
Egregio Beppe et Italians tutti, ho seguito una trasmissione RAI, forse il
canale 3, che raccontava particolari dei primi disgraziati giorni del giugno
1946 che determinarono il triste destino della Nazione ancora fino ai giorni
nostri. Il conduttore citò dei tentativi che Umberto avrebbe fatto per non
riconoscere il risultato del colpo di stato del ministro socialista in carica,
un certo Romita, mi pare, diciamo del referendum. Ciò e’ falso. Nonostante i
motivati dubbi, ad iniziare dal fatto che non si seppe mai il numero dei
votanti, delle schede nulle e bianche, etc – il tutto, perciò andava annullato
– e che le schede furono distrutte pochi giorni dopo il crimine, dal momento
stesso che il governo di allora decise per il referendum, settimane prima, Umberto
aveva gia’ avviata la dolorosa partenza lontano dalla Patria. Perche’ una
monarchia non regna con le percentuali di una riunione di condominio – con
tutto il rispetto – un Re non regna su un Popolo al 50% + uno. La monarchia
Savoia necessitava di un “plebiscito”, dell’assoluto consenso del Popolo, cosa
nella quale non si poteva neanche lontanamente sperare in quel momento
psicologico unico di lutti freschi, di macerie attorno e col Partito Comunista
armato al massimo della sua potenza in Italia. Umberto II attese con i bagagli già
pronti, a De Gasperi che sollecitava la partenza – strano… forse costui tremava
alla sola idea di una sicura “guerra civile” da lui e gli altri compari
provocata, rispose che non si sarebbe mosso fino alla proclamazione “ufficiale”
da parte della Cassazione. Cosa assolutamente corretta. Quindi partì, lasciando
al Popolo il proprio messaggio dovuto, di una nobiltà unica e col quale, anche,
scioglieva le forze armate dal giuramento al Re. Se parte del Popolo esultò per
la vittoria sui fautori soli del nostro sacro Risorgimento, l’altra pianse
amaramente. Pianto del Popolo del silenzio, cioè noi, gli eredi di allora, fino
ad oggi.
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