L'occasione buona per dire come la pensiamo circa il referendum sulla riforma costituzionale. Ci torneremo su.
Nella
biografia del più grande romanziere
della lingua italiana dell’800, Alessandro Manzoni, si legge che lo scrittore
fosse profondamente insoddisfatto della sua opera dal punto di vista
linguistico. Decise perciò di trasferirsi per un certo periodo a Firenze, ove
intrattenne rapporti con i migliori linguisti dell’epoca, per tradurre il suo
romanzo, ricco di espressioni milanesi, in fiorentino, da cui la famosa frase
“risciacquare i panni in Arno”, di modo che fosse scritto in una lingua più
vicina a quella parlata e potesse essere compreso da un pubblico il più vasto
possibile senza distinzione di ceto e di livello di istruzione.
Nel 1947
l’Assemblea costituente, dopo aver approvato il testo della Costituzione
repubblicana, affidò ad un gruppo di esperti letterati il compito di
purificarne il testo dagli errori sintattici, dai termini burocratici e dalla
verbosità novecentesca, in modo da avere una Carta fondamentale dei diritti e
dei doveri chiara e comprensibile a tutti, senza bisogno di interpretazioni di
tecnici del cavillo.
Queste due
importanti lezioni sembrano essere sfuggite al terzetto responsabile della
stesura della cosiddetta riforma costituzionale che tra qualche mese sarà
sottoposta a referendum confermativo.
Ogni
cittadino sano di mente ha il diritto-dovere di "schierarsi" sulle
regole fondamentali della repubblica e dare una lezione di senso civico e di
coraggio a quei conigli che siedono nei sacri palazzi che, pur di salvare lo
scranno, i privilegi, e le prebende, hanno votato una pessima riforma.
Il trio dei
toscani (ma guarda un po’ che scherzo della sorte!) Renzi, Boschi, Verdini, che
avrebbe dovuto possedere per dono di natura la capacità di esprimersi in
italiano corretto è inciampato in errori sintattici che vengono
irrimediabilmente marcati con la matita blu e in ragionamenti contorti da
leguleio di provincia.
Possibile?
Purtroppo con l’aggravante che deputati e senatori, molti dei quali vantano,
almeno sulla base dei loro curriculum, titoli accademici di tutto rispetto,
hanno svolto un ruolo subalterno e servile, tradendo lo spirito della
Costituzione della repubblica parlamentare senza il minimo sussulto di dignità.
Se affermo
che la riforma è scritta male, non intendo limitarmi ad un raffronto con quella
elaborata 70 anni fa dai padri costituenti, ma sottolineare che è scritta
proprio male come non farebbe nemmeno un alunno di scuola media.
C'è un
refuso, inammissibile per un giornalino parrocchiale ma che sancito nella Carta
costituzionale fa accapponare la pelle. Leggere per credere, addirittura nel
primo articolo dedicato al Senato! Roba forte da rimanerne sbigottiti:
“Il Senato
della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni
di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Concorre
all'esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità
stabiliti dalla Costituzione, nonché all'esercizio delle funzioni di raccordo
tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l'Unione europea”.
Gli scrivani
fiorentini, meglio dire gli scribacchini, con il loro linguaggio sciatto,
sintomo di un malessere inconsapevole, hanno scritto per due volte nello stesso
comma ben 14 parole di fila, a distanza di due righe: esercita funzioni di
raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica.
Un altro
esempio di contorsionismo verbale, intellettuale e politico? Basta confrontare
il vecchio testo dell’art. 70 sulla potestà legislativa di 9 parole (“La
funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”) con
quello, redatto con la stessa puntigliosità di un regolamento condominiale,
imposto dal governo ad un parlamento di imbelli che lo ha approvato quattro
volte.
Il nuovo art.
