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Esame sulla interpretazione del D.L. 25 giugno 1944
n. 151
Il D.L. 25 giugno 1944 n. 151 suscita molte
perplessità sulla sua stessa legittimità e notevoli difficoltà
d'interpretazione in special modo per la sua intrinseca incongruenza.
Anzitutto esso si fonda sull'art. 18 della legge 19
gennaio 1939 n. 129 il quale si riferisce, per la validità e la decadenza dei
DD.LL. alle disposizioni contenute nel secondo comma e segg- dell'art. 3 della
Legge 31 gennaio 1926 n. 100 così modificate dalla legge 8 giugno 1939 n. 860 -
... “il D.L deve essere munito della clausola della presentazione alle
assemblee legislative per la conversione in legge ed essere, a pena di
decadenza, presentato, agli effetti della conversione stessa, ad una delle due assemblee
legislative non oltre il termine di 60 giorni dopo la sua pubblicazione».
Decade se entro due anni dalla sua pubblicazione non
sia stato convertito in legge.
La validità formale di ogni D.L. è condizionata così
alla sua conversione in legge da parte delle assemblee legislative; ora come
potrebbe mantenersi questa condizione
essenziale di validità quando lo stesso decreto stabilisce l'abrogazione delle
assemblee legislative sostituite dall’assemblea
costituente, previste per la sua
approvazione, cioè abroga lo stesso suo fondamento di le gittimità e per contro istituisce un nuovo consesso, la cui
legittimità sarebbe proprio da ricercarsi nel D.L. che sarebbe stato privato dì
ogni legittimità?
Pertanto logicamente è da ritenere che tale D.L. non
abbia abrogato le Camere, quali erano previste dallo Statuto del Regno, e che
ad esse debba essere presentato per esser convertito in legge, e quindi dopo la
sua approvazione le camere stesse potranno stabilire i modi e, le procedure per
la costituzione dell'assemblea costituente.
A parte che un tal vizio di legittimità, una volta
che più non esistessero le assemblee legislative non potrebbe venire sanato, è
ancora da considerare che secondo lo spirito dell'ordinamento italiano e la più
autorevole dottrina il D.L. di cui trattasi non può essere posto in esecuzione
prima della sua conversione in legge.
Infatti dato che il decreto si rifà alla legge del 1939,
la quale al suo art. 18 modificava il
comma 2 dell’articolo 3 della L, 31 gennaio 1926 n. 100 vuol dire che esso si
fonda sulla necessità urgente - presunta nell'ipotesi della guerra – fonte di
produzione giuridica esplicitamente ammessa nel diritto italiano con tale legge
ed ammessa pure in precedenza, sia pure
con vontrasti nella dottrina e anche su alcune riservedell’autorità
giudiziaria. Ed appunto dalla decisione -ultima della Cassazione romana ala
tema di DD.LL. in data 30 dicembre 1922, estensore Mortara, notevolisssima
sentenza che accolse
autorevomente le conclusione più ferme della dottrina in materia, ricaviamo questa
definizione esattissima del DD.LL.: Provvedimenti che possiedono un'autorità di
legge soggetta a condizione».
Per quanto
questa decisione della Cassazione romana ancora consideri la illegittimità
formale del decreto legge che più non sussiste dopo la legge del 31gennaio 1926 n. 100 tale definizione dei
D.L. rimane ed ha valore assoluto poiché costituisce il fondamento della predetta legge che accolse la necessità
Urgente come fonte di produzione giuridica subordinando la validità del D.L.
alla presentzione di esso in un certo tempo alle camere e alla sua conversione
pure entro un certo tempo a pena di decadenza.
Secondo questi principii il decreto legge si legittima
per la necessità urgente che costringe il governo a provvedere per evitare o
limitare un grave danno che altrimenti
proverrebbe allo Stato. Quindi nei suoi elementi intrinseci ed obiettivi il D.L.
deve fondarsi sull’urgenza. Questi
estremi non sembrano ricorrere nel D.L. in esame in quanto una delle
conseguenze e la più evidente di un
provvedimento d'urgenza è quella di essere applicato senza alcuna dilazione.
Poiché altrimenti viene a mancare la
stessa condizione dell’urgenza.
