Conferenza dell' Ingegnere Giglio al Circolo Rex

Nulla
faceva presagire, alla fine
di giugno 1914, quanto
stava per avvenire
a Serajevo, nel corso
della visita dell’arciduca
ereditario dell’ Impero Austro-Ungarico Francesco
Ferdinando, accompagnato
dalla sua consorte , sposa morganatica, Sofia Chotek, città
dove si sapeva
sussistere qualche possibilità
di disordini e di contestazioni, in quanto
si riteneva fosse
stata programmata dalla
imperial regia polizia ed
esercito, un adeguato servizio
d’ ordine e di
sicurezza. Invece le vicende
andarono come andarono, ma
malgrado lo sdegno, la
solidarietà dinastica, la riprovazione
unanime che scosse
tutti gli stati
europei, non si immaginava
ancora quello che
sarebbe accaduto un
mese dopo, con l’inaccettabile ultimatum
dell’ Austria- Ungheria, che la
Serbia non poteva
discutere, ma accettare integralmente, il che, non
essendo avvenuto, fu ritenuto
motivo sufficiente per
la diplomazia austroungarica, forte del
richiesto appoggio e
consenso germanico, ma non
di quello italiano, punto fondamentale
sul quale ritorneremo, per dichiarare
guerra al Regno
di Serbia, che pur
sapevano essere sotto
l’alta protezione, per solidarietà
religiosa e slava, dell’ Impero Russo.
Perché
doveva l’Austria-Ungheria rivolgersi
anche al Regno
d’ Italia? Perché così era
chiaramente previsto in
un articolo di quel trattato
di alleanza difensivo, denominato “Triplice
alleanza“, che dal 1882
legava il Regno
d’ Italia all’ Impero Germanico
ed a quello
Austro-Ungarico, e doveva scattare
solamente quando uno
dei tre contraenti
fosse stato attaccato
da altre nazioni, e
inoltre prevedeva compensi
agli altri firmatari
se uno dei
tre avesse ottenuto
in Europa, dei vantaggi
territoriali. Per cui giustamente
un autore non
italiano, Oswald Uberegger,
precisa : “…l’Austria e la Germania non
coinvolsero l’ Italia, ciò violava
chiaramente le clausole
del Patto difensivo
che prevedevano l’ obbligo
di consultazione con
violazione dell’art. 1 e 3…”.
Purtroppo questo timore
del grande impero
Austroungarico nei confronti
del piccolo Regno
di Serbia, era da
qualche tempo una
costante della diplomazia
austriaca, anche dopo che
la stessa aveva
proceduto all’annessione formale
della Bosnia Erzegovina, dove era
Serajevo, avvenuta nel 1908
dopo decenni, dal 1878, di
amministrazione fiduciaria austriaca, ed
a questo proposito
si seppe che
già nel 1913, senza
alcun pretesto l’Austria
volesse attaccare la Serbia, venendone dissuasa
dal governo italiano, presieduto da
Giolitti. Perciò la dichiarazione
della neutralità italiana, da
parte del governo
presieduto da Antonio
Salandra, era la logica
conseguenza della violazione
austriaca dei patti, anche
se la stessa
fu malvista ed
anche vituperata da
Vienna e dall’ opinione pubblica
austriaca che ritenevano
la “servetta” Italia
dovesse fare quello
che decidevano i
“padroni”!
La
guerra iniziata vedeva
perciò in campo
da una parte
Germania ed Austria-Ungheria, alle quali
si sarebbe aggiunto
diversi mesi dopo
l‘Impero Ottomano,
dall’altra parte la Serbia, la
Francia, il
Regno Unito e
l’impero Russo, mentre il
neutrale Regno del
Belgio, veniva attraversato dalle
armate germaniche, malgrado la
resistenza del suo
piccolo e valoroso
esercito, comandato
personalmente dal Re
Alberto, suscitando lo sdegno
sia nei paesi
della “Intesa”, termine usato
per l’alleanza franco-britannica, sia nei
paesi neutrali , fra i
quali l’Italia.