70 è di ben 440 parole e mi scuso in anticipo con il lettore se gli infliggo la
pena di leggerlo perché si convinca che così com’è la riforma va buttata al
macero, scrivendo NO sulla scheda del referendum. Viceversa se onestamente
dichiara di afferrarne il senso e valutarne per intero le aberranti conseguenze
applicative della variegata casistica di formazione delle leggi, senza servirsi
della traduzione di un esperto in arzigogoli e pandette mi converto al SI.
Questo il
testo dell’art. 70 sottoposto ora alla conferma popolare:
«Art. 70. –
La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le
leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e
soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali
concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le
altre forme di consultazione di cui all'articolo 71, per le leggi che
determinano l'ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo,
le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le
disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che
stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione
dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche
dell'Unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di
incompatibilità con l'ufficio di senatore di cui all'articolo 65, primo comma,
e per le leggi di cui agli articoli:
57, sesto
comma; 80, secondo periodo; 114, terzo comma; 116, terzo comma; 117, quinto e
nono comma; 119, sesto comma; 120, secondo comma; 122, primo comma; e 132,
secondo comma.
Le stesse
leggi, ciascuna con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o
derogate solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente
comma.
Le altre
leggi sono approvate dalla Camera dei deputati.
Ogni disegno
di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al
Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei
suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il
Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo,
sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il
Senato della Repubblica non disponga di procedere all'esame o sia inutilmente
decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia
pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata.
L'esame del
Senato della Repubblica per le leggi che danno attuazione all'articolo 117,
quarto comma, è disposto nel termine di dieci giorni dalla data di
trasmissione.
Per i
medesimi disegni di legge, la Camera dei deputati può non conformarsi alle
modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei
suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza
assoluta dei propri componenti.
I disegni di
legge di cui all'articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei
deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare
proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione.
I Presidenti
delle Camere decidono, d'intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza,
sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti.
Il Senato
della Repubblica può, secondo quanto previsto dal proprio regolamento, svolgere
attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti
all'esame della Camera dei deputati».
I presidenti
delle Camere che qui vengono chiamati ad un ruolo taumaturgico non hanno nulla
da dire per aver soppresso con ogni tipo di forzatura ed abuso di tagliole, di
ghigliottine e di canguri la voce
dell’opposizione ed avallato un simile obbrobrio? E’ gravissimo che a un
Parlamento eletto con una legge giudicata incostituzionale dalla Corte Costituzionale
sia stato concesso di sconvolgere il patto che sorregge da 70 anni la vita
politica e sociale del nostro paese per di più non su sua iniziativa, come
vorrebbe il buon senso quando si tratta di scrivere le regole, ma su diktat del
primo ministro. Le buone leggi si scrivono quando la politica non fa tutto da
sola.
Il governo ha
ripetuto all’infinito che il Paese è arretrato, impantanato, senza crescita,
con i parametri economici negativi ed il debito pubblico galoppante (al 30
giugno record di 2.248 miliardi di euro con un + 70 miliardi rispetto al mese
precedente) perché il sistema è fondato sul bicameralismo. Mai inganno più
colossale è stato ordito contro la credulità popolare. Il partito democratico,
da Renzi in giù attraverso la Boschi, Serracchiani, Verini, Zanda, Rosato,
Finocchiaro ecc. senza temere il ridicolo, è arrivato a promettere per bocca
dell’ineffabile ministra Mariaele che con il nuovo articolo 70 si aumenterà il
PIL e si potrà sconfiggere il terrorismo. La Boschi non solo dimostra di aver
perso la consapevolezza dei problemi che ha di fronte ma addossando ad una
questione di tecnica parlamentare i guai del paese e del mondo offende
l’intelligenza di un popolo intero.
