NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 31 marzo 2015

IL REGNO D’ ITALIA E L’IRREDENTISMO

da https://archivioirredentista.wordpress.com
di Domenico  Giglio 

Quando  il  17  marzo  1861  viene  proclamato  il  Regno  d’ Italia, l’ unità  è  ancora  incompleta  perché  mancano  il  Veneto   ed  il  Lazio, con  Roma, (designata  come  futura  Capitale  fin  da  Cavour),  che  verranno  acquisite  al  Regno  rispettivamente  nel  1866  e  nel  1870. E’  così  del  tutto  completa  l’ Unità  d’ Italia? In  effetti  manca  il  Trentino, perché  Garibaldi  che  vi  era  penetrato  durante  la  terza  guerra   d’indipendenza, ed  aveva  vinto  gli  austriaci  a  Bezzecca, dovette  fermarsi, vedi  il  famoso  telegramma  “ Obbedisco”, per  poi  retrocedere  e  mancava  la  Venezia   Giulia, con  Trieste, il  più  importante  porto  commerciale  dell’ Impero  Austro-Ungarico, e  con  Pola, la  baia  dove  aveva  rifugio  sicuro  e  quasi  impenetrabile  con  i  mezzi  dell’epoca  l’Imperial  Regia  Marina.
Queste  mete  non  raggiunte  nel  1866  erano  un  miraggio  lontano  perché  il  periodo  di  pace  seguito  in  tutta  l’Europa, all’ epoca  signora  del  mondo, alla  guerra  Franco-Prussiana  del  1870, non  lasciava  ipotizzare   alcuna  maniera  per  acquisirle  sia  pacificamente  sia,  tanto  meno,  militarmente.
Il  giovane  Regno  d’ Italia  aveva  davanti  a  sé  colossali  problemi  delle  più  varia  natura, specie  le  infrastrutture  mancanti  in  quasi  tutta  l’Italia  Centrale  e  Meridionale, che  assorbivano  gran  parte  delle  sue  modeste  risorse  economiche. Alle  spese  militari  quindi  non  poteva  essere  dedicata  che  una  parte  modesta  del  bilancio  statale, e  di  queste  molto  era  concesso  al  potenziamento  della  Regia  Marina, per  ovvi  motivi  geopolitici. Inoltre  in  Europa, erano  cambiate  diverse  cose  e  la  Francia, che  con  Napoleone  III, nel  1859  era  stata  nostra  amica  ed  alleata  ed  ancora  tale  si  era  dimostrata   e  comportata  nel  1866, ora  divenuta  repubblica, sembrava  quasi  pentita  di  aver  favorito  l’ Unità  d’Italia, malgrado  il  regalo  di  Nizza  e  della  Savoia, e  l’Austria  non  considerava  definitiva  la  perdita   del  Lombardo-Veneto.
Per  questi  motivi  si  era  quasi  dovuto   procedere, governando  Depretis   e  la  “Sinistra  Storica”, alla  stipula  di  un  trattato, nel  1882, con  gli  Imperi  Germanico  ed  Austro-Ungarico: la  “Triplice  Alleanza”. Questa  ci  metteva  al  riparo  da  rivincite  austriache  o  da  velleità  francesi, essendo  una  alleanza  esclusivamente  difensiva, che  sarebbe  scattata  solo  se  uno  dei  tre  contraenti  fosse  stato  attaccato, da  altre  Potenze, mai  se  avesse  invece  attaccato. Perciò  come  si poteva  onestamente  parlare  di  Trento  e  di  Trieste? Il  problema, che  chiameremo  “irredentismo”  esisteva, era  latente  e  ne  seguiremo  gli  sviluppi, ma  non  poteva  essere  recepito  e  fatto  proprio  dallo  Stato  italiano, retto  dalla  monarchia  dei  Savoia. I  Re  sapevano? Certamente, ma  erano  ormai  monarchi  costituzionali  ed  esisteva  il  Parlamento, con  le  sue  maggioranze. Quanto  a  Casa  Savoia, era  ingeneroso, se  non  peggio, accusarla  di scarsa  passione  nazionale, quando  dando  origine  al  Risorgimento, con  Carlo  Alberto,  si  era  giuocata  per   l’unità   il  tutto  per  tutto. Tipica  la  frase  di  Vittorio  Emanuele  II  che  aveva  detto  che  altrimenti  sarebbe  diventato   “Monsù  Savoia”, e  anni  ed  anni  dopo  Vittorio  Emanuele III, avrebbe  osservato  che  solo  il  nonno   era  morto  nel  suo  letto : Carlo  Alberto  era  morto  solo  in  esilio  ad  Oporto, ed  il  padre  Umberto  I, era  morto  assassinato, e  quando  diceva  questo  non  sapeva  che  anche  Lui  ed  il figlio  Umberto, sarebbero  morti  in  esilio  e  che  in  esilio  sarebbero  state  anche  le  loro  tombe!
Irredentismo è  un  termine  che  indica  l’aspirazione  di  un  popolo  a  completare  la  propria  unità  territoriale, acquisendo  terre  soggette  al  dominio  straniero  sulla  base  di  una  identità  etnica, linguistica  e  culturale. Esso  trovava  terreno  più  fertile  nella  opposizione  repubblicana, che  ne  faceva  motivo  di  polemica  politica  antigovernativa   e  non  voleva  comprendere  la  necessità  che  la  politica  estera  del  Regno, non  ponesse  in  risalto  queste  rivendicazioni.  “Terre  irredente”, ed  “irredentismo”, sono  parole pronunciate  per  la  prima  volta  nel  1877, dinanzi  alla  bara  del  padre  Paolo  Emilio, da  Matteo  Renato  Imbriani, divenuto  repubblicano  dopo  il  1866, e  deputato  dal  1889, le  cui  convinzioni  irredentistiche  divennero  la  ragione  stessa  della  sua  vita, finché  non  lo  colse  la  morte  nel  1901. “Pensarci  sempre, non  parlarne  mai“ era  in  realtà  il  pensiero  di  molti  in  Italia, come  lo  era  in  Francia  per  l’ Alsazia  e  Lorena, che  le  erano  state  strappate  dalla  Germania  dopo  la  guerra  del  1870.
