pacifico per il riconoscimento
dei propri diritti storici, ma le risposte
negative e tardive, spingono gli irredentisti,
che capiscono essere questa l’occasione da
quasi cinquant’anni auspicata, ad
intervenire nel contrasto tra interventisti
e neutralisti a favore dell’intervento, e
così quelle due parallele, irredentismo e
politica governativa che sembravano non
potersi incontrare, se non all’infinito, con la
decisione del Re si incontrano ed
il 24 maggio 1915, ha inizio la
Quarta Guerra d’Indipendenza, che portò al
completamento dell’ Unità per anni vagheggiata.
Il prezzo pagato in termini di vite
umane, tra le quali molti irredenti che
avevano varcato il confine per combattere
nelle file del Regio Esercito e della
Regia Marina , fu molto più elevato di
quanto immaginato, ma l’Italia e gli
Italiani avevano mostrato al Mondo che
erano una vera Nazione, e non una
espressione geografica, ed un Popolo, fiero
di sé e del suo passato,composto non
più di “macaroni” e servi di altrui
governi. Gli irredenti avevano trovato finalmente
la Patria .