di Domenico Giglio
La nascita
ed il consolidamento dell’identità
nazionale di un
popolo può durare
secoli e deve
essere favorita da
una unità statale
o meglio , come è accaduto in
Europa e particolarmente in
Francia da una
monarchia e nonostante ciò
non sempre mette
radici profonde, per cui
dopo secoli possono
esserci fenomeni di
rigetto , come vediamo oggi
in Catalogna , in Scozia
e nelle Fiandre. Ora, in Italia , prima della
proclamazione del Regno, il
17 marzo 1861 , non
è possibile trovare
una identità nazionale
se non in
poeti , letterati e scienziati , cominciando da
Dante , che , facendo
incontrare nel Purgatorio
i due mantovani , Virgilio e
Sordello , prorompe
nell’invettiva sulla “Serva
Italia” , e sulle divisioni
cittadine “vieni a veder
Montecchi e Cappelleti”, e sempre all’Alighieri
si deve la
descrizione dei confini
orientali dell’ Italia , “
sì come
a Pola , presso del
Carnaro , che Italia chiude
e suoi termini bagna”. Poco
dopo segue l’altro
massimo poeta , il Petrarca
che sferza “I
Signori d’Italia” ed indirizza
una canzone , che è una invocazione
all’ Italia ,”…latin sangue gentile..”
e speranza “…che
l’antico valore- negli
italici cor non è ancor
morto…”, e dopo anche
l’ Ariosto , nello “Orlando Furioso” , trova modo
di incitare gli
italiani ,”…dormi Italia imbriaca” , fattasi “ancella”. Niccolò Machiavelli , auspica “…che
Dio le mandi
qualcuno ( all’Italia ), che
la redima , un capo
che provveda la
pratica di armi
proprie , con la
virtù italica…” , per poi
giungere a Leopardi , che invoca
sì l’ Italia ,”O Patria mia,vedo
le mura e gli
archi…ma la gloria
non vedo…” e depreca
che italiani abbiano
combattuto fuori d’ Italia , riferendosi alle
campagne militari napoleoniche ,entrando in
contrasto con il
Foscolo , che proprio nelle
truppe del Regno
Italico , aveva visto rinascere
l’antico spirito combattivo
e dato prova
di indubbio valore.
Questo filo italico che
collega , attraverso cinque
secoli di storia
e di vita , non
si limita a
questi grandi poeti
e pensatori , ma ne coinvolge
numerosi altri , che forse
è ingiusto definire
minori , provenienti da
ogni parte dell’ Italia
, che pure denunciano
e deprecano le
risse , le divisioni , le
rivalità interne , che portarono
alle invasioni straniere
ed al loro
successivo governo in
tante nostre regioni , auspicando invece
l’ indipendenza dallo straniero , l’unificazione della
penisola , dedicando all’
Italia poesie , canzoni , lettere ed
appelli., il tutto come
scrive il grande
critico Francesco Flora,
nella sua “ Storia
della letteratura italiana” : “soltanto nella lingua
e nella poesia
e nelle arti
della luce e
della pietra…i figliuoli
dell’ Italia riconobbero…una patria
comune”.
Sono nomi , probabilmente oggi
dimenticati , e dalla scuola
e dalla società , che
vanno dal Sassoferrato , “…piangi Italia , giardino del
mondo…” , a Pietro Bembo ,letterato e
Cardinale , a Baldassarre Castiglioni , che descriveva
la miseria dell’ Italia , con toni
gravi e mesti, al
Guicciardini , con la sua
“Storia d’ Italia” , a Gabriello
Chiabrera, forse il maggior poeta
del XVII secolo, , al
Filicaia, “…deh ( Italia ), fossi tu
men bella , o almen più
forte…”,ad un Tassoni, che
non scrive solo
“La secchia rapita”, che
è anch’essa una
critica , sia pure scherzosa”
alle rivalità provinciali ,
ma anche le
“filippiche”, contro gli spagnoli ,denunciando “…veramente
quegli (italiani ) infelici , che hanno
l’animo tanto servile , che
godono o almeno
non curano d’ essere
dominati da stranieri ,( per cui )
non sono degni
del nome d’italiani…”, ed
è interessante notare
che alcuni di
questi autori non
piemontesi , si rivolgano a
Casa Savoia, particolarmente a
Carlo Emanuele I , figlio del grande
Emanuele Filiberto., come il
ferrarese Fulvio Testi
che lo definisce
“ Carlo,quel generoso invitto
core ,da cui spera
soccorso Italia oppressa” ,e
a Vittorio Amedeo
II, come Eustachio Manfredi ,bolognese, che
per la nascita
del suo primo
figlio scrive “Italia, Italia, il tuo
soccorso è nato…” e
come Felice Zappi , di
Imola , che dedica
un’ ode “Al serenissimo
principe Eugenio” dove
è questo bellissimo verso “..dovunque
vai Tu , va la vittoria..”.