Periodicamente  vi  erano  eventi  che  davano  rinnovato  slancio  a  sentimenti  patriottici, come  fu  l’impiccagione  di Oberdan(k)  il  20  dicembre  1882, lo  scoprimento  a  Trento, della  grande  statua  in  bronzo, di  Dante , opera  dello  scultore  italiano  Zocchi,  o  la  partecipazione  di  una  squadra  di  giovani  atleti  trentini, ad  alcune  gare  atletiche, la  sera  del  29  luglio  1900  a  Monza.  Il  Re  Umberto, non  dimentichiamo  che  come  giovane  Principe  aveva  combattuto  a  Custoza, nel  1866  contro  gli  austriaci, resistendo  alle  cariche  degli  ulani  nel  famoso  “quadrato  di  Villafranca, l’aveva  voluto  onorare con  la  sua  presenza   e, prima  di  cadere  sotto  il  piombo  assassino  dell’anarchico  Bresci, aveva   donato  a  questi  giovani  una  statua  della  libertà. Tale  presenza    Giovanni  Pascoli, sottolinea  nell’ ode  “Al  Re Umberto”,: “…Tu, Re  salutavi  l ‘ Italia  del  Liberi  e Forti..”, (nome  della  società  sportiva  trentina), e  prosegue   precisando   che  tra  le  bandiere  presenti   quella  sera  : “…ed  al  vento , tra  gli  altri  cognati  vessilli, batteva  il  vessillo  di  Trento…”. Ed  a  questo  proposito  proprio  la  morte  del  Re  dette  luogo  a  commosse  manifestazioni   di  lutto  nelle  “terre  irredente”, rafforzandone  i  sentimenti  di  italianità.
Posizione  difficile  per  il  Governo  quella  di  mantenere  l’alleanza  con  l’Austria  e  non  dimenticare  gli  irredenti, per  cui  l’Italia  aveva  dato  ospitalità  e  riconoscimenti  a  tanti  italiani   provenienti  dalle  “terre  irredente”, ed  a  titolo indicativo, ma  non  esaustivo, ricordiamo  Oreste  Baratieri, nativo  di  Trento, divenuto  generale  del  Regio  Esercito, Salvatore  Barzilai, di  Trieste, eletto  deputato  in  un  Collegio  di  Roma , Vittorio  Italo Zupelli, di  Capodistria, divenuto  addirittura  Ministro  della  Guerra,  e  professori  universitari  come  Graziano  Ascoli, di  Gorizia, docente  di  linguistica  a Milano, e  Giacomo  Venezian, di  Trieste, docente  di  diritto  a  Bologna,che  ultracinquantenne  sarebbe  caduto   combattendo  sul  Carso, il  20 novembre  1915, ed  un  giornalista  e  scrittore  di  Zara, Arturo  Colautti, particolarmente  esperto  di  problemi  navali. Tipico  del  problema   governativo  è  l’atteggiamento  di  un  Francesco  Crispi, che  non  può  essere  accusato  di  scarsa  passione  unitaria, il  quale  ufficialmente  aveva  condannato  l’irredentismo, mentre  poi  finanziava  la  “Dante  Alighieri”, associazione  nata  nel  1889, fra  i cui  fondatori  era  stato  anche  il  Venezian, da  noi  ricordato, con  il  chiaro  scopo  di  rivendicare  la  nostra  cultura, anche  fuori  dei  confini. Ma  i  legami  e  l’attaccamento  all’ Italia  di  trentini, triestini, avevano  radici  profonde, e  se  ne era  avuta  già  manifestazione  al  risvegliarsi  della  passione  e  della  volontà  di  unità  e  di  indipendenza  nazionale  nel  Risorgimento, con  le  vicende  della  difesa  della  libertà  di  Venezia  nel  1848-1849, dove  numerosi  erano  stati  i  combattenti  ed  i  caduti  provenienti   da  queste  terre, e  così  pure  nel  1859, dove  nell’ Esercito  Sardo  militavano  trentini  ed  istriani, e  due  di  essi, gli  ufficiali  Alfredo  Cadolino  e  Leopoldo  Martino, morirono  da valorosi  nella  battaglia  di  San  Martino, e  più  ancora  dal  1860  al  1866, quando  era  stato  un continuo  accorrere  di  irredenti  nelle  file  di  Garibaldi  e  dell’ Esercito  Regio, mentre  nello  stesso  tempo  aumentava  nelle  “terre  irredente”, la  repressione  violenta  e  sanguinosa  della  polizia  austriaca, in  gran  parte  composta  da  croati, con  processi  seguiti  da condanne  a  morte  ed  al  carcere.
Come  poi  non  ricordare  un  Niccolò  Tommaseo, (1802 - 1874) - dalmata  di  Sebenico, cattolico  fervente, uomo  di  vasta  cultura  e  liberalità  di  pensiero, autore  di  opere  letterarie  all’epoca  famose, difensore   di  Venezia  con  Daniele  Manin, dalla  forte  passione nazionale, sia  pure  in  una  visione  federalista, un  Giovanni  Prati, (1814 - 1884) trentino  di  Campomaggiore, poeta  non  dei  minori  del  nostro  “ottocento”, che  coi  suoi  versi  accompagnò  le  speranze  e  le imprese  patriottiche, fedelissimo  alla  causa  Sabauda  ed  infine  un  Antonio  Rosmini, ( 1797- 1855) trentino  di  Rovereto, sacerdote  e  filosofo,fautore  di  un  liberalismo  cattolico  e di  una  soluzione  monarchico  sabauda  al  processo  unitario, che, per  queste  idee  e  sentimenti  favorevoli  all’Italia,  ebbe  persecuzioni  da  parte  del  governo  austriaco. E  tutti  studiarono  o  si  recarono , o vissero  a  Venezia, a  Padova, a  Milano, a  Firenze  ed  a  Torino, ma  mai  ad  Innsbruck  o  Vienna  o  Berlino!
Questo vicende dell’irredentismo, sommariamente  descritte,  corrispondono  alla  prima  fase  risorgimentale  e  postrisorgimentale  che  si  chiude  con  la  triste  vicenda  di  Oberdan  ed  alla  seconda  fase  legalitaria  con  il  programma  minimo    difensivo  del  patrimonio  storico  e  culturale  di  queste  terre, con  Società  come  quella  Dalmata  di  Storia  Patria,  e  come  quella  degli  Alpinisti  Tridentini, nonché   con  associazioni  operanti  sia  nel  Regno  che  nei  territori  soggetti  all’Austria, con  relativi  giornali, per  impedire  che  il  problema  finisse  nel  dimenticatoio. Prima  di  passare  alla  terza  fase  che  logicamente  termina  con  l’entrata  in  guerra  dell’Italia, soffermiamoci  su  due  figure  che  emergono  nell’irredentismo  trentino   ed  altoatesino  per  la  loro  personalità. Il  primo  come  data  di  nascita, Ettore  Tolomei, nato  a  Rovereto  nel  1865, che  da  geografo  si  dedicò  particolarmente  ai  problemi  dell’Alto  Adige, raccogliendo  testimonianze  storiche  e  linguistiche  in  un  fondamentale  “Archivio  dell’Alto  Adige”, relativamente  alla  presenza  italiana,  preparando  il  rinnovamento  della  toponomastica, con  la  versione  italiana  dei  nomi  delle  località  e  combattendo  il  pangermanesimo  che  si  era  sviluppato  nell’ Ottocento  in  concomitanza  e  contrapposizione  al  nostro  Risorgimento, ed  infine  “volontario  di  guerra”  a  50  anni   e  per  i  suoi  meriti  nominato  dal  Re, nel  1923,  Senatore  del  Regno.
