NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 2 giugno 2015

Un 24 Maggio che sembra non finire (per alcuni lettori)

vita in trincea prima guerra mondialet
Anche se con qualche giorno di ritardo pubblichiamo le opinioni di alcuni lettori intervenuti sul nostro editoriale dedicato al 24 Maggio 1915.
So che è seccante essere continuamente corretti ma il Vs articolo sul 24 Maggio e la risposta data all'Ingegner Giglio dimostrano che i libri di Storia che Loro hanno letto non sono abbastanza. Chi ha accusato di fuga il Re? Forse gente che è rimasta chiusa nei conventi romani e o in Vaticano fino a quando i fascisti non erano carne da macello? O quell'altro signore che fuggiva vestito da tedesco? O quell'altro signore ancora che in URSS si vergognava di essere italiano e fiero di essere cittadino sovietico, quello che era contento che i nostri Alpini morissero? Bisognerebbe leggere più cose, non i 4 luoghi comuni dei libri di storia attuali. Uno svarione grossolano: a partire per Oporto fu il Re Carlo Alberto dopo la sconfitta di Novara del 1849. Vi morì dopo tre mesi. Riposa a Superga. Umberto II parti sì per il Portogallo ma fu per poco a Cintra e poi a Cascais dove visse per circa 37 anni, fino alla sua morte, avvenuta in esilio. Replicare ad amenità e luoghi comuni ritriti sul capo di Stato che non va in trincea è sconfortante. Nessun Capo di Stato come Vittorio Emanuele III fu al fronte per tutta la durata del conflitto. Il figlio non poteva: aveva 11 anni. Nessuno come lui ebbe la freddezza di capire che Caporetto era una battaglia persa e non una disfatta totale. Nessuno come lui stava con i piedi per terra. Ma agiva nei limiti di uno Statuto che poteva essere cambiato. Quello Statuto e le leggi che ne divenivano furono cambiate anche con i voti complici di Sturzo De Gasperi e Gronchi, che fu sottosegretario di Mussolini. La storia è bella, gentile direttore. ma se uno l'ha studiata si vede subito. Non farebbe mai confusione tra Cascais ed Oporto. E non chiederebbe a nessun capo di stato, per di più anziano, di fare il fante. Distinti saluti. dr Roberto Tomao
Ha ragione, dottor Tomao, Umberto II si esiliò a Cascais e all'errore, di cui chiediamo innanzi tutto scusa ai lettori, siamo stati indotti da due motivi: la fretta di rispondere alla prima lettera dell'ing. Domenico Giglio (qui sotto ne pubblichiamo una seconda) e un pauroso vuoto di memoria. Eh, sì, perché a Cascais – non ad Oporto come erroneamente abbiamo scritto ricordando male –, proprio davanti alla residenza dell'ultimo Re d'Italia, ci siamo stati. Anche qui, se la memoria non ci inganna, poteva essere una tarda primavera sul finire degli anni Settanta (ma non ne siamo sicuri), con alcuni colleghi transitavamo sul lungo mare di Cascais e uno di noi, fermatosi davanti ad una bella villa (di color seppia o giallo?) sul marciapiede occidentale rispetto a quello attiguo alla spiaggia su cui camminavamo, si mise a gridare di raggiungerlo per salutare il Re che, in quel momento, si trovava nel giardino della sua residenza. Il ricordo è tenue, ma negli occhi abbiamo ancora il pacato incedere di un distinto signore e il suo cenno di saluto con la mano. Che fosse l'ultimo sovrano d'Italia non possiamo giurarlo perché non ne vedemmo il volto, anche se molti dei presenti non ebbero dubbi che lo fosse. A Cascais, quindi e non ad Oporto, l'inaspettato incontro. Fatta doverosa ammenda dell'errore, ci limitiamo a due stringate osservazioni. La prima: nell'editoriale dedicato alla Grande Guerra (non a casa Savoia, citata – in un inciso – per non avere