Questi poeti e
pensatori hanno dei
valori comuni , compreso quello
dell’eredità di Roma , che
in molti di
essi non è
solo rimpianto , ma sprone
per risollevare l’Italia
dalle divisioni e dalla
servitù e così
bastarono pochi uomini , di secolo in
secolo, a serbare la memoria della
libertà e della
dignità italiana ed
a mantenere viva
la fiamma dell’ identità nazionale , che , con il
sorgere del XIX
secolo, l’ ascesa ed il
declino dell’ astro napoleonico ,
il sia
pur breve Regno
Italico , purtroppo limitato all’ Italia settentrionale , il tentativo
sfortunato di Gioacchino
Murat , con il suo
“Proclama di Rimini” , acquista luce
e calore dando
inizio a quello
che sarà poi
definito Risorgimento .Sia pure
limitata quindi ad
una ristretta cerchia
di intellettuali , ai quali
si aggiungono gli
scienziati , con i loro
congressi nella prima
metà dell’ Ottocento , tenuti nelle
capitali dei vari stati
preunitari, tanto che alcuni
governi di questi stati , quasi
si pentirono di
aver dato spazio
ai congressi stessi , questa identità si
rafforza , anche se vi
è un abisso
con la maggioranza
della popolazione , specie delle
campagne , e per
il predominante analfabetismo ,
e per
una diffusa identità
limitata solo al proprio comune
e alla propria
provincia, rara se non
inesistente invece l’identità regionale , eccetto la
Sicilia , ed anche qui
con profonde divisioni , eredità di
guelfi e ghibellini,
e con la differenza tra Nord
e Sud d’ Italia , separati ed
impediti a conoscersi
e comprendersi , dalla illogica
e negativa presenza
dello stato pontificio che ha
diviso per un
millennio l’ Italia..
La ripresa
e l’ espandersi di
questa fiamma nazionale , vede nuovamente
in prima linea
letterati , poeti , pensatori , ed
anche pittori e
musicisti , ed abbiamo così
Vittorio Alfieri , con il
“Misogallo” e “Italia, Italia, egli gridava
a’ dissueti dissueti
orecchi , a i pigri
cuori , a gli animi
giacenti : Italia , Italia – rispondeano le urne
d’ Arquà e Ravenna”, e
particolarmente Cesare Balbo , con le sue
“Speranze d’Italia” , e Vincenzo Gioberti
con il famoso “Primato
morale e civile
degli italiani” e con
il successivo “Rinnovamento civile
d’Italia”, che dettero una
base storica e dottrinale alla
richiesta di riscatto, e
poi Luigi Settembrini
con la denuncia
“Protesta del popolo
delle Due Sicilie”, Giuseppe Mazzini
con i “ Doveri
dell’uomo”, ed Antonio Rosmini , con
“Delle cinque piaghe
della Santa Chiesa”, Silvio Pellico
con “Le mie
prigioni” , il racconto della
sua prigionia allo
Spielberg , e poi un
Alessandro Manzoni , sia con “I promessi
sposi” , sciacquati
nell’Arno e con
“Marzo 1821” , ricordando l’ Italia
“una d’ arme , di lingua , d’altare ,di memorie , di
sangue e di
cor.” e ancora Ippolito
Nievo , garibaldino, mancato a
soli trent’anni, con le
“Confessioni di un italiano” ed
i già ricordati
Giacomo Leopardi ed
Ugo Foscolo di
cui non possiamo
dimenticare l’altissima poesia
dei “Sepolcri” , dove parlando
della Chiesa di
Santa Croce , a Firenze :”…beata che
in un tempio
accolte,- serbi l’itale glorie, uniche forse- da che….l’alterna onnipotenza
delle umane sorti – armi e sostanze
t’invadeano ed are – e
patria e ,tranne la memoria,tutto.- Che ove
speme di gloria agli
animosi intelletti rifulga
ed all’(talia,-quindi trarrem gli
auspici..” .A questi
maggiori via via si
uniscono
tante altre voci ,
che diventano un
vero e proprio
coro , e così si
raggiungono altri strati
della popolazione culturalmente
più avanzati e si approfondiscono i
motivi autenticamente italiani
della riscossa nazionale, e
quindi della identità
nazionale..
