Il ricordo di nonno Emilio - Andò a lavorare in Canada e
mio padre nacque in mezzo alla foresta - Nella mensa degli operai aveva appeso
il Tricolore e le foto dei reali
Emilio Del Bel Belluz
in Cari Nonni vi scrivo da
Libero di mercoledì10 luglio 2019
La foto di nonno
Emilio conservata dal nipote che porta lo stesso nome e cognome
Mio nonno Emilio Del Bel Belluz era
nato nel 1896, ad Azzano Decimo, un paese del Friuli. La sua famiglia aveva
sempre lavorato la terra, un terreno duro che per dissodarlo con il grezzo
aratro a disposizione, bisognava usare una forza sovrumana. Abitavano in una
grande casa colonica, a Chions, assieme ai fratelli, le cognate e i nipoti. L’abitazione
esiste ancora ed è diventata una casa che ospita chi vive nel bisogno. Vedendola,
pare che il tempo si sia fermato, la fontanella butta da sempre un’acqua buona
e ristoratrice.
Da quel posto, mio nonno Emilio, dopo
aver combattuto nella guerra di Libia, partiva per il Canada. Una mattina di maggio
del 1919, lasciava la sua amata Italia con la moglie Genoveffa, la meta era il
Canada. Quella decisione era maturata dal poco lavoro e dalla fame che in
Italia si facevano sentire, dopo la fine della Grande Guerra. Il viaggio fu
molto tormentato, specialmente, per mia nonna che non era mai salita su una
nave; per il nonno Emilio fu diverso, si era temprato alla sofferenza durante
la traversata per raggiungere la Libia.
Arrivarono a destinazione, e mio nonno
si mise a lavorare assieme a una squadra d’italiani nel territorio chiamato,
Sioux Lookout Il lavoro consisteva nel costruire una ferrovia che doveva
attraversare i territori che un giorno erano appartenuti agli indiani. Il
giovane Emilio era diventato,con il tempo, caposquadra. Doveva dirigere i lavori
di disboscamento e di costruzione della ferrovia. Mia nonna, nel frattempo,
doveva cucinare i pasti per gli operai. C’era vicino alle baracche un ruscello,
molto pescoso e la nonna ogni tanto andava con un retino a pescare, e con il
pesce che prendeva, cucinava i pasti per tutti. I posti erano incantevoli, in
quel paradiso vivevano in pace gli indiani, cacciando e pescando.
Natura incontaminata
La vita di quelle popolazioni si poteva
ancora sentire, spesso nella terra che era rimossa, si trovavano degli oggetti
che gli indiani avevano utilizzato. La natura era incontaminata, gli alberi che
erano abbattuti avevano una loro storia. Il lavoro era particolarmente duro, ma
non c’erano altre scelte. La felicità del loro matrimonio, qualche tempo dopo,
fu allietata dalla nascita dl mio padre Elso, che venne alla luce nel mezzo
della foresta, in una baracca dove vivevano altre donne. Fra il 22 aprile del
1922. Elso non aveva neppure un documento che certificasse la sua nascita, e
questo particolare lo condizionò per molti anni della sua vita.
Mio padre, prima della sua morte, mi
mostrò un grande baule di legno, con dei lucchetti, e aprendolo trovammo alcune
foto che mio nonno aveva portato in Canada nel suo viaggio. Raffiguravano Re
Vittorio Emanuele III e la Regina Elena di Savoia. Le due foto, incorniciate
alla meglio, erano state esposte da mio nonno nel locale adibito a mensa, dove
mangiavano gli operai, la sera, di ritorno dal lavoro. Il nonno Emilio, non
aveva mai dimenticato cosa volesse dire essere italiano, anche in terra
straniera.
Nel baule c’era anche la bandiera con
lo stemma sabaudo, perché non voleva mai dimenticare che per quella bandiera
lui avevacombattuto In Libia e i suoi fratelli nella Grande Guerra e tutti
miracolosamente erano tornati a casa.
Il cassetto
Quel giorno mio padre davanti a quel
baule aprì commosso il cassetto dei ricordi. Mi raccontò che era ritornato in
Italia nel 1930, all’età di otto anni. Quando viveva in Canada, il nonno Emilio
gli insegnò a scrivere e a leggere. Il nonno aveva una profonda nostalgia della
sua terra e nelle rare lettere che scriveva a casa, la manifestava. Mi raccontava,
inoltre, che la domenica, non potendo andare alla messa, con la moglie e il
figlio si mettevano a pregare davanti all’immagine della Madonna dei Miracoli
di Motta di Livenza, comprata prima di partire.
Quel giorno mio padre mi lasciò il
vecchio baule con tutto quello che conteneva, raccomandandomi di conservarlo
gelosamente. Ora ho esposto le foto dei Sovrani d’Italia e la bandiera sabauda
nella mia biblioteca. Il vecchio baule è diventato il custode della memoria
storica della mia famiglia. Si notano ancora i segni di quel tempo, e ogni
tanto mi pare d’udire le voci di quel popolo che fu cacciato dalla terra dove
viveva pacificamente. Mio nonno Emilio morì molto giovane, a soli quarant’anni,
per una peritonite e la nonna lo raggiunse trentatré anni dopo, nel 1969.
I PADRONI DI QUELLE TERRE ERANO I NATIVI D'AMERICA CACCIATI O AMMAZZATI DAI CRISTIAMI LADRI BIANCHI!
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