L’ altro, più  famoso  per  la  sua  tragica  e  pur  gloriosa  fine  che  ne  fece  il  Martire  degli  Irredenti, senza  con  questo  dimenticare  Fabio  Filzi, Damiano  Chiesa, Nazario  Sauro, è  Cesare  Battisti, nato  a  Trento  nel  1875, da  una  agiata  famiglia di  commercianti, studente  a   Firenze   e  poi  anche  lui  geografo  di  valore, studioso  appassionato  del   suo  Trentino, ma  anche  uomo  politico, socialista, deputato  nel  1911 nella  Dieta  dell’ Impero  Austro- Ungarico, la  cui  importanza  è  fondamentale  per  la  causa  degli  interventisti, avendo  tenuto  decine  di  discorsi  in  Italia, per  spiegare  le  ragioni  che  ci  dovevano  portare  alla  guerra. Guerra  alla  quale  partecipò  fin  dall’inizio negli  alpini  data  la  sua  competenza  e  conoscenza  delle  montagne  trentine,  e  dove, durante  un’azione  sul  Monte  Corno, il  10  luglio  1916, viene  preso  prigioniero  dagli  austriaci, portato  a  Trento, processato  ed  impiccato  nel  cortile  del  Castello  del  Buon  Consiglio. Le  sue  ultime  parole  furono: ”Viva  Trento  Italiana, Viva  l’Italia”.
L‘irredentismo  entrava  così  nel  secolo  XX, dovendo  combattere  contro  l’invadenza  tedesca  nel  Trentino-Alto  Adige, che  costrinse  addirittura  nel  1912, il  Vescovo  di  Trento, monsignore  Endrici, a  prendere  una  dura  posizione  contraria, e  contro  quella  slava  nell’ Istria, entrambe  favorite  dal  governo, e  che  rispondeva  ad  un  preciso  programma  di  conquista,  neppure  nascosta, basti  pensare  che  in un  giornale  sloveno, un  articolo, ripreso  e riportato  dal  nostro  grande  giornalista  Luigi  Barzini, sul  “Corriere  della  sera”, il  21  settembre  1913, era  scritto:”…non  desisteremo  fino  a  che  non  avremo  ridotto  in  polvere  l’ italianità  di  Trieste  e  fino  a  che  a  Trieste  non  comanderemo  noi  slavi…”, e  sempre  a  Trieste, il  Governatore, Principe  di  Hohenloe, nel  1913, aveva  pubblicato  un’ordinanza  che  vietava  a  cittadini  italiani  di  ricoprire  posti  di  lavoro.
Perciò  ad  esempio  il  problema  di  una  Università  per  gli  studenti  di  lingua  italiana  acquistava  una  straordinaria  importanza , anche  perché  nel  1903  vi  erano  stati  scontri  sanguinosi  ad  Innsbruck  contro   gli  studenti  italiani, ed  il  problema  di  una  maggiore  autonomia  amministrativa  del  Trentino  divenivano  i  punti  fondamentali  delle  richieste  degli  irredenti, che  avevano  capito, perdurando  la  Triplice, essere  esclusa  ogni  altra  soluzione. Nondimeno  non  perdevano  occasione  di  farsi  riconoscere, e  notare  come quando  Vittorio  Emanuele  III, si  recò  in  visita  ad  Udine  nel  1903, dando  vita  ad  ardenti  manifestazioni  irredentistiche, che  non  potevano  sfuggire  all’attenzione  del  Sovrano, né  lasciarlo  indifferente. Anche  l’inaugurazione  di  un  monumento  a  Verdi  a  Trieste  costituiva  momento  di italianità  e  così  pure  il  dono  nel  1907  di  una  lampada  votiva  alla  tomba di Dante  a  Ravenna, e  poi  le  celebrazioni  nel  1911  del  cinquantenario  del  Regno  d’Italia  facevano  rivivere  le  passioni  del  Risorgimento, ed  ad  esempio  in  quello  stesso  anno, il  primo  ottobre, si  teneva   a  Capodistria  il  congresso  di  tutte  le  organizzazioni  giovanili  per  stabilire  una  linea  d’azione  unitaria.
Giungiamo  così  al  luglio  1914: l’Austria  dichiara  guerra  alla  Serbia, ritenendola  mandante  dell’assassinio  dell’ Arciduca  Francesco  Ferdinando, violando  il  trattato  non  consultando  l’Italia. L’Italia  che  giustamente  si  proclama  neutrale, tenta  inizialmente  la  strada  per  arrivare  ad  un  accordo  pacifico  per  il  riconoscimento  dei  propri  diritti  storici, ma le  risposte  negative  e  tardive, spingono  gli  irredentisti, che  capiscono  essere  questa  l’occasione  da  quasi  cinquant’anni   auspicata,  ad  intervenire  nel  contrasto  tra  interventisti  e  neutralisti  a  favore  dell’intervento,  e  così  quelle  due  parallele, irredentismo  e  politica  governativa  che  sembravano  non  potersi  incontrare, se  non  all’infinito, con  la  decisione   del  Re  si  incontrano  ed  il  24  maggio  1915, ha  inizio  la  Quarta  Guerra  d’Indipendenza, che  portò   al  completamento  dell’ Unità  per  anni  vagheggiata. Il  prezzo  pagato  in  termini  di  vite  umane, tra  le  quali  molti  irredenti  che  avevano  varcato  il  confine  per  combattere  nelle file  del  Regio  Esercito  e  della  Regia  Marina , fu  molto  più  elevato  di  quanto  immaginato, ma  l’Italia  e  gli  Italiani  avevano  mostrato  al  Mondo  che  erano  una  vera  Nazione, e  non   una  espressione  geografica,   ed  un  Popolo, fiero  di  sé  e  del  suo  passato,composto  non  più  di  “macaroni”  e  servi  di  altrui  governi. Gli  irredenti  avevano  trovato  finalmente  la  Patria .