Non se ne può
più di sentire ripetere la cantilena che distorce e falsifica la realtà, del
“cambiamo la costituzione perché l'Italia ha bisogno di decisioni rapide e non
è tollerabile avere due Camere legislative che fanno le stesse cose mentre il
parlamento dovrebbe legiferare più velocemente” come se fosse una fabbrica di
bulloni la cui produttività si misura in base ai pezzi prodotti. Non dicono che
i provvedimenti presi più velocemente sono stati anche i peggiori: il decreto
Fornero fu convertito in quindici giorni lasciando sul lastrico centinaia di
migliaia di persone; le norme ad personam di Berlusconi furono approvate come
fulmini a ciel sereno, salvo poi vederseli bocciare dalla Corte Costituzionale;
il Porcellum fu promulgato in due mesi, ecc.
I nuovi
costituenti da strapazzo hanno scambiato la quantità con la qualità. A loro non
importa che le leggi siano ben fatte, quello che interessa è che si facciano
secondo i voleri del boss, come è accaduto per la legge elettorale. Dicevano
che l'italicum era la migliore legge elettorale possibile perché avrebbe
permesso di conoscere il vincitore delle elezioni appena fatto lo spoglio.
Renzi ha
ripetuto infinite volte che il telegiornale a spoglio ultimato deve annunciare
al popolo chi ha vinto, come se fosse un’olimpiade, disorientando il popolo per
concentrarne l’attenzione solo sulla sera delle elezioni, più che sull’arte del
buon governo, sul suo progetto culturale,
di welfare, di riduzione della forbice di povertà, di crescita. Ora però
si sono accorti, con in testa il
peggiore presidente della repubblica, e perciò rieletto, che con quella legge
potrebbe vincere il M5S ed allora non va più bene. Bisogna cambiarla perché il
sistema è diventato tripolare. Non deve vincere il migliore, ma solo quello che
fa comodo.
Ma la legge
elettorale non fu approvata con il voto di fiducia? Ed allora il governo e i
parlamentari ne traggano le conclusioni: se la legge non va più bene il primo
si dimetta e gli altri abbiano la decenza di tacere.
Le riforme
devono valere nel tempo e non rispondere all'esigenza politica del momento di
questo o quel partito, debbono migliorare la qualità della vita dei cittadini,
allargare a loro favore il campo dei diritti, alleviare la povertà, ridurre le
enormi differenze socio economiche. Se non sono ispirate a questi obiettivi si
tratta di truffa e di propaganda di regime.
Andando al
sodo il vero intento del premier e della sua musa ispiratrice è chiaramente
quello di un premierato assoluto che abbia in pugno non solo l’esecutivo ma
anche il potere legislativo con una Camera fatta per il 70% di deputati
nominati, scelti tra i fedelissimi e con il Senato ridotto a un terzo dei
componenti (da 315 a 100) nominati dai consigli regionali, specie di
dopolavoro, seppur dotato di orpelli e immunità e che riduca a un ruolo
subalterno gli organi di garanzia: Presidente della Repubblica, Corte
Costituzionale, Csm.
L’eccessivo
ampliamento dei poteri del Presidente del Consiglio che è anche segretario del
PD, è il risultato della combinazione di questa riforma costituzionale con la
nuova legge elettorale che assegna un abnorme premio di maggioranza al primo
partito (fosse anche portatore di solo il 25% dei consensi al primo turno).
In nessun
paese democratico il primo ministro oserebbe imporre il cambiamento in un sol
colpo di ben 49 articoli della costituzione, anziché attuarne sul serio i
principi tutt’ora negati a milioni di italiani e compensare con le buone
pratiche politiche gli eventuali difetti del sistema. Ad esempio chi ha mai
sentito Renzi, la Boschi o i loro coristi, parlare dell’attuazione dell’art. 36: “il lavoratore
ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo
lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza
libera e dignitosa”.?