Perché
allora il Regno
d’Italia si era
legato all’ Austria ed
alla Germania? La risposta
è lunga ed
articolata e discende
dalla solitudine dell’ Italia, dopo il
1870, quando con Roma, si
era completata l’unificazione del
Regno, nato nel 1861, salvo
il Trentino e
l’Istria, quella che poi
chiamammo Venezia Giulia, “…si
com‘a Pola, presso del
Quarnaro, che Italia chiude
e suoi termini
bagna…” (Dante –canto
IX-vv.113/114), in quanto la Francia,
caduto Napoleone III, non
ci era più
amica, temendo la nostra
concorrenza nel Mediterraneo
ed in Africa, ed
i cattolici francesi
non ci perdonavano
il nostro ingresso
a Roma, ponendo fine
all’assurdo potere temporale, che, a quei
tempi molti ancora
ritenevano indispensabile per
l’indipendenza del Pontefice. C’era poi
l’ Austria che nel
suo intimo avrebbe
desiderato riprendersi,
anche con le
“cattive” il ricco
Lombardo-Veneto. Rimaneva
fuori la
Gran Bretagna,
che pur
essendoci stata vicino
ed amica durante
il nostro processo
unitario, non intendeva impegnarsi
nel continente europeo, volendo ancora
accrescere e consolidare
il suo impero
negli altri continenti, impero come
mai se ne
era visto, né si
sarebbe visto successivamente, l’ eguale. Quanto a
Spagna e Portogallo, dove era
Regina Maria Pia, figlia
di Vittorio Emanuele
II, la loro importanza
in Europa era
ormai secondaria ed
erano oltre tutto
lontani, come lo era
l’Impero Russo, che all’epoca
cercava quella alleanza
dei tre imperatori
di Austria , Germania e
Russia, che, finché fu mantenuta
fino alla fine
del XIX secolo, tanto
contribuì alla pace
europea. Rimaneva la
Germania
che aveva raggiunta
anch’essa nel 1870
la sua unità
imperiale, e con la
quale il regno
d’Italia era già
stato alleato nella
guerra del 1866 (per
noi terza guerra
d’indipendenza). Qui il cancelliere
Bismarck, ottenuti e raggiunti
gli obiettivi territoriali
con le guerre
tutte vittoriose, da quella
del 1864 contro
la Danimarca, insieme con l’
Austria, per i due
ducati dello Schleswig
e dell’ Holstein, alla successiva
guerra del 1866
contro l’Austria, alleata con
il regno di
Baviera, per estrometterla dalla
guida degli stati
tedeschi, ed infine la
guerra del 1870-1871
contro la
Francia, con l’
acquisizione della Alsazia
e della Lorena, voleva dedicarsi, sia alla
politica coloniale, alla quale
l’ Austria non era
interessata, sia al rafforzamento
interno dell’ Impero Germanico, ed
assicurare quei decenni
di pace di
cui l’ Europa godette
fino allo sciagurato
luglio 1914, quando Bismarck
era morto da
anni (1898), dopo essere stato
estromesso nel 1890, dalla
guida del governo.
In
questa ottica possiamo
affermare che Bismarck
fu l’ideatore ed il fautore
della “Triplice”, che impediva
all’ Austria di
attaccare l’Italia,
tranquillizzava l’Italia stessa
e formava un
blocco territoriale, che dal
mare del Nord
e dal mar
Baltico, raggiungeva il mare
Adriatico ed il Mediterraneo. Si
arrivò così sotto
il Governo Depretis, esponente principale
della “sinistra storica”, alla firma
del trattato, avvenuta a
Vienna, il 20 maggio
1882, da parte del
nostro ambasciatore di
Robilant, trattato segreto, di carattere
esclusivamente difensivo,
che ripetutamente rinnovato, era ancora
in vita nel
1914, trattato in cui
era stato aggiunta
una interessante postilla, da
noi sollecitata, nella quale
si precisava che
non doveva essere
usato “contro” la
Gran Bretagna.
Se queste erano
le più che
giustificate motivazioni storiche
della “Triplice”, non possiamo
dimenticare che in
Italia, esisteva fin dal
1866 un fondo
di amarezza, negli spiriti
risorgimentali,per Trento e
Trieste, rimaste all’ Austria,
chiamato “irredentismo”, che l’atteggiamento austriaco
nei confronti delle
esigenze scolastiche,
linguistiche e culturali
della minoranza di
lingua italiana, in diverse
occasioni provvedeva a
rinfocolare, mantenendolo così vivo e vitale, come
si vide proprio
nel periodo che
esaminiamo, quando a Trieste
il principe di
Hohenlohe, ancora nel 1913, emetteva una
ordinanza con la
quale venivano licenziati
dagli impieghi i
cittadini italiani,
accentuando la politica
slavofila che già da anni
veniva svolta nell’ Istria
e nella Dalmazia, favorendo l’invasione
dell’elemento slavo, le cui
conseguenze si sono
protratte anche dopo
la nostra vittoria
del 1918 ed
hanno pesantemente determinato
il destino degli
italiani dopo la
seconda guerra mondiale.
Di
tutto ciò il
Regno d’ Italia era
consapevole. Operava
diplomaticamente, accoglieva
gli italiani provenienti
da queste regioni, ma
non poteva scatenare
una guerra, contando su di
una evoluzione naturale, anche dinastica, del vicino
impero, per cui lo
scoppio della guerra
del luglio 1914
apriva di colpo
e senza alcun
preavviso nuovi scenari
e prospettive, alle quali
non eravamo preparati, né materialmente, né psicologicamente.