   

domenica 29 marzo 2015

Pisa: Palazzo Blu racconta i segni della Grande Guerra

Si apre oggi la mostra “I segni della guerra. Pisa 1915-1918: una città nel primo conflitto mondiale”. Sei sezioni che raccontano le varie fasi della prima guerra mondiale

Come si riverbera un guerra, la Grande Guerra, nella vita di una città italiana, della sua popolazione e delle sue istituzioni. Questo il tema al centro della mostra I segni della guerra. Pisa 1915-1918: una città nel primo conflitto mondiale, che si apre oggi a Palazzo Blu in occasione del centenario della prima guerra mondiale (fino al 5 luglio)

“La Grande Guerra – ha detto il presidente della Fondazione Palazzo Blu Cosimo Bracci Torsi –  resta infatti un punto di svolta nella storia dell’Europa e del Mondo – l’inizio di una seconda Guerra dei trent’anni o del Secolo breve – ed è all’origine degli sconvolgimenti e degli orrori dei decenni seguenti. Pisa non era sul fronte di combattimento, né era sede di governo o di alti comandi militari. Era una media città italiana con le sue caratteristiche e la sua storia sulla quale tuttavia la guerra ha lasciato i suoi segni”.

L’allestimento prende le mosse da una ricerca che ha visto inventariare e esplorare giacimenti documentari, archivistici, bibliotecari, collezionistici, di stampa periodica locali, tra cui sono stati naturalmente fondamentali sia l’Archivio di Stato di Pisa, sia l’Archivio del cardinale Pietro Maffi, Arcivescovo della città.
Una ricerca che ha varcato i confini di Pisa, arrivando all’archivio della Presidenza della Repubblica, dove sono presenti documenti della Casa Savoia, compresi quelli riferiti alla tenuta reale di San Rossore, l’Ufficio storico dell’Aeronautica, che conserva documenti sulle scuole di volo pisane e il Museo storico dell’Aeronautica militare di Vigna di Valle.
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venerdì 27 marzo 2015