Il milanese
Giovanni Berchet (1783- 1851)
,tra i
fondatori de “Il
conciliatore”, prende spunto dalla rievocazione
del giuramento di
Pontida, per incitare alla
riscossa, un altro milanese ,Giovanni Torti ( 1774-1851), scrive un
inno, dedicato alle cinque
giornate del 1848,, l’ abruzzese
Gabriele Rosseti ( 1783-1854),
canta “L’ amor di Patria”,
Angelo Brofferio ,(
1802-1866),piemontese, ed anche uomo
politico, scrive un inno :”Viva
il Re,dall’Alpi al mar
–il Baiardo di
Savoia – Re Vittorio l’ha giurato – che giammai
non spergiurò”. Da Napoli , Alessandro Poerio, ( 1802-1848 ) va a
combattere e morire
nel 1848 ,nella difesa di
Venezia, e prima aveva
scritto “Il Risorgimento” con “O
patria ,fiorente , possente , d’un solo
linguaggio”,mentre il toscano
Giuseppe Giusti ( 1809-1850),
risponde al poeta francese Lamartine , con “La
terra dei morti”,ed
un giovanissimo poeta
genovese , Goffredo Mameli ,( 1827-1849),
caduto nella difesa
di Roma contro
i francesi, , scrive un
primo “ Inno di
guerra”, con “Viva l’ Italia , era in sette spartita , le sue
membra divulse”, ed un
secondo ben più
famoso , anche se vi
è qualche dubbio sulla
sua paternità, “Fratelli
d’Italia” , musicato da Michele
Novaro. All’inno di Mameli , si
aggiunge un “Inno
popolare di guerra”
di Giovan Battista
Niccolini ,( 1782-1861), toscano, più noto come
drammaturgo ,con i versi
“Giuste leggi e non
cieca licenza- libertade ad un
tempo e
potenza,- non servile ma forte unità “, ed
il marchigiano ,Luigi Mercantini ( 1821-1872), con i versi
“l’ardente destriero ,
Vittorio spronò, a dir
viva l’Italia, va il Re
in Campidoglio” e la
“Canzone italiana”, meglio conosciuta
come “Inno di
Garibaldi” , musicato da Alessio
Olivieri, che ha
un tono quasi
religioso “Si scopron le
tombe , si levano i
morti , i martiri nostri son tutti
risorti”. Sempre tra i
poeti , anche se più
noto per altre
opere, fra le quali
il grande “Dizionario
della lingua italiana” , il dalmata , Niccolò Tommaseo ( 1802-1974), scrive una
poesia “All’ Italia”,nel 1834,
incitando alla rinascita,, ed un
trentino , Giovanni Prati, (1814
– 1884) , fedelissimo alla Casa
Sabauda, ricordando i giovani universitari di
Curtatone ,scrive “Viva la bella Italia! – orniam di
fior la testa ;-o vincitori o
martiri ,- bello è per
lei cader.”:A tale
proposito è bene
sottolineare che fino
al 1849 i canti o
gli inni non
si rivolgevano solo
a Casa Savoia , perché vi
erano anche autori
di fede mazziniana, ma fin da allora
si deve notare
una tendenza da
parte di questi
patrioti non monarchici
di voler discriminare
coloro che la
pensavano diversamente, come nel caso di
Prati , che per aver
scritto un inno
a Carlo Alberto
si vide voltare
le spalle dai
repubblicani che lo
additarono con avversione
crescente per la
sua intimità con
la corte sabauda.
Oltre alla
poesia una parte non
trascurabile , forse anche più
diffusa , di incitazioni patriottiche
è dovuta ad
opere teatrali ed
ai romanzi storici , perché , anche se
riferentisi ad eventi
e personaggi del
passato , gli autori , tutti patrioti , trovavano il modo
di inserirvi elementi
che facessero pensare
ad eventi contemporanei
o facendone i
protagonisti , campioni d’
italianità , e di questo
il caso più
tipico e conosciuto
è “Ettore Fieramosca”
del piemontese Massimo
Taparelli d’Azeglio ,(1798-1866 ) rievocante la disfida di
Barletta, tra cavalieri italiani
e francesi , fra i
quali si annida
il rinnegato Gano
che osava dire : “ho
in tasca gli
italiani , l’ Italia e chi
le vuol bene; servo chi
mi paga , io .Non sapete …che
per noi soldati
dov’ è pane è
la patria”. Anche nella
“Margherita Pusterla” del
lombardo Cesare Cantù,( 1804-1895) grandeggia il
motivo del Risorgimento
sotto lo schermo di
una storia lontana , e
nella “ Battaglia di
Benevento” , del toscano Francesco
Domenico Guerrazzi ( 1804 -1873 ),l’inizio del
romanzo è un
inno all’ Italia., “L’ Italia ,
che sedeva , regina del
mondo.”.