Il
Regno d’Italia, non aveva
nessuna colpa o
responsabilità nello scoppio
della guerra, come ribadito
da Domenico Fisichella, nel suo recente
studio “Dal risorgimento
al fascismo”, anche se
qualche scrittore italiano
masochista sostiene questa
tesi, facendo riferimento alla
nostra guerra di
Libia contro l’ impero
Ottomano, alla quale erano
seguite nel 1913
le guerre balcaniche che avevano
senza dubbio modificato la
geografia politica della
regione ed ingrandito
il Regno di
Serbia, ritenendola
prodromica alla grande
guerra, ma la tesi
è facilmente opponibile
dal momento che
senza l’assassinio dell’ Arciduca Francesco
Ferdinando, nessuna guerra sarebbe
scoppiata in quella
estate del 1914
che ancora vedeva
le località termali,
come Vichy dove
riposava Giolitti, ed altri
siti turistici pieni
di esponenti politici
dei più vari
paesi. Per cui giustamente
Giacomo Perticone, nella sua
“L‘Italia contemporanea - 1871- 1948”, scrive testualmente: “…l’Italia, l’unica tra
le grandi potenze
che avesse escluso
dalla sua politica
estera una soluzione
del problema dell’equilibrio attraverso
un conflitto armato. Gli
Italiani….credevano nella ragione, contro la
forza…Era stata l’Italia
l’unica che aveva
gettato apertamente un
ponte tra le
due coalizioni europee, mettendole in guardia
contro i facili
calcoli degli stati
maggiori militari…L ‘ Italia aveva
inequivocabilmente negato ogni
solidarietà alla politica
della sciabola guglielmina, alla politica
della sacra “revanche” francese, ponendosi in
questo modo fuori
del circolo delle
responsabilità che gravano, più
o meno, sulle altre
Potenze:”.
Giustamente
quindi, rifacendosi alle clausole
del Trattato, disattese dall’Austria, il governo
Salandra, in carica dal
21 marzo 1914, raccogliendo quasi
l’unanimità della Camera, il
2 agosto 1914
proclamava la neutralità
dell’ Italia, nel conflitto appena
iniziato, ed il
Ministro degli Esteri, il
marchese Antonino di
San Giuliano, in una
nota successiva spiegava
che essere neutrali
non significava non
provvedere alla tutela
degli interessi nazionali,
nota particolarmente importante
perché proveniva da
un ministro che
dal 1910 dirigeva
la nostra politica
estera ed era
quindi stato Ministro
con Giolitti, nel precedente governo. In
quanto Giolitti si era sì
dimesso il 10 marzo
1914 per l’uscita
dei radicali dalla
sua maggioranza, ma aveva
lui stesso indicato
al Re il
nome di Salandra
come successore . E’ infatti
da ricordare che
già altre volte
Giolitti si era
ritirato dal governo, lasciando spazio
temporaneo ai Fortis, ai
Sonnino ed ai
Luzzatti, prima di riprenderne
le redini, ma questa
volta il destino
aveva deciso diversamente
e Salandra, al governo
da pochi mesi
si trovò a
gestire con il
di San Giuliano, purtroppo già
malato e che
sarebbe mancato il
16 ottobre 1914,
il più grave
problema che l’ Italia
avesse dovuto affrontare e risolvere da
quando era unita
e con Roma
Capitale. Giova qui ricordare
che Antonio Salandra , di
origine pugliese, nato a
Troia in provincia
di Foggia, era uno
degli esponenti principali
delle “destra” liberale, ed
era tra quelli che
maggiormente intendevano collegarsi
con i valori
patriottici e risorgimentali della
“Destra storica”, dei Ricasoli , Minghetti e
Sella.
L’ ipotesi
di scendere in campo
con gli alleati
della Triplice, se albergò
in qualche vecchio
Senatore ,ambasciatore o addetto
militare, non fu mai
presa in considerazione per
il noto motivo
che era stata
l’ Austria ad aggredire
la Serbia e
non il contrario, per cui
il problema era
il mantenimento della
neutralità o la
entrata in guerra
a fianco dell’ Intesa, se non
si fossero altrimenti
ottenute le famose
modifiche delle frontiere, rimaste tali
dal 1866 e
che vedevano centinaia
di migliaia di
Italiani, ancora sotto un
governo straniero, da cui
quell’irredentismo, che
tenuto a freno
per quarant’anni per
i motivi già
esposti poteva finalmente
tornare ad essere
l’ ago della bilancia
e con l’irredentismo, si muoveva
l’ interventismo, che
aumentava di peso
di giorno in giorno
e nel quale confluivano
le tendenze più
disparate, che ci
voleva a fianco
della “cugina” Francia, dove già
una “legione garibaldina”
di volontari era
accorsa, memore di quanto
era già avvenuto
con Garibaldi nel
1870, anche se di quell’intervento la Francia non
gli era stata grata, avendo
già avuto numerosi
caduti tra i
quali proprio i
nipoti Bruno e
Costante Garibaldi.