LE CAUSE DELLA I GUERRA MONDIALE

di Gianluigi Chiaserotti

Con il 2014 si è iniziato a parlare del I Centenario della Prima Guerra Mondiale.
Con il presente articolo, anche in vista del prossimo 24 maggio, data in cui cento anni or sono l’Italia entrò in guerra, a cui necessiterà un ricordo specifico, iniziamo ad analizzare qualche aspetto della Guerra stessa, come quelle che furono le sue cause remote e le sue cause prossime.
Le cause remote sono quei fenomeni storici molto complessi e di lunga durata senza i quali non ci sarebbe stata mai una guerra con le caratteristiche della Prima Guerra Mondiale; mentre quelle immediate o prossime è l’insieme di problemi e tensioni internazionali che furono, in qualche modo, il motivo diretto della guerra medesima.
Tre sono quelle remote:
A) La rivoluzione industriale, la quale permette lo sviluppo di quelle tecnologie che trasformeranno il modo di fare la guerra, sia a livello di armamenti, sia che a livello di trasporti, aumentando la produzione industriale, la circolazione delle merci dentro e fuori il continente europeo e quindi anche la concorrenza tra le nazioni stesse;
B) Il nazionalismo, cioè la convinzione della superiorità della propria nazione sulle altre. Convinzione che si diffonde sempre più profondamente nei paesi europei a partire dalla seconda metà dell‘800 (anche per la nascita di nuovi Stati, come l’Italia) e quindi per i nazionalisti la guerra è lo strumento proprio con cui affermare la superiorità territoriale;
C) L’imperialismo, cioè la creazione di imperi coloniali più o meno grandi (britannico, francese, tedesco, belga, italiano), influisce in due modi sulla Prima guerra Mondiale, sia come causa di contrasti tra le potenze europee che si contendono le colonie africane ed asiatiche, sia per produrre la c. d. “mondializzazione” del conflitto, in quanto a fianco del Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord, della Francia e della Germania combattono anche le truppe provenienti dalle colonie di codesti paesi.
Mentre le cause prossime possono essere sinteticamente riunite in tre categorie:
A) mire espansionistiche, cioè quella tendenza di alcuni paesi ad ampliare il proprio territorio, come la Germania, la quale puntava verso est; o come gli imperi russo ed austro-ungarico, i quali puntavano ad ampliarli verso i Balcani in quanto l’Impero Ottomano era in crisi; come la Serbia, la quale voleva creare proprio uno stato slavo nei Balcani stessi;
B) rivendicazioni territoriali, cioè la convinzione di alcuni paesi di aver diritto a determinati territori, come la Francia, che voleva recuperare dalla Germania l’Alsazia e la Lorena perse nella guerra franco-prussiana del 1870, o dell’Italia, che rivendicava il possesso del Trentino Alto Adige, del Friuli e della Venezia Giulia (le c.d. “terre irredente”, cioè non salvate, non liberate), ancora parte dell’Impero Austro-Ungarico;
C) desiderio di indipendenza, cioè il caso di diverse nazioni sottoposte all’Impero Austro-Ungarico (cechi, ungheresi, bosniaci, croati, italiani).
A tutto codesto contesto si univa la volontà del Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord al fine di mantenere il suo ruolo dominante, in particolare sui mari e nei commerci.
Ma dopo l’analisi di tutte queste cause, la Prima Guerra Mondiale scoppiò invece per una causa che si può definire apparente, il c.d. “casus belli”.  Infatti il 28 giugno 1914 il serbo Gavrilo Princip (1894-1918) aveva assassinato, in quel di Sarajevo, l'arciduca ereditario Francesco Ferdinando di Absburgo Lorena (1863-1914) con la consorte, quindi l’Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia, anche se, fu ovvio, che il Princip aveva agito da solo e non a nome della Serbia.
A questa dichiarazione di guerra  seguì, ed in rapida sequenza, l’ingresso nel conflitto della Russia (protettrice della Serbia), quindi della Germania [alleata con l’Austria (anche se il trattato della Triplice Alleanza era difensivo e non offensivo)], della Francia e del Regno Unito e di tutte le altre potenze.


mercoledì 25 marzo 2015

Genesi del Regno di Savoia. Conferenza del Circolo REX



SALA UNO

nel cortile della Casa Salesiana San Giovanni Bosco

con ingresso in Via Marsala 42

(vicino Stazione Termini)


INGRESSO: 10,15

ORA INIZIO CONFERENZA: 10,30


29 marzo 2015

Dott. Arch. Paolo CAMPANELLI

“Genesi del Regno di Savoia

martedì 24 marzo 2015

PELLEGRINAGGIO ALL'ABBAZIA DI HAUTECOMBE PER IL 32° ANNIVERSARIO DEL RE UMBERTO II




Sabato 21 marzo, presso l'Abbazia di Hautecombe, si è svolto il tradizionale pellegrinaggio nel ricordo del 32mo anniversario della scomparsa del re Umberto II di Savoia, unito nel ricordo della regina Marie Josè. 

L'antichissima Abbazia cistercense di Hautecombe (Savoia, Rhône-Alps, Francia), vicino a Aix-les-Bains, è situata sul grande lago naturale del Bourget che, accompagna i visitatore in uno scenario molto bello lungo tutto l'itinerario, provenendo dalla città di Chambery. 

Alla manifestazione sono intervenuti circa mille persone, giunti da ogni parte d'Italia e dall'estero per partecipare alla messa di commemorazione celebrata dal dall'Arcivescovo di Chambery, sia in lingua italiana che francese.

[...]

martedì 17 marzo 2015

Ma io pensavo più al paese che alla Corona…

Una delle frasi contenute nella settima parte dell'intervista di Nino Bolla a Re Umberto II nell'ultimo aggiornamento del sito a lui dedicato, www.reumberto.it

Nell'anniversario della proclamazione del Regno d'Italia ed in quello doloroso della scomparsa in esilio del Sovrano. 

Buona lettura. 
Viva il Re!

domenica 15 marzo 2015

Il presidente dell'Unione Monarchica Italiana scrive al Corriere del Mezzogiorno

Il Presidente dell'UMI è l'Avvocato Alessandro Maria Sacchi e non Andrea come riportato dal "Corriere del Mezzogiorno", del 14 Marzo 2015, pagina 8.




Ringraziamo il Presidente provinciale dell'UMI di Avellino, Avvocato Augusto Genovese, per averci trasmesso il documento.

Comunicato Stampa di Italia Reale - Stella e Corona

Italia Reale - Stella e Corona esprime la propria indignazione nei confronti della Giunta Comunale di Napoli che ha eliminato dalla toponomastica cittadina, il nome del Re Vittorio Emanuele III che faceva parte, tra l'altro, di un contesto storico ambientale, ormai tradizionale.