E
così si giunge , il
17 marzo 1861 ,
a conclusione di
quello che un
moderno studioso , Domenico Fisichella , ha
definito “Il miracolo
del Risorgimento” , alla proclamazione
di Vittorio Emanuele
II a Re
d’Italia , e Cavour , nel suo
genio multiforme , vuole onorare
anche artisti e
letterati , per cui chiede
e quasi impone
a Giuseppe Verdi,
il grande , massimo musicista
italiano , il cui nome preceduto
da “Viva” , aveva anche significato
“Viva V (ittorio) E (manuele) R
(e) DI(talia) , a presentarsi candidato
per il primo
parlamento del Regno , e
pure fa appello
all’altro grande Alessandro
Manzoni. Dunque hanno vinto
anche i poeti , i
letterati ed altri artisti
,ma ora
bisogna consollidare l’opera
ed anche i
pittori prima e
poi gli scultori
debbono ricordare le
vicende del Risorgimento
ed i suoi
protagonisti , per allargare ulteriormente
le conoscenze delle
stesse e favorire
l’identità nazionale.
Aveva iniziato il
veneto Francesco Hayez, ( 1791- 1882) con
i suoi grandi
quadri storici ed
il famoso “Bacio” , poi
un suo scolaro
Domenico Induno ( 1815-1878 ) ed
il fratello Gerolamo ( 1827-1890
), con i
soggetti militari,di cui
ricorderemo “La battaglia
di Magenta” , “La
battaglia della Cernaia” , “La
partenza da Quarto”, “Garibaldi al
Volturno” , ( tutte esposte
al Museo del
Risorgimento di Milano) ,
“Garibaldi in divisa
di generale dell’esercito
Sardo” ed il
“Racconto del garibaldino”. I
grandi quadri storici
al Palazzo Madama, in
Roma, sede del Senato ,
ed a Siena , nel
palazzo comunale ,tra i
quali “La consegna
dei risultati del
plebiscito di Roma a
Vittorio Emanuele II”, sono
opera del senese Cesare
Maccari ,( 1840-1919) e
sempre riguardanti il
ciclo di affreschi di
Siena , vi sono due lavori
di
un altro toscano ,
Amos Cassioli ,(1832 -1891 ) uno raffigurante
“La battaglia di
Palestro”, l’altro “La battaglia
di San Martino” ed
infine, il grossetano
,Pietro Aldi ,( 1852-1888), dipinge “L’armistizio di
Vignale” . ”Garibaldi a Digione”,( esposto al Museo del
Risorgimento di Milano),
è del milanese
Sebastiano De Albertis ,(1828 -1897), garibaldino ,
che dipinge pure
“La carica dei
Cavalleggeri di Monferrato
a Montebello”, mentre
sempre a Siena
vi è il
famoso “ Incontro di Teano” , opera
di Carlo Ademollo ,( 1823 – 1911 ),fiorentino,autore anche
della “Battaglia di
San Martino,( esposto al
Museo del Risorgimento
di Firenze), nonché della
“Breccia di Porta Pia”, mentre
Clemente Origo, ( 1855-1921
),romano, dipinge la
carica della cavalleria
alla Bicocca del 1849 , e
Gustavo Dorè,(1832 – 1883)
al quale
dobbiamo le meravigliose
tavole della “Divina
Commedia”, disegna gli
episodi principali dell’ impresa
garibaldina del 1860 , e
Carlo Alberto a
Novara è ricordato
da Gaetano Previati, ( 1852 -1920 ), ferrarese, che dipinge
anche il popolano
milanese , Amatore Sciesa , condotto , nel 1851 , alla
fucilazione dagli austriaci ,
mentre pronuncia la
celebre frase “tiremm innanz” .Vengono poi
i “macchiaiuoli” toscani
e fra questi
Telemaco Signorini ,(1835 -1901
), con il quadro
degli “Zuavi francesi
ed artiglieri italiani” ,( esposto al
Museo del Risorgimento
di Firenze), ed il
loro maggiore esponente,
Giovanni Fattori , ( 1825-1909 ), che ai
paesaggi maremmani seppe
unire la rappresentazione dei nostri
soldati in due
momenti particolari , uno felice “ Il
campo di battaglia
italiano dopo ( la
vittoriosa battaglia di) Magenta”