Abbiamo
parlato di tendenze
disparate dell’ interventismo, a cominciare
dalla massoneria, legata particolarmente alle
Logge Francesi, dai repubblicani, dove riemergeva
con prepotenza la
componente patriottica e risorgimentale, dai sindacalisti
rivoluzionari, che più antiveggenti
di altri ritenevano
che dalla guerra, come
poi accadde, con la
scomparsa di quattro
imperi, sarebbe uscito un
mondo del tutto
diverso da quello
in essere, dai futuristi
ed anche dai
nazionalisti dopo una iniziale
sbandata. A questi via
via, specie dall’ottobre si sarebbero aggiunti
anche gruppi cattolici, con personalità
di spicco quale
Giuseppe Donati e
successivamente Filippo Meda, che
divenne successivamente Ministro, ed
ai primi del
1915, anche gli aderenti
all’ Unione Popolare dei
cattolici italiani, nella loro
assemblea approvavano per
acclamazione un ordine
del giorno che
affermava la necessità
della piena efficienza
delle Forze Armate
ed invitava i cattolici
a sottoscrivere il
prestito nazionale di un
miliardo, che, a titolo indicativo, ma significativo, ebbe poi sottoscrizioni per
1380 milioni,ed il
loro Presidente, Giuseppe della
Torre affermava che
la neutralità era
“…condizionata
dall’inviolabilità di quei
diritti, di quelle aspirazioni, di quegli
interessi che costituiscono
il patrimonio di
una Nazione…che sono
la vita della
sua vita, la speranza
di tutto il suo
avvenire.”. Quanto ad altri
interventisti persino un
famoso anarchico Enrico
Malatesta proclamava che la
Monarchia
neutralista era condannata
e da Torino, Efisio Giglio
Tois, pacifista, fondatore
della Federazione Internazionale studentesca
“ Corda Fratres“,
telegrafava minacciosamente al Re,
“se non
avesse portato l’ Italia
in guerra, sarebbe stato
spazzato via dalla
rivoluzione.” E successivamente si
intimò “o guerra
o repubblica” , simile anche
come origine a “o la
repubblica o il
caos” , del 1946!
Dunque
il Re! Fino ad
ora non avevamo
mai accennato al Re,
Vittorio Emanuele III. Ebbene
il Re era
profondamente legato alla
storia ed alle
tradizioni della Sua
Casa, e particolarmente al
Risorgimento, e da bambino
non voleva giuocare
nel giorno dell’anniversario della
tragica giornata di Novara
del 1849, per cui
pur mantenendo la
Triplice Alleanza,
aveva intensificato i
rapporti personali con la
Gran Bretagna, la
Francia e l’Impero
Russo, recandosi e ricevendo
i relativi Capi
di Stato, Re, Presidenti ed
Imperatori , in modo che l’
Italia non fosse
ritenuta esclusivamente legata
agli Imperi centrali, ma
aperta all’ amicizia ed
alla collaborazione con
tutte le altre maggiori
potenze dell’epoca, per preservare
il bene inestimabile
della pace europea, pur
“pensando da irredentista”,
come scrissero personalità
che lo avvicinarono
in quegli anni. Ed
a tale proposito è
bene ricordarlo e
ripeterlo, il prestigio internazionale del
Re era tale
che a Lui
furono affidate da
altre nazioni, arbitrati su
questioni di confini, ed
a Lui si
rivolse un prestigioso
uomo d’affari statunitense, anche se nato in
Europa, David Lubin, israelita,
per i
problemi della agricoltura,ottenendo il
Suo consenso ed
il suo aiuto,
che portò, il 7
giugno 1905, alla nascita
dell’ Istituto
Internazionale dell’ Agricoltura,
con sede
in Roma, progenitore dell’
attuale FAO, che per questo motivo
ha mantenuto la sua sede
nella Capitale d’ Italia .
Il
Re dunque, nel 1914, seguiva
attentamente le vicende
internazionali, ed aveva già
dovuto prendere delle
decisioni che si
sarebbero rivelate fondamentali
nel prosieguo del
tempo, la prima con
la nomina, 10 luglio
1914, di Luigi Cadorna, a
Capo di Stato
Maggiore Generale del
Regio Esercito, essendo deceduto
improvvisamente il primo
luglio, Alberto Pollio, che ricopriva
tale carica, e la
nomina a Ministro
degli Esteri, di Sidney
Sonnino, uomo politico toscano, nato
a Pisa, e più volte
oltre che Ministro,
Presidente del Consiglio, ed
esponente della “destra” liberale, anche in
questo caso per
la morte del marchese di
San Giuliano. Si afferma
che entrambe queste
personalità scomparse fossero
“tripliciste”, ma su questo
punto è bene
fare chiarezza. Se la Triplice era l’
alleanza ufficiale del
Regno d’ Italia potevano
due altissimi funzionari
della stato remare
“contro“? Potevano, specie
il Pollio, militare, uomo di
vasta cultura storico-militare, autore di
importantissimi studi su “Custoza
- 1866” e
su “Waterloo”, progettare piani
d’azione contro gli alleati, e
questo anche a
prescindere dal fatto
del fascino che
esercitava , non solamente in
Italia, lo Stato Maggiore
e l’esercito germanico, il
primo in Europa
e nel Mondo, dopo la
disfatta dell’esercito francese
nel 1870 e
di quello russo, nella
guerra russo-giapponese del
1904? Quindi che fossero
“triplicisti” non era
assolutamente una colpa
e lo stesso
Cadorna, appena insediato, pensava
a progetti di
appoggio, in caso di
guerra, all’esercito
germanico sul Reno! Quanto
a di San
Giuliano, oltre e dopo
la nota già
citata sul significato
della neutralità, negli ultimi
travagliati mesi della
sua vita, aveva già
ipotizzato e studiato
il distacco dalla
Triplice e l’adesione
all’Intesa.