C’è da
provare un senso di pena per la modestia intellettuale di chi adduce come
motivo principale della riforma la riduzione dei costi della politica. Lo si fa
per impressionare a buon mercato un’opinione pubblica disorientata dalla crisi,
scadendo in un populismo sguaiato e mendace, dimenticando gli sprechi
quotidiani, il voluto fallimento della spending review, per non toccare gli
interessi consolidati delle banche, delle assicurazioni, delle multinazionali
del gioco, del petrolio, del tabacco, la Confindustria, i sindacati gialli ecc.
Cerchiamo
dunque di riassumere il decalogo delle bugie ingannatrici della buona fede
popolare per sventare lo stravolgimento della nostra Repubblica:
La riforma
supera il bicameralismo? NO, anzi lo rende più confuso come ampiamente
dimostrato dal nuovo art. 70.
La riforma
cancella il Senato? NO, lo trasforma in un dopolavoro per sindaci e consiglieri
regionali ai quali viene tolta la potestà di dare la fiducia al Governo, ma
viene regalata l’immunità.
La riforma è
chiara e scritta bene? NO, contiene errori, è confusa, pasticciata e di
difficile comprensione oltreché fonte di contenzioso tra le Camere.
La riforma
garantisce la governabilità e la democrazia? NO, scompare l’equilibrio tra
poteri dello Stato, si riduce l’area dei diritti del cittadino che non elegge
più il proprio parlamentare.
La riforma è
fatta a norma di legge? NO, è illegittima perché elaborata e imposta dal
governo e approvata con ricatti e voti di fiducia da un parlamento eletto con
una legge elettorale incostituzionale.
La riforma
rispetta la volontà popolare? NO, la espropria riducendone il potere di
partecipazione diretta (le firme necessarie per leggi di iniziativa popolare
passano da 50.000 a 150.000).
La riforma
taglia i costi della politica di mezzo miliardo di euro come dice il premier,
imitato pappagallescamente dai suoi gazzettieri? NO, il risparmio sugli
stipendi dalla riduzione dei senatori, secondo i calcoli della Corte dei Conti
è di soli 46 milioni di euro quanti se ne spendono ogni anno per il leasing del
super aereo del Presidente del Consiglio e sei volte di meno di quanto il
Governo ha sprecato rifiutando l’accorpamento del referendum anti trivelle con
le elezioni comunali.
La riforma
contribuisce all’aumento del Pil? NO, perché solo il lavoro, la produzione, gli
investimenti pubblici e i consumi possono spingere in alto il Pil che non è una
variabile indipendente della politica.
La riforma
accelera l’attività della pubblica amministrazione? NO, perché non ha nessuna
ricaduta sulla macchina amministrativa. Vinte le elezioni europee Renzi aveva
promesso che entro il 21 settembre 2014 avrebbe estinto il debito dello Stato
nei confronti dei fornitori di beni e servizi ammontante a 90 miliardi. Ad
oggi, dopo due anni, il debito dello Stato verso i privati è ancora di 61
miliardi mentre il ritardo nei pagamenti è sceso appena del 9% passando da 144
a 131 giorni (la media UE è di 45 giorni, in Gran Bretagna di 30 e in Germania
addirittura di 15).
La bocciatura
della riforma significa lo sconquasso? NO, bisogna rigettare lo spauracchio del
TINA (there is no alternative) e sapere sin d’ora che se con l’autunno e
l’inverno arriveranno ulteriori sacrifici sarà solo per le cambiali in bianco
delle clausole di salvaguardia per 15 miliardi di euro che Renzi ha firmato con
l’Europa.
Se i
parlamentari non hanno saputo mantenere la schiena dritta di fronte
all’arroganza del premier, lo faranno col referendum i cittadini che non temono
rappresaglie e che hanno preso coscienza dei loro diritti.
Sarà
possibile modificare la Carta, ma occorrerà da una parte l’umiltà di ascoltare
i consigli dei “gufi” e dei “professoroni” per produrre un testo migliore di
quello dei padri costituenti e dall’altra la lungimiranza di lasciare ai figli
una società più giusta, più equa, più sana.
Torquato
Cardilli
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