, l’altro relativo alla sfortunata “ Battaglia
di Custoza”, ( esposti entrambi alla
Galleria d’arte moderna
di Firenze )., Tutti dipinti
che se al
momento furono visti
da una ristretta cerchia di
persone , sarebbero successivamente divenuti
le illustrazioni di
libri di scuola
e di storia
e quindi conosciute
da una più
vasta platea , che così
riviveva tanti principali
episodi del Risorgimento , ed a
questi pittori , dobbiamo doverosamente
aggiungere Achille Beltrame , che sul
settimanale “La Domenica
del Corriere” , in edicola dall’ 8
gennaio 1899 ,disegnava delle
bellissime tavole a
colori , sui principali avvenimenti della
settimana accaduti in
Italia e nel
Mondo, compresi quelli riguardanti
i nostri Reali, che , data la
tiratura del giornale
che già dopo
pochi anni aveva
raggiunto le 600.000
copie , per superore poi
il milione .arrivava in
tante famiglie , anche di
modeste condizioni economiche.
Dal punto
di vista non
solo artistico , ma della
identità nazionale , fu senza dubbio la
scultura, divenuta civile e
patriottica , maggiormente atta a
serbare le memorie , con
le statue ed
i monumenti ,
particolarmente di Vittorio
Emanuele II e
di Giuseppe Garibaldi , e
di altri artefici del
Risorgimento, a coinvolgere
anche la massa
della popolazione , essendo per
lo più situate
nelle piazze principali
di quasi tutte
le città e nei
Municipi. .Pensiamo al ticinese ,Vincenzo Vela, ( 1820 – 1891 ), ai torinesi
Carlo Marocchetti ,(1805 – 1867),
con la
statua equestre di Emanuele
Filiberto ,nella piazza San
Carlo , e Davide Calandra ( 1856 – 1915 ), con altra statua equestre
di Amedeo di
Savoia , ed il
marchigiano ,Ercole Rosa,
(1846-1898 ), a cui si
deve il monumento
equestre di Vittorio
Emanuele II a
Milano , nella piazza del
Duomo, e sempre dedicati
al Re , sono i
monumenti a Venezia
di Ettore Ferrari , e a
Palermo di Benedetto Civitelli , mentre ad Enrico Chiaradia ,( 1851- 1901 ),friulano,
spetta la grande
statua equestre del
grande Re , nel
“Vittoriano” ,mirabile sintesi di
architettura e scultura , Infatti questa
opera monumentale ,
progettata dall ‘architetto bresciano Giuseppe Sacconi ,( 1854- 1905) , vincitore di
un concorso nazionale
indetto per erigere
a Roma un
monumento celebrativo della
raggiunta Unità e
del primo Re
d’Italia , inaugurata dal nipote,
il Re Vittorio Emanuele III , nel
1911 , in occasione del
cinquantenario del Regno , presenti i Sindaci
di tutta Italia , nonché i
rappresentanti di tutti
i Reggimenti del
Regio Esercito , che riempivano
l’intera Piazza Venezia , rappresenta il
maggiore contributo che
l’architettura abbia dato
all’affermazione
dell’identità nazionale , per cui
è anche chiamato
“Altare della Patria” . Ritornando alla
scultura ricordiamo che al senese
Giovanni Duprè, ( 1817 – 1882 ) si
deve uno dei
pochi monumenti del conte
di Cavour, ed ai
fiorentini , Cesare Zocchi,(1851
-1922) ed Emilio
Gallori ( 1846 -1924 ), si
devono rispettivamente , il
grande monumento a
Dante , inaugurato nel 1896 , nella
ancora asburgica Trento , a
riaffermare l’italianità del
trentino , e la statua
equestre di Garibaldi
sul Gianicolo , entrambe opere
di notevolissimo valore
artistico , sia scultoreo che
architettonico, per
terminare con il bresciano
Angelo Zanelli ,(1879 -193.),
vincitore del concorso per il
grande fregio decorativo dell’ Altare della
Patria , e per
la statua della Dea
Roma , che sovrasta il
sacello del Milite
Ignoto.