badato al bene del popolo italiano) abbiamo cercato di mettere in evidenza l'eroismo e l'abnegazione del soldato italiano spesso in balia di comandanti inadeguati. Implicitamente abbiamo manifestato l'opinione che un vero capo, a maggior ragione se tale diventa per eredità dinastica, si preoccupa prima di tutto del benessere del suo popolo. Il dottor Tomao ritiene che Vittorio Emanuele III e i suoi predecessori siano stati ottimi leader e condottieri? È convinto che i Savoia siano stati i veri e unici artefici dell'unità d'Italia. Benissimo, la sua opinione è legittima almeno quanto la nostra; proprio perché di opinioni comunque si tratta. La seconda: l'editoriale, oltre a dare la linea di un giornale, serve ad argomentare una tesi su un tema. Non siamo così superbi (e ingenui) da ritenere che un nostro editoriale converta i lettori ad accettare tutti i nostri punti di vista. Infine una raccomandazione, egregio dottor Tomao: non distribuisca “patentini di storia” mettendosi in cattedra e per di più fingendo di non badare alla sostanza di una questione, ma ai dettagli, seppur imprecisi, di come tal questione viene posta. Non è con saccenti puntualizzazioni che conquisterà simpatizzanti alla causa dei nostalgici monarchici.
Grazie per pubblicazione lettera. Comprendo difficoltà riproduzione mio saggio: mi basta che lo abbiate letto e che lo teniate presente scrivendo su questi argomenti. Quanto al trasferimento necessario del Re Vittorio Emanuele III, da Roma a Brindisi ritengo essere la cosa migliore trascrivere il giudizio dello storico Lucio Villari, docente di storia contemporanea all' Università degli Studi di Roma Tre, collaboratore di diversi quotidiani, tra cui " Repubblica", consulente di Rai Storia, che sul "Corriere della Sera" del 9 settembre 2001, così scrisse : "Sono, in proposito, assolutamente convinto che fu la salvezza dell'Italia che il Re, il Governo e parte delllo Stato Maggiore abbiano evitato di essere "afferrati" dalla gendarmeria tedesca, e che il trasferimento (Il termine fuga è, come noto di matrice fascista, però riscuote grande successo a sinistra), a Brindisi gettò, con il Regno del Sud, il primo seme dello stato democratic ed antifascista ed evitò la terra bruciata prevista, come avverrà in germania, dagli alleati".Anche un nazista , Eugen Dollman, nelle sue memorie pubblicate nel 2002 dichiarò: "La famiglia Reale e Badoglio, nel frattempo erano partiti, con somma delusione del gruppo estremista del quartier generale di Kesserling.....che non trovarono che il genero del Re, il generale Calvi di Bergolo, il cui sacrificio morale ha un valore che gli italiani non dovrebbero dimenticare...Secondo il Maresciallo ( Kesserling)....la Monarchia aveva salvato l'unità d' Italia, abbandonando Roma e salvato Roma..." Credo che queste due citazioni siano sufficienti. Distinti saluti dr.ing.Domenico Giglio

Spett.le Redazione in merito all'editoriale "Editoriale - Italia 1915-1918: 650.000 morti e 1 milione di feriti" e "Savoia, Windsor e i vuoti delle nostre cognizioni storiche " trovo ingiuriose le parole nei confronti di Casa Savoia, e di S.M. Vittorio Emanuele III, innanzitutto gli interventisti erano molti di più di quelli scritti, da Togliatti a Gramsci a De Ambris a Pietro Nenni a Emilio Lussu, questi di sinistra, poi anche Cesare Battisti, Filippo Tommaso Marinetti e Umberto Boccioni e anche B.Mussolini, che da socialista si scontrò con il suo partito e ne fondò uno rivoluzionario che voleva scardinare la Monarchia e la borghesia, come volevano farlo i social-comunisti sopra menzionati, che