Quindi
la guerra dichiarata
dall’ Austria, modificava lo scenario, anche se
come già detto
l’Italia aveva scelto
la neutralità, il che
sul piano della
guerra appena iniziata
giovò alla Francia
che potè così
sguarnire la frontiera
alpina, e ci consentiva
di rivolgere la
propria attenzione ai
problemi dell’esercito, in quel
momento ridotto a poco più
di 300.000 uomini, anche
a causa della
recente guerra di
Libia, terminata nel 1912, che
aveva richiesto un
notevole dispendio di
uomini e di
materiali, e a richiamare
alcune classi per
portarlo lentamente a
900.000, ed infine, quando si
decise l’intervento, con la
relativa mobilitazione generale, alla cifra
di 1.554.535 soldati.
Che
la giusta decisione
del 2 agosto
1914, cioè, la neutralità non
potesse essere definitiva
fu presto evidente
per il fronte
“interventista”, ma era altrettanto
evidente che l’eventuale
passaggio dalla neutralità
all’intervento, presentava
sul piano diplomatico
difficoltà gravissime, anche se
proprio da Bismarck, molto tempo
addietro, era venuta questa
lapidaria affermazione che
“..nessun popolo,
sull’altare della fedeltà
ad un trattato (in
altra occasione definito
“chiffon du papier“) potrà mai
sacrificare le ragioni
della propria esistenza“. Per cui
il fronte interventista
si andava ulteriormente
ampliando, con la svolta
del socialista Mussolini, ancora direttore
dell’Avanti!, che
nell’ottobre passa alla
neutralità “attiva ed
operante”, e da lì
a poco all’interventismo, con la
conseguente estromissione dall’Avanti
ed all’espulsione, il 29 novembre, dal
Partito socialista, ed alla
contemporanea nascita di
un nuovo giornale, da
Lui diretto, “Il Popolo
d’ Italia”. Strani mesi per
l’Italia quelli da
agosto a dicembre
1914, quando avviene una
sterzata governativa, prima con
la frase del
“sacro egoismo”, pronunciata da
Salandra, ma particolarmente
con il
suo discorso, da Presidente del
Consiglio, il 3 dicembre, che
annuncia una “neutralità
poderosamente armata e
pronta”, ed i deputati
della maggioranza sorgono
in piedi inneggiando
all’ Italia ed a
Trieste, atteggiamento che viene
criticato da Alfredo
Frassati, direttore de “La Stampa“ di
Torino, e senatore
del Regno dal
1913,uno dei quotidiani
più importanti e
diffusi dell’ epoca,
decisamente neutralista, anche se
di profonde convinzioni
patriottiche, convinto che l’ Italia
non dovesse essere
“rinunciataria”, ma neutrale,
sfruttando questa sua
neutralità in maniera
dinamica ed attiva, utilizzando gli strumenti diplomatici
e negoziando le
acquisizioni territoriali con
l’ Austria finché fosse
possibile .
Sulla
sponda opposta, “Il Giornale
d’Italia”, sonniniano e diretto
da Alberto Bergamini, il
“Secolo”, ma soprattutto l’altro
maggiore quotidiano italiano, “Il
Corriere della sera”, di
Luigi Albertini, anche Lui
senatore del Regno, che
era fautore deciso
dell’ intervento, ritenendo
la guerra “metafora
della rigenerazione morale, civile e
politica del paese.”, atteggiamento che
avrebbe influito sulla
media ed anche
piccola borghesia urbana,indirizzandola verso
l’intervento, e sugli studenti, da
cui provennero successivamente numerosi
volontari, convincendo che l’ Italia, se
voleva essere una
potenza europea non
potesse rimanere fuori
dal conflitto.
Lo
scontro che avrebbe
assunto nel successivo
1915 , anche per
l’intervento di Gabriele
d’ Annunzio, oratore
principe del fronte
interventista, toni sempre più aspri e
violenti, favorito anche dai
mesi di incertezza,come non
era accaduto nel
resto dell’ Europa, dove la
fulmineità delle decisioni
governative non dettero
tempo a contrasti
e polemiche e
quindi furono accolte
con entusiasmo dalle
popolazioni e dalle
forze politiche, socialisti compresi, con
l’ eccezione della Francia, dove
il leader socialista
Jean Jaurès, noto antimilitarista fu
ucciso il primo
agosto 1914, alla vigilia
della guerra,da un nazionalista.