Tale decisione non può non  inquadrarsi negli atteggiamenti di una certa "razza padrona" che si è impossessata della politica italiana, credendosi onnipotente ed inamovibile.

Tale scelta, approvata proprio nel  centenario dell'entrata in guerra dell'Italia, nel primo conflitto mondiale, non tiene conto della figura del  "Re soldato" , che portò all'unità della nostra Patria, assicurando all'Italia un legame, tuttora necessario, all'occidente più progredito ed allontanarla dalle varie "leghe arabe" che si vedono ormai all'orizzonte.

Si tratta di un atteggiamento meschino di una sorta di politici che, incapaci di risolvere i problemi del momento, (molto spesso creati da loro stessi, come la povertà diffusa, la disoccupazione, la disperazione economica, il dramma delle morti sul  lavoro, una nuova pesante emigrazione) se la prendono, con un livore fuori luogo, con il passato, per non lasciare traccia di ricordi migliori del loro malgoverno.

sabato 14 marzo 2015

Santa Messa a Napoli in suffragio di RE UMBERTO II

Cari amici, partecipare a questa Santa Messa mettendo da parte ogni divisione, ogni critica, ogni distinguo, è necessario, per dare risposta adeguata all'infamia che si sta per compiere a Napoli con l'abolizione della via intitolata alla Maestà del Re Vittorio Emanuele III,
Il Re soldato sotto la cui Augusta guida la Nazione completò la sua unità quasi 100 anni fa.
Accorrete numerosi!



Abolita a Napoli Via Vittorio Emanuele III


Ce ne dà notizia un articolo comparso sul sito Napoli today, http://www.napolitoday.it/cronaca/abolita-via-vittorio-emanuele-iii.html, articolo che non riportiamo perché scritto con i soliti triti luoghi comuni dei cialtroni neoborbonici, (diversa cosa dai borbonici che in maniera onorevole e, soprattutto, educata esprimono il loro attaccamento alla Casa Reale di Borbone).

"Il sindaco Luigi de Magistris in Commissione Toponomastica del Comune di Napoli, ha dato il via libera nella seduta della Commissione in data 9 marzo, di ratificare l'abolizione del toponimo della strada intitolato a Vittorio Emanuele III ".

De Magistris, ex giudice, sotto inchiesta per uso disinvolto dei mezzi che la legge gli metteva a disposizione, già decaduto per la legge Severino ma reintegrato grazie alla follie della legge italiana che si guarda bene dall'essere uguale per tutti ma è interpretabile a seconda dell'appartenenza ad uno schieramento politico o all'altro, compie così l'unico gesto importante della sua legislatura e fa una  autentica, disgustosa porcheria.
Porcheria ancora più grossa perché commessa nel 100° anniversario che vide il Re Soldato compiere l'Unità d'Italia insieme al suo popolo.

Invitiamo i nostri lettori a tempestare di post la pagina facebook di quel personaggio che immeritatamente siede sullo scranno che fu di Achille Lauro.

VIVA IL RE!



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I Savoia in cartolina




È stata inaugurata oggi a Palazzo Lascaris, e resterà esposta fino al 30 aprile; la mostra “Mille cartoline per un Regno”. Promossa e organizzata dal Consiglio regionale del Piemonte e dal Gruppo “Amici del Passato” di Volpiano, è una rassegna tematica di Casa Savoia, attraverso le cartoline postali iconografiche del Regno d’Italia, dal 1896 al 1946.
I pezzi esposti spaziano dalle prefilateliche alle prime affrancature facenti parte dell’archivio storico della casa museo “Casale Armanda” di Robella d’Asti. La collezione fu avviata, agli inizi del Novecento, da Giacinto Rolfo, stimato viticoltore di Robella, che per i suoi meriti ottenne la facoltà di poter usare per la sua azienda lo stemma della Real Casa. Da allora cominciò ad appassionarsi alla raccolta di cartoline dei Savoia. In mostra è rappresentato in particolare il periodo d’oro della cartolina sabauda, a partire dalle nozze del principe Vittorio Emanuele con la principessa Elena del Montenegro. In esposizione anche le lettere, inedite e autografate, di duchi e re di Savoia, ma anche di personaggi come Giosuè Carducci e Giuseppe Garibaldi.
“È con vivo piacere che ospitiamo a Palazzo Lascaris questa mostra, inserita fra le iniziative intraprese dal Consiglio regionale per la commemorazione del centenario della Prima Guerra Mondiale”, ha affermato la consigliera Silvana Accossato.
Ospite d’onore della presentazione è stato Martino d’Austria Este (successore al Trono d’Austria e Ungheria), mentre lo studioso Tomaso Ricardi di Netro e il curatore della mostra Pierangelo Calvo hanno ricordato la rilevanza storica della cartolina quale strumento di propaganda dei reali.



giovedì 12 marzo 2015

Riforme, i Monarchici a Mattarella e Renzi: la Repubblica non è un Totem

Tra l'Italicum e il "nuovo" Senato, c'è chi vorrebbe abolire la Repubblica, più precisamente l'articolo 139. La proposta sta in una lettera dei Monarchici indirizzata ai vertici delle istituzioni per chiedere di cancellare dalla Costituzione l’articolo che non rende “revisionabile” la forma repubblicana.
Il presidente dell’Unione Monarchica Italiana, l’avvocato Alessandro Sacchi, si è rivolto agli uomini delle Istituzioni con una lettera nella quale ha chiesto, nell’ambito delle riforme costituzionali, l’abrogazione dell’Articolo 139 che stabilisce la forma repubblicana come immutabile nei secoli. Secondo l’analisi di Sacchi “quella sancita dall’articolo 139 è una norma antidemocratica che mina gravemente la sovranità nazione, in aperto contrasto con l’Articolo 1 in cui la sovranità viene affidata al popolo”.