Benché questi estremi non ricorrano nel D.L. in
esame può tuttavia ammettersi che la situazione politica imponesse l'urgenza di
definire quale procedura si sarebbe seguita per la risoluzione della questione istituzionale e pertanto l'urgenza è da
riconoscersi nella necessità di manifestare immediatamente i propositi del
governo a questo riguardo. Ma se
l'urgenza - come non può essere altrimenti - dato che il D.L. non aveva né
poteva avere immediata applicazione era contenuta in questi limiti essa non può per ovvii principi
fondamentali di ogni ordinamento giuridico estendersi sino alla sua
applicazione, la quale presuppone l’abrogazione degli
organi legislativi, il conferimento di tutti i poteri degli organi
costituzionali dell’assemblea costituente, ossia la trasformazione radicale in atto, un procedimento cioè nettamente
rivoluzionario in quanto contrario all’ordinamento vigente non giustificato da
alcuna ragione di imprescindibilità e necessità.
L’urgenza del D. L. in esame è da ravvisarsi
pertanto limitata alla manifestazione della decisione del governo, e in questa caso ancora più della Corona di sanzionare
una futura legge istitutiva di un’assemblea costituente la quale colle modalità
che sarebbero in seguito emanate dal parlamento, avrebbe deciso la nuova costituzione dello Stato. Non può per l'aspetto giuridico,
ammettersi che il D.L. abbia voluto
significare abrogazione totale dell'ordinamento
in atto, come avverrebbe quando si ritenesse che il D.L. avesse abolito il parlamento
previsto dallo statuto, e quindi conferito tutti i poteri che oggi spettano al governo del Re e al parlamento, all’assemblea
costituente.
Ogni norma eccezionale non può venire interpretata
che restrittivamente e un
D.L., norma eccezionale per eccellenza, non può
avere efficacia se non nei limi precisi in cui sta la necessità urgente che
l'ha determinato. Ora questa necessità era contenuta nella dichiarazione di
consenso alla formazione dell'assemblea non già nella abrogazione
dell'ordinamento costituzionale vigente.
Dal punto di Vista politico è da osservare che tale
abrogazione, costituisce un atto di tale portata politica e storica che non può
essere rimesso ad una delegazione di partiti, di cui per le circostanze in cui
è venuta a trovarsi l’Italia nessuno conosce quale sia l'efficienza rappresentativa
ma deve essere, secondo i più elementari ed evidenti postulati democratici,
deciso dal popolo. E se si trattasse di modificare la costituzione vigente
senza interferenze con la questione istituzionale sarebbe sufficiente eleggere la
camera elettiva e convocare il parlamento, che potrebbe quindi decidere
direttamente delle modifiche costituzionali o con quella procedura
straordinaria che credesse d'istituire. Ma interferendo la questione
istituzionale occorre rifarsi al fondamento stesso dell'istituzione monarchica
italiana e cioè ai Plebisciti che estesero alle regioni annesse al Piemonte il
reggimento monarchico, proprio del Regno di Sardegna, e poiché tutti
costituiscono il fondamento, storico e
politico dell'istituto morrarchico in Italia solo un'espressa dichiarazione del
popolo mediante votazione esplicita può legalmente porre in discussione il
reggimento monarchico.
Concludendo se si deve seguire la via legale e non
rivoluzionaria per cui le norme costituzionali più nulla contano e gli atti
emanati hanno valore diverso da quello che non presentano obbiettivamente, si
dovrà addivenire alle elezioni di una camera elettiva la quale dopo avere approvato
o non il D.L. sulla costituente potrà legittimamente, dato che nell'ordinamento
italiano non esiste distinzione fra legge costituzionale e comune, trasformarsi
in assemblea costituente e assumerne le funzioni, che giuridicamente è, la
stessa cosa o creare una nuova assemblea e, previa consultazione istituzionale mediante referendum, procedere
alla revisione e modificazione e sostituzione dello Statuto del Regno. In
nessun caso potrebbe ritenersi legittima, l'istituzione d'una costituente in
base ad un D.L. privo dello stesso presupposto della sua validità.
EMILIO CROSA
Professore di diritto costituzionale
Torino 31 Agosto 1945
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