pregustavano, a guerra finita, di rovesciare la Monarchia e il governo liberale per instaurare la dittatura comunista. Se siamo una Nazione lo dobbiamo sia al conte Camillo Benso di Cavour, che al generale Giuseppe Garibaldi, che a Giuseppe Mazzini ma soprattutto a Casa Savoia, la quale rischio e molto, sia nel 1948-49 che nel 1859, se perdeva avrebbe perso per sempre. Forse Bolzano non sarà stata italiana di cuore, ma l'Istria e la Dalmazia lo erano (come Nizza, sacrificata da Casa Savoia assieme alla Savoia per la riunificazione italiana). Per quanto riguarda l'Armistizio dell'8 Settembre 1943, trovo assurdo il Vostro scritto, una tesi coniata dalla Repubblica Sociale Italiana nel 1943 e ripresa dai comunisti nel 1945. Il Re, in qualità di Capo dello Stato, aveva il dovere di evitare che l’Italia cadesse in balia dei tedeschi o degli angloamericani che avrebbero creato un governo fantoccio ai propri ordini. Per riuscire in questo intento era necessario dare continuità alle istituzioni Italiane legittime, e evitare la cattura da parte dei nazisti rimanendo però in Italia. Gli ordini c'erano ed erano chiari, solo la propaganda comunista affermo' il contrario: “le forze armate Italiane reagiranno ad attacchi di qualunque altra provenienza”. Il Re non potendo difendere Roma, anche su pressione del Papa Pio XII, e per evitare la completa distruzione della città, riparò a Brindisi, dove il Governo italiano ricostituì la Nazione, e se la liberazione dell'Italia ci fu, lo si deve anche e a pari merito del Regio Esercito Italiano, assieme alle formazioni partigiane bianche. Non vedo accuse simili al governo francese nel 1916, al Papa Pio IX nel 1848 scappa da Roma travestito da prete per rifugiarsi a Gaeta, Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Mazzini fuggono alla caduta della Repubblica romana, i reali di Norvegia, Olanda, Grecia e Jugoslavia riparano all'estero dopo l'occupazione nazionalsocialista, Bush che nel 2001 venne fatto riparare nell' AirForceOne volando fino a che il cesso' il pericolo. Oppure oppure quando le truppe di Napoleone invasero gli stati italiani le Famiglie Reali dei Borbone, dei Savoia, degli Asburgo-Lorena(Toscana), che i Duchi di Parma e Piacenza, Reggio e MOdena, ed anche il Papa, cercarono di trasferire le loro truppe in posti più sicuri (i Savoia in Sardegna, i Borbone in Sicilia ecc.), mentre il Papa venne arrestato ed esibito come trofeo e costretto a firmare quello che Napoleone il criminale voleva. Per quanto il Referendum-broglio del 1946, perfino Romita, Ministro dell'Interno all'epoca, e il segretario di Togliatti, Caprara, ammisero che ci furono schede bruciate, brogli e la Monarchia aveva vinto, un po' di sana lettura farebbe bene agli italiani. Sbagliò S.M. Umberto II a non chiedere il riconteggio delle schede, anche perché una buona parte dei soldati e le popolazioni istriane e dalmate non poterono votare per le pressioni dei comunisti titini. Quindi la Storia é da riscrivere, per guardare avanti, per non commettere quello che é successo nel 1946 e nel 2011, eventi negativi che stiamo ancora scontando. Distinti saluti. Giuseppe Braggion
Egregio signor Braggion, siamo d'accordo con lei che la storia d'Italia sia ancora in gran parte da scrivere e che tante notizie spacciate come vere – dai sussidiari delle scuole elementari ai testi universitari – fossero, di fatto, verosimili. Su casa Savoia le nostre opinioni divergono e confermo a lei quanto ho scritto nella risposta al dottor Tomao.    Alberto Comuzzi

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