Abbiamo
sottolineato il confronto
ed il conflitto
giornalistico esistente a
livello dei maggiori
quotidiani, ma anche nelle
numerose riviste esistenti, nate nel
primo quindicennio del
secolo ventesimo,
testimonianza di una
notevole vivacità intellettuale
e della volontà
di uscire dal provincialismo della
vecchia Italia preunitaria, ricordiamo “Lacerba”, il
“Leonardo”, ”Hermes”, “Il Regno”,
ma particolarmente “La Voce“, fondata nel
1908 dall’ allora giovanissimo
Giuseppe Prezzolini ( 1882-1982),
che si
firmava “Giuliano il
Sofista” , che nel 1914 , prima
di essere sostituita
da “La Voce politica”, erano tra
le voci più
qualificate e documentate
a favore dell’ intervento , a fianco
dell’ Intesa. E questo non solo
per il raggiungimento della
completa unità nazionale
e territoriale, ma, come scrisse
lucidamente Gaetano Salvemini
perché “..la vittoria
della Triplice Intesa
non minaccia l’indipendenza nazionale
dell’Italia né di
alcun’altra nazione europea, al
contrario di ciò
che si deve
aspettare da una
vittoria austro-germanica..”,
e perché
“…L’ Italia non essendosi
fatta da sola, aspetta
finalmente l’atto che
la dimostrerà capace
di fare da
sé…”. Su queste
riviste, è bene sottolinearlo,scrivevano giovani
scrittori, poeti e letterati che
coerenti parteciparono alla
guerra, arruolandosi anche come
“volontari”, pagando in molti
casi con la
vita la loro
scelta e la
loro passione da
Giosuè Borsi ad Umberto
Boccioni, Alberto Caroncini, Renato Serra, Antonio Sant’Elia, Scipio Slataper
e Carlo Stuparich .
Nelle
decisioni che si
sarebbero poi prese, argomento non
indifferente , anche se di
minore impatto emotivo, e
molto trascurato nella
pubblicistica sia recente
che dell’epoca, ma che
doveva essere tenuto
ben presente dai
governanti, era quello degli
approvvigionamenti di merci, anche
alimentari , di materie
prime e di
materiali di cui l’Italia aveva
assolutamente bisogno,
essendone in tutto
o in parte priva, approvvigionamenti che
arrivavano via mare, via
controllata dalla Gran
Bretagna, la cui flotta
era la prima
del mondo, e che, pertanto, sarebbero mancati
nel caso di una nostra
confermata neutralità, che,
a questo
punto, sarebbe divenuta un
vantaggio non indifferente
sul piano militare
per gli Imperi
Centrali e quindi
svantaggiosa per le
Potenze dell’ Intesa che
ne avrebbero tratto
le relative conseguenze.
In
ogni caso prima
di svincolarci in
modo civile dai
residui finali della
Triplice, dovevamo esperire con
l’ Austria, secondo l’articolo 7, del
trattato, la strada dei
compensi territoriali dovutici
e solo la
loro dimostrata impossibilità di
conclusione positiva,
avrebbe giustificato agli
occhi di tutti, l’accordo con l’Intesa.
Iniziava così il
9 dicembre 1914, come
da istruzioni date
da Sonnino, sull’art. 7 che, ripetiamo, imponeva
l’obbligo, previ accordi, di congrui
compensi per occupazioni
territoriali, la lunga trattativa
con il governo
austroungarico, tenuta dal nostro
ambasciatore a Vienna,
Avarna, con contemporanea conoscenza
al governo germanico, da
parte dell’ ambasciatore Bollati. Questa trattativa
protrattasi per mesi, fino
ad aprile, è documentata
nel “Libro verde”, predisposto per
la seduta del
20 maggio della
Camera dei Deputati,
dal Ministero degli
Esteri, ricco di ben
77 documenti ufficiali, che dimostra
la iniziale riluttanza
della diplomazia austriaca
a riconoscere le
nostre ragioni, poi la
lentezza nell’approfondire le
nostre richieste territoriali, poi una
loro respinsione, poi ancora
una accettazione parziale
e riduttiva, portando così
l’ Italia a stipulare
il 26 aprile
1915 il “Patto
di Londra” con l’Intesa,
Gran Bretagna, Francia e
Russia.