Per questo i monarchici si attendono dalla politica “un segnale che porti l’Italia fuori dall’ambigua situazione nella quale i Padri costituenti, per ragioni storiche ormai completamente superate, hanno posto il Paese. I popoli hanno il diritto di scegliersi le Istituzioni da cui essere governati”, afferma il presidente dell’Unione Monarchica Italiana. 

La sollecitazione è contenuta in una lettera indirizzata, tra gli altri, al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al presidente e ai vicepresidenti del Senato, al presidente e ai vicepresidenti della Camera dei Deputati, al presidente del Consiglio dei ministri, al ministro delle Riforme e ai componenti delle Commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato.Ecco cosa recita l’articolo 139 della Costituzione Italiana:La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”.

mercoledì 11 marzo 2015

Re Umberto II di Savoia, l'ultimo Re d'Italia, 32° della morte. San Cetteo lo ricorda

Il 18 MARZO 1983, alle 15:45, presso l'Ospedale Cantonale di Ginevra, "esalava l'ultimo respiro Sua Maestà il Re Umberto II di Savoia, l'ultimo Re d'Italia". A ricordarlo è Camillo Savini.

“Morì pronunciando Italia” aggiunge il Presidente provinciale Rag. Ten. “Quella stessa Italia che gli fu preclusa nel lontano 1946 e per tutta la vita, a seguito del referendum istituzionale da lui stesso fortemente voluto”.
Savini, rinvangando la storia afferma “il risultato fu talmente dubbio (a causa di indiscutibili brogli elettorali), che la Corte di Cassazione, preposta a proclamare ufficialmente il vincitore del referendum, il 10 giugno dichiarò ufficiosamente la notizia della vittoria della repubblica, riservandosi però la dichiarazione ufficiale il 18 giugno, dopo il riscontro dei voti definitivi, cosa però che non avvenne mai”.
Nell'analisi monarchica di Savini si legge “nella notte tra il 12 e il 13 giugno il Governo, con quello che lo stesso Re Umberto definì 'un gesto rivoluzionario', stabilì illegalmente, senza attendere la pronuncia della Cassazione, che i poteri del Re erano ormai passati al Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, quale capo provvisorio dello Stato.”
Il 13 giugno 1946 Umberto II, si recò in Portogallo, come Carlo Alberto. Il 1° gennaio 1948 seguì l'articolo della Costituzione, “agli ex Re di Casa Savoia, alle loro consorti e ai loro discendenti maschi sono vietati l'ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale”. Per lui durò 37 anni.
Nel 32.mo anniversario della morte sarà celebrata, dall'Abate Monsignor Giuseppe Natoli, una Santa Messa in memoria presso la Cattedrale di San Cetteo in Pescara il giorno 21 marzo alle ore 18:00.

CIRCOLO DI CULTURA E DI EDUCAZIONE POLITICA “REX”

LXVII CICLO DI CONFERENZE 2014-2015, II PARTE


SALA UNO
nel cortile della Casa Salesiana San Giovanni Bosco
con ingresso in Via Marsala 42
(vicino Stazione Termini)

INGRESSO: 10,15

ORA INIZIO CONFERENZA: 10,30



15 marzo 2015

Prof. Avv. Francesco CAROLEO GRIMALDI

Giustizia oggi: proposte governative e necessità effettive”

CATANZARO TRA MONARCHIA E REPUBBLICA, LA TESTIMONIANZA DIRETTA DI ANTONIO CARNOVALE AL CIRCOLO PLACANICA

Matilde Altomare

Un excursus storico e di esperienze vissute quello del Dott. Antonio Carnovale, socio e amico del Circolo Placanica di Catanzaro. L’incontro si è svolto mercoledì 21 gennaio nella sede del Circolo e il dott. Carnovale ha messo ha disposizione testimonianze e materiale sulle vicende del padre e dello zio materno, il Marchese Falcone Lucifero, ovvero Ministro della Real Casa. Periodo di transizione quello in cui si passa dalla monarchia alla repubblica, dal fascismo alla democrazia. Anni bui, che testimoniano una realtà controversa, con degradi sociali, culturali ed economici. Il dott. Carnovale medico, ortopedico, figlio del Podestà di Catanzaro e nipote del Marchese Falcone Lucifero (nella foto con Re Umberto), ha illustrato la vita del padre e dello zio, con vasto materiale scritto e fotografico. Tra i suoi racconti: la scarsità di viveri che incombe nel periodo della seconda guerra mondiale e le intricate vicissitudini che segnano profondamente la vita del padre. Momenti di panico, di sconforto, ma anche di coraggio per aver portato a termine il proprio dovere, sempre con il costante appoggio dei familiari. Emblematica l’immagine del padre, che torna a casa coi vestiti stracciati e sporchi di sabbia, dopo aver fatto il suo dovere come Podestà e come medico. I danni, durante i bombardamenti, furono molto gravi. Fu colpito il Duomo, la piazza del Rosario, Via XX Settembre. Le persone vissero in condizioni di miseria e di precarietà, per la mancanza di viveri e di risorse economiche. Anche il Marchese Falcone Lucifero, lo zio del dott. Carnovale, visse in quegli anni. Fu nominato prefetto e ministro dell’agricoltura dal primo governo Badoglio. Il Marchese fu il principale esponente delle forze politiche antifasciste e organizzò la campagna in favore della monarchia, in occasione del referendum istituzionale del 2 giugno 1946. Una serata ricca di partecipazione e di coinvolgimento anche da parte del pubblico, che ascoltava con particolare interesse le vicende narrate dal dott. Carnovale. Al termine della serata è intervenuto il Presidente del Circolo, Venturino Lazzaro, che ha sottolineato l’importanza delle testimonianze storiche e dei documenti originali che attestano l’appartenenza all’identità catanzarese.

sabato 7 marzo 2015

Re Umberto II, nella trasmissione "Il Tempo e la Storia"

Per chi lo avesse perso: il link della Rai con la trasmissione sul nostro Sovrano di cui ricorre in questi giorni il triste anniversario della scomparsa in Esilio.
Finalmente una trasmissione degna!