Il ruolo
dei letterati , dei poeti
e degli scrittori
non cessa , ma anzi
si fa più
costante e metodico
per rafforzare i
valori dell’ unità ed
indipendenza raggiunti , ed il
campione di questa
azione è il
toscano Giosuè Carducci ,( 1835- 1907) , che con
le sue poesie
riguardanti storia e
glorie passate , eventi , regioni , personaggi , avvicina tra loro
le genti italiche, ne
rafforza la coscienza
nazionale , come pure con i
suoi superbi discorsi
celebrativi e commemorativi , tra i
quali quello pronunciato
il 7 gennaio
1897 a Reggio
Emilia , per il centenario
del tricolore , dove celebra
il natale della
Patria , ed esalta “la
bella , la pura , la santa
bandiera dei tre
colori “ , quasi come un sacerdote
della religione della
patria, che il suo
erede , nella cattedra universitaria , il
romagnolo Giovanni Pascoli ,( 1855- 19012) , avrebbe continuato
ad officiare nei
suoi discorsi , in occasione del
cinquantenario della proclamazione
del Regno, parlando all’Università di
Bologna il 9
gennaio 1911, che chiamò “anno
santo” della Patria e, poi il
successivo 9 novembre
all’Accademia Navale di
Livorno ed infine
il 26 dello
stesso mese , a Barga
,“La grande proletaria
si è mossa.”, in occasione
della guerra di
Libia . Carducci con
“Piemonte” , celebra la regione
e lo stato sabaudo che
dette inizio alla
prima guerra d’indipendenza , e Carlo
Alberto, “ Re per tant’anni bestemmiato
e pianto , che via
passasti con la
spada in pugno…” , con
“Cadore”, celebra i
montanari che si
opposero agli austriaci , ed il loro
comandante , “anima eroica,
Pietro Calvi” ,con il
“Canto dell’amore” ricorda i
perugini che si batterono
per la libertà, e non
ultima, anzi
cronologicamente prima , con la canzone “Alla Croce
di Savoia” , che è
una mirabile sintesi
risorgimentale della Toscana
e di Firenze , con il Piemonte
e la casa
Savoia, di cui ricorda
la storia italiana , con la
rievocazione dei grandi
italiani dei secoli
bui , canzone che non
esaurisce il suo
valore storico e poetico
, nella strofa più
conosciuta “ Dio ti
salvi , o cara insegna, nostro amore
e nostra gioia! Bianca
Croce di Savoia, Dio ti
salvi e salvi
il Re.”. Carducci
capiva infatti che
l’identità nazionale aveva
bisogno di un punto
di riferimento che
non fosse solo
un uomo , sia pure
in molti casi necessario , se non
indispensabile , come Garibaldi ,
al quale
pure dedicò discorsi
e poesie, ma una
dinastia , un istituto che
continua nel tempo , quale
la Monarchia , artefice dell’unità, di cui
scrisse “.la Monarchia
fu ed è
un gran fatto storico e
rimane per molta
gente una idealità
realizzata..” concludendo che
“il capo
della famiglia di
Savoia , rappresenta l’
Italia e lo Stato”, ed
è
così che si
spiegano le sue
liriche “Alla Regina d’Italia”, del 20
novembre 1878 ,”quali a
noi secoli-si mite e bella
ti tramandarono..” e la
successiva “Il liuto
e la lira” , entrambe dedicate
alla prima Regina
d’Italia , Margherita, “..figlia
e regina del
sacro- rinnovato popolo italiano.” , nelle quali
parla dell’eterno femminino
regale , e che Margherita
lo incarnasse , rafforzando l’identità
nazionale , lo conferma dopo
oltre un secolo , uno
storico contemporaneo , Giuseppe Galasso ,che
l’ ha definita in
un suo scritto : “Icona dell’Italia
unita.”
E
come Carducci a
Bologna , dall’ Università di
Napoli , contribuiva alla creazione
di questa coscienza
unitaria , l’irpino ,Francesco
De Santis, ( 1817- 1883 ),
patriota, carcerato dal governo
borbonico ed uomo
politico e ministro
della Pubblica Istruzione nel
primo governo del Regno
d’Italia, con Cavour, ed anche
in successivi governi, con
la sua “Storia
della letteratura Italiana” ,da
lui inserita
nella storia della
nostra civiltà, così che dall’unità
politica veniva a
poco a poco
nascendo una identità
di cultura , opera sulla quale ,
successivamente , hanno studiato tante generazioni di
studenti , e poi professori .