In
questa vicenda delle
trattative con l’Austria, si
inserisce la missione
straordinaria diplomatica a Roma,
che l’Impero Germanico, più lungimirante
e concreto del
suo alleato, affidò ad
una personalità di
primo piano, già Cancelliere
dell’ impero, il Principe di
Bulow, buon conoscitore dell’ Italia
e della sua
classe politica e
governativa, oltre tutto sposato
con la figlia
di Donna Laura
Minghetti e cognato
del Senatore del
Regno, il Principe di
Camporeale. Il Principe di
Bulow, dal suo alloggio
di Villa Malta, si
prodigò in quei
mesi sia a
convincere gli amici
italiani sulla opportunità
e sui vantaggi
del mantenimento della
neutralità, sia sopratutto a
convincere Berlino, che a
sua volta convincesse
Vienna ad accedere
a tutte le
richieste italiane dal
Trentino a Trieste, intervento che
portò alle tardive
ed ancora incomplete
concessioni del 18
maggio, quando già il
Governo Italiano aveva
provveduto il 3
maggio alla denuncia
della “Triplice”.
Qui
giunti è necessario
fare il punto
sulle accuse di
tradimento, cambio di fronte, disprezzo dei
trattati, definiti come una
“costante” della
storia italiana e come tali
ripetute incoscientemente anche
da noi, cominciando dal
Risorgimento, che portò all’ Unità
d’Italia, in quanto prima
dello stessa vi
erano gli italiani
dispersi in vari
stati, diversi dei quali
per di più
con Sovrani stranieri, ma
non l’Italia. La
Storia d’
Italia, come disse mirabilmente
Giovanni Pascoli, nel suo
discorso del 9
aprile 1911 agli
Allievi dell’Accademia Navale
di Livorno, inizia
dal 1861! In ogni
caso vediamo la Prima Guerra d’ Indipendenza, 1848 – 1849.
Il
Regno di Sardegna
iniziò da solo
la guerra all’ Austria
nel 1848 e
da solo la terminò,
sia pure
sconfitto, nel 1849 ,dato che il concorso
iniziale di truppe pontificie
e napoletane, venne a
mancare essendo state
ritirate dai rispettivi
governi .
La
seconda Guerra d’ Indipendenza del
1859 vide il
Regno di Sardegna
alleato con l’ Impero
Francese di Napoleone
III, ed aveva lo scopo di
liberare il Lombardo-Veneto dal
dominio austriaco, ma dopo
la battaglia pur
vittoriosa, di Solferino,
Napoleone firma con
Francesco Giuseppr l’ armistizio
di Villafranca, ritirandosi dalla
guerra, senza tener conto
dei patti e
dell’alleanza con Vittorio
Emanuele, limitando così il
ricongiungimento della sola
Lombardia al Regno
Sardo.
La
terza Guerra d’ Indipendenza del
1866 vede il
Regno d’ Italia alleato
con il Regno
di Prussia, ma i
prussiani dopo la
vittoria di Sadowa
sull’ esercito austriaco,
ritengono raggiunti gli
scopi della guerra
e non tengono
conto dell’alleato italiano
che ottiene egualmente
il Veneto, ma grazie
all’intervento di Napoleone
III.
Nella
guerra Franco - Prussiana del
1870-1871, il Regno d’ Italia
si mantenne neutrale
non avendo né
patti né trattati
con i due
belligeranti, e sarà Garibaldi, libero da
impegni di carattere
istituzionale ad accorrere
in soccorso della
Francia, ottenendo a Digione, l’unica vittoria
sull’esercito prussiano.
Dal
1871 al 1914
l’ Europa rimase in
pace, Balcani esclusi, per cui
non vi potevano
essere cambiamenti di
fronte ed il
Regno d’ Italia partecipò
insieme con le altre
potenze alle vicende
di Creta e
della Cina, ed
alla guerra, oggetto di
queste note, l’Italia
partecipò dall’inizio nel 1915
alla fine nel
1918 a fianco
dell’ Intesa. Quindi quali cambiamenti
di fronte?
Ed
i trattati stracciati ? Ripetiamo che la
Triplice
era un trattato
esclusivamente difensivo e
prevedeva la solidarietà
solo nel caso
che una delle
tre potenze venisse
attaccata da altre
potenze,”casus foederis”, mentre nel
luglio 1914 avvenne
decisamente il contrario! I
due imperi germanico
ed austroungarico non
si curarono di
chiedere il parere
dell’ Italia, prima di gettarsi
nel conflitto, forse perché
ritenevano che sarebbe
stato negativo, come nel
1913. Allora chi ha
violato i trattati? Non certo
l’ Italia che cercò, nell’ ambito ancora
della Triplice di
raggiungere i risultati
territoriali che si
era storicamente proposta
e dopo il
tergiversare dell’ Austria,
come già
detto, prese contatto con
le altre potenze, la
vittoria delle quali, in
quella primavera del
1915 non era
poi così certa, per
cui non si
può dire che
ci buttammo dalla
parte dei vincitori !