32 anni fa moriva il Re

di Mauro Guidi
Non è la trama di un video gioco, è la storia della nostra Italia !


L’Italia,  membro della UE, dovrebbe  ricordare con maggiore slancio ai nostri giovani che transitano, per motivi di studio, lavoro o svago, in nazioni con ordinamento monarchico ( Gran Bretagna,  Spagna, Belgio,  Lussemburgo,  Paesi Bassi,  Svezia Danimarca e  Norvegia ) che anch’essa ha avuto per lungo tempo un analogo trascorso. Assistendo per esempio a Londra al rituale del ‘cambio della guardia’ presso  Buckingham Palace ( la residenza ufficiale della Regina ) essendo una notevole attrazione turistica, ho potuto verificare la presenza anche di tanti giovani italiani . Mi auguro che conoscano i trascorsi monarchici della propria nazione . Intanto è bene chiarire che queste moderne  monarchie sono dette parlamentari o costituzionali in quanto i poteri del sovrano sono limitati dalla Costituzione e dalle Leggi. Le leggi vengono votate da un'assemblea, il Parlamento, che a sua volta è eletto dal popolo, mentre il governo dello Stato è esercitato collegialmente da uomini politici scelti sulla base dei risultati delle elezioni popolari.. Praticamente queste istituzioni rappresentano ciò che potevprovocare la naturale evoluzione storica  della nostra monarchia . Cosa che non è avvenuta in seguito alla democratica scelta che il popolo italiano ha fatto il 2 giugno 1946 con il famoso referendum monarchia/repubblica .
[...]


mercoledì 4 marzo 2015

L’altra faccia del Re di maggio

Dalla congiura contro Mussolini all’esilio portoghese Una vita segnata da monarchia in declino e mondanità

di Francesco Perfetti

Nei primi mesi del 1940, alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia, Vittorio Emanuele III tentò di sostituire Mussolini: un 25 luglio anticipato di tre anni. Di tale proposito c’è traccia nel diario di Galeazzo Ciano. Il genero del duce scrive il 14 marzo 1940: «Al Golf mi avvicina il Conte Acquarone, Ministro della Real Casa. Parla apertamente della situazione in termini preoccupati, e assicura che anche il Re è al corrente del disagio che perturba il Paese. A suo dire, Sua Maestà sente che da un momento all’altro potrebbe presentarsi per lui la necessità di intervenire per dare una diversa piega alle cose; è pronto a farlo ed anche con la più netta energia. Acquarone ripete che il Re ha verso di me "più che benevolenza, un vero e proprio affetto e molta fiducia". Acquarone - non so se d’iniziativa personale o d’ordine - voleva portare più oltre il discorso, ma io mi sono tenuto sulle generali».
Pochi giorni dopo Ciano incontrò Umberto di Savoia come risulta da una annotazione del 28 marzo: «Lungo colloquio ieri col Principe di Piemonte. Mentre di solito è prudente e riservato, pur senza troppo esporsi, non ha nascosto la sua preoccupazione per l’orientamento sempre più germanofilo della nostra politica, preoccupazione aggravata dalla sua conoscenza delle nostre condizioni militari. Nega che dal settembre a oggi siano stati realizzati effettivi progressi nell’armamento: il materiale è scarso e lo spirito è depresso. Parla con la più seria preoccupazione della milizia, che non rappresenta l’anima volontaristica dell’esercito, ma costituisce un nucleo di malcontento e di indisciplina».
Ulteriori riscontri di questa abortita congiura si trovano in una intervista di Umberto II, ormai in esilio, del 1963 e in una nota, risalente all’aprile 1940, consegnata da monsignor Maglione a monsignor Tardini nella quale si faceva riferimento a questi incontri e si parlava di un Ciano «in predicato di successione a Mussolini». La mossa del Re che mirava a far convocare il Gran Consiglio del fascismo e sostituire Mussolini con un elemento del fascismo moderato, legato alla Corona, non ebbe esiti concreti perché Ciano, pur ormai divenuto antitedesco, non si sentì di approfittare dell’occasione.
La vicenda è raccontata nel documentario dedicato a Umberto II, il Re di maggio realizzato da Rai Storia per il ciclo «Il tempo e la storia» condotto da Massimo Bernardini. Al di là del fatto che la congiura non venne realizzata, l’episodio è significativo perché conferma il «formalismo» di Vittorio Emanuele, il quale, pur non sopportando Mussolini, cercava, già all’epoca, una sponda «costituzionale» per farlo fuori: la convocazione del Gran Consiglio. C’è una sua battuta rivelatrice del carattere del Re: quando nel 1924 Amendola gli espresse le sue preoccupazioni per il futuro, questi lo zittì dicendo: «Io non sento e non vedo. Le mie orecchie e i miei occhi sono il Senato e la Camera». Ma l’episodio è illuminante anche su un altro punto, sul rapporto fra Vittorio Emanuele e Umberto, tenuto lontano dalla politica in base al principio che «i Savoia regnano una alla volta» e utilizzato, in questo caso, come messaggero e portavoce della volontà del padre.
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