Su di
un piano diverso , ma
non meno importante , è la
figura del ligure , Edmondo De
Amicis , ( 1846 – 1908 ) ,militare ,combattente nel
1866 , viaggiatore, giornalista , scrittore , particolarmente con una sua
opera “Cuore” ,stampata per
la prima volta
nel 1886, la cui immediata fortuna
e diffusione , protrattasi nel
tempo , ha favorevolmente influito
sulla coscienza nazionale , superando pregiudizi
regionalistici e classisti ,
sia con il suo
testo base , ambientato in
una scuola elementare
, vedi l’arrivo dell’allievo calabrese e
la morte del
“muratorino”, ma soprattutto e
volutamente con i
“racconti mensili” , dove De
Amicis , sa trovare il
modo di esaltare
il comportamento di
giovani di ogni
parte dell’ Italia , dal “Piccolo
patriota padovano”, alla “Piccola
vedetta lombarda”, al
“Piccolo scrivano fiorentino”, al “Tamburino
sardo”, al “Sangue romagnolo”,
a “L’infermiere di
Tata”, al “Valore civile”, al
giovane viaggiatore “dagli
Appennini alle Ande”, ed
infine al “Naufragio” . Ed effettivamente la scuola dette
pure un’importantissimo contributo
all’identità nazionale con
i suoi maestri
e maestre, come la
maestra descritta da
Guareschi e così
pure l’esercito , sia con l’istruzione civile , militare ed
anche tecnica , nonché agricola,
sia con
le prime campagne
nell’ Africa Orientale , sia pure
sfortunate e tragiche , dai cinquecento morti di
Dogali , con il colonnello
De Cristofori , e poi Macallè
con
Galliano , l’Amba Alagi con
Toselli ed infine
Adua , con ben due generali
caduti sul campo ,Giuseppe Arimondi
e Vittorio Dabormida,
dove , ovunque risaltò il
valore dei soldati italiani, quasi tutti
contadini delle regioni
italiane , per cui ,
Giovanni Pascoli, ad esempio ,
dedicò una sua
poesia , inserita nella raccolta
“ Odi ed Inni”, “Alle
Batterie Siciliane”, comandate dal
capitano Masotto , medaglia d
‘oro al
valor militare, per l’eroico
comportamento tenuto ad Adua., dove
aveva difeso con i
suoi soldati siciliani
, i cannoni fino
alla morte.
Perciò nel
1911 poteva dirsi
abbastanza diffuso il
concetto d’identità nazionale, collegato alla
diminuzione sensibile dell’analfabetismo ed al generale
progresso economico e sociale,
e sia
le grandi celebrazioni del
cinquantenario , sia la contemporanea
conquista della Libia ne
furono autorevoli testimonianze , anche se
le nuove generazioni
di letterati operanti
nelle numerose riviste sorte
nel primo decennio
del novecento erano
abbastanza critiche nei
confronti dell’Italia ,
chiamata “Italietta”, per la
quale auspicavano più alti destini
e la stessa
monarchia , così “borghese”, con il nuovo
Re, non sembrava loro abbastanza
autorevole e rappresentativa . Se leggiamo
ad esempio Trilussa (Carlo Alberto
Salustri – 1871-1950)), nelle
sue poesie romanesche
più volte , in forma indiretta , critica la
“democraticità” di un
ipotetico Re., molto simile a
Vittorio Emanuele. Letterati che
poi , però , si riscattarono
nel maggio del
1915 , partecipando alla guerra , che
avevano chiesto , pagando un
doloroso e sanguinoso
prezzo ! Ben diverso invece
l’atteggiamento costruttivo ,
nei loro
scritti , dei grandi storici
da Benedetto Croce ( 1866-1952), a Gioacchino Volpe ,( 1876-1971 ), entrambi abruzzesi, a
Pietro Silva,( 1887-1954
),parmense , ed a
Niccolò Rodolico ,(1873
-1969),di Trapani , sui cui
testi hanno studiato
generazioni di studenti
liceali , fin quasi agli
anni ’50 del secolo
scorso , nel valutare positivamente
l’esperienza unitaria ,
specie se commisurata
ai punti di
partenza in tutti i
settori . Un discorso a parte
va dedicato a
Gabriele d’Annunzio ,(1863- 1938
), perché se
aveva salutato l’avvento
al trono di
Vittorio Emanuele III ,”…miri Tu
lontano ?...Giovine , che
assunto dalla morte –fosti
Re nel mare.”, negli
anni successivi , anche lui
era tra i meno entusiasti del
governo dell ‘Italia, quella “…Italia , Italia – sacra alla
nuova Aurora – con l’aratro e
la prora !.”, per cui si riavvicinò solo
con la guerra
di Libia , per la
quale scrisse le “Canzoni
delle gesta d’oltremare” , pubblicate integralmente ,a tutta
pagina, dal “Corriere della
Sera” , salvo una dove
aveva chiamato Francesco
Giuseppe ,”…l’angelicato impiccatore,-l’angelo dalla
forca sempiterna” , per poi
essere tra i maggiori
fautori del nostro
intervento in guerra
nel 1915 e dedicare
al Re ,un altra
poesia , dove lo vede
in panni bigi , vicino
ai suoi soldati. A
fronte di questa
opera per l’identità
nazionale , rifacentesi al Risorgimento , ai suoi
artefici , tipica la riunione
in stampe e dipinti
di Cavour, Mazzini
,Garibaldi e Vittorio
Emanuele II , vi era una
costante propaganda repubblicana , spesso con
toni abbastanza abbastanza
volgari e virulenti , tipico il
giornale “L’ Asino”, di Podrecca
,sia proveniente dai
repubblicani storici ,che ritenevano
la monarchia traditrice
degli ideali risorgimentali in
tema di irredentismo , arrivando a
dire nel 1915 “
O guerra
o repubblica !” , sia dai socialisti , che erano per principio
contro spese e
campagne militari , che ritenevano
dovute alla monarchia , di cui
non vedevano o non volevano vedere l’azione di
elevazione e pacificazione sociale
ed il grande esempio d i senso
del dovere del
Re e della sobrietà di
vita e di
costume dato della
famiglia reale ,
concentrando questa loro opposizione
proprio sulla Casa
Savoia . “ I Savoia”
detto con tono
di disprezzo ,oppure “maledetti
Savoia” , dinastia di cui ignoravano la
storia e che , invece , con suoi esponentii
, come il Conte
di Torino , che aveva
respinto sul terreno
le ingiurie di
un principe francese
nei confronti dei soldati italiani che
avevano combattuto ad
Adua ,ed il Duca
degli Abruzzi, scalatore delle
più importanti vette dall’ America , all’Africa ed
all’Asia, imprese che in tutto
il mondo erano
state seguite con interesse
ed ammirazione , non ultima
quella di raggiungere
il Polo Nord , che
non fu raggiunto , ma per
l’epoca fu la
spedizione che vi
era giunta più
vicino., avevano innalzato
il nome ed il prestigio
dell’Italia e degli
italiani , specie quelli che erano
emigrati all’estero, tranne i
gruppi anarchici a cui
era dovuta la
progettazione e l’esecuzione
dell’ assassinio del Re
Umberto .
E
questo senso dell’ identità nazionale , diffuso , ma
ancora parziale , ci consentì
di affrontare la
guerra, e di condurla
per quasi quarantadue
mesi, dal 24 maggio
del 1915 al
4 novembre 1918 , e
durante questi lunghi
mesi, crebbe , sia pure ad un
carissimo prezzo , sì che
alla sua conclusione
vittoriosa , potevasi dire che la guerra
stessa , “Fu lo
strumento , grazie al quale
si rafforzò l’identita
nazionale , la diretta conoscenza
del RE , che moltissimi
soldati avevano conosciuto , fino ad
allora , solo sulle monete
e sui francobolli , e si sviluppò
il senso di
una comune appartenenza
allo Stato unitario , costruito attraverso
tanti sacrifici e
tante lotte”, come ha
scritto Francesco Perfetti , in
quanto fu la
prima grande , difficile ed
anche dolorosa esperienza
collettiva di tutti
gli italiani , e di
questa identità fu , due
anni dopo , testimonianza la
moltitudine degli italiani
che si assiepò
lungo tutti i
binari ad attendere
ed onorare il
passaggio del treno
che da Aquileia
trasportava a Roma , dove
era ad attenderla
il Re, la salma del Milite
Ignoto , per essere deposta
all’ Altare della Patria , all’ ombra della
statua del grande
Re ,Vittorio Emanuele II, simbolo , ancor oggi , della
nostra identità nazionale .
Domenico Giglio
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