In
conclusione il Patto
di Londra dava
al Regno d’Italia
molto di più
di quanto ci
avrebbe riconosciuto l’ Austria, cioè ci
riconosceva il confine
del Brennero , invece che
a Salorno, confine che
avrebbe ripetuto la
vulnerabilità della nostra
frontiera, così come era
stato il confine
del 1866 che
vedeva l’Impero Austriaco, con il
Trentino incuneato tra
Lombardia e Veneto,con
i conseguenti rischi
che si videro
nel 1916 quando
l’ Austria, sferrò la famosa
offensiva, la spedizione
punitiva, “ Strafexpedition”, e
l’altro confine delle
Alpi Giulie, con Trieste, non
più “città imperiale”, l’Istria, e poi la
Dalmazia, le
isole Curzolari e Zara,
bloccando le pretese
di ingrandimento della
Serbia, dopo il
1918, divenuta Jugoslavia,
che voleva raggiungere
il confine dell’Isonzo, che solo
la sfortunata guerra
del 1940, le ha
consentito di avere, escluse però Gorizia
e Trieste sulle
quali ancora sventola quel
tricolore, che dovemmo invece
ammainare a Pola, Fiume
e Zara, con l’esodo
di oltre trecentomila
giuliano-dalmati. Ed a proposito
di Fiume, che dopo
la fine della
guerra, nel 1919, fu
motivo di scontri,
e di accuse
di “dimenticanza” nel
Patto di Londra, è
bene precisare che
all’epoca del patto, che
oltre tutto non prendeva
in considerazione lo
smembramento dell’Impero Austro- Ungarico, risultava essere
maggiore desiderio dei
fiumani di avere
una ampia e
completa autonomia, piuttosto che
l’annessione all’Italia, per divenire
lo sbocco commerciale
di tutto il
retroterra slavo.
Il
Patto di Londra, firmato il
26 aprile 1915 , prevedeva un
mese di tempo
per la nostra
entrata in guerra, per
cui la strada
dell’intervento era aperta, ma
i neutralisti erano
ancora numerosi, specie nel
Parlamento.
Fu
bello ci si
chiese e si
chiede negoziare quasi
contemporaneamente su due
fronti? A questa domanda
recentemente ha risposto
Sergio Romano: “No, ma è
impossibile negare che le concessioni
degli Alleati Occidentali
rispondessero maggiormente agli
interessi nazionali come
erano allora percepiti
dalla maggioranza della classe
dirigente e della
società italiana“. Tornando alla
Camera dei Deputati, la
stessa eletta nel
1913, con le prime elezioni a
suffragio quasi universale, era in
maggioranza di osservanza
giolittiana, e , malgrado il voto favorevole
dato al governo
Salandra, guardava sempre a
Giolitti e specie
di fronte a questo nuovo
ed imprevisto problema
della guerra, era neutralista
perché sapevano che
Giolitti sconsigliava la
guerra. Ma il neutralismo di
Giolitti era così
assoluto? Era invece
un neutralismo condizionato
e ritenuto tale
per via di
una sua famosa
lettera all’amico Peano, in cui
si faceva l’ipotesi, ma
non la certezza, non
essendo lui al governo, che si
sarebbe ottenuto “parecchio”
dall’ Austria , senza ricorrere alle
armi, perché “…io considero la
guerra come una
disgrazia, la quale si
deve affrontare solo
quando è necessario
per l’onore e
per i grandi interessi
del paese”. Posizione perciò
assolutamente diversa e contrastante
con il neutralismo
dei socialisti, l’ unico vero
ed assoluto, anche dopo
le critiche mosse
allo stesso da
Mussolini, di cui abbiamo già
parlato.
Ora
questa posizione, forse volutamente non capita, fece
di Giolitti in
quei primi mesi
del 1915 il
bersaglio principale degli
interventisti, con
definizioni volgari ed
oltraggiose, con sospetti ed
accuse infamanti di
corruzione, con minacce all’integrità
fisica della persona, che
si dovette proteggere, e
spiace che in
questa campagna contro
Giolitti si distinguesse
d’ Annunzio, che forse non
gli perdonava la
censura che aveva
dovuto doverosamente adottare
nel 1911, quale Presidente
del Consiglio, su una sua “
canzone d’oltremare“, dove veniva
colpita la persona
dell’allora alleato Imperatore
Francesco Giuseppe.
Quindi
il mese di
maggio del 1915
fu uno dei
mesi più drammatici
che avesse attraversato
la storia dell’ Italia
unita, per un possibile
conflitto tra le
istituzioni dello stato
e nella società
civile, per cui la
riapertura della Camera, prevista per
il 20 del
mese era attesa
con un interesse, mai, forse raggiunto
in precedenti occasioni.
Gli
interventisti avevano toccato
il culmine della
loro propaganda sull’opinione
pubblica con i
discorsi di Gabriele d’ Annunzio, il 5
maggio a Quarto, per
l’inaugurazione del monumento
ai “Mille”, dove sarebbe
dovuto intervenire anche
il Re, presenza che
il Governo non
aveva ritenuto opportuna, per cui
il Re si
limitò a mandare un
telegramma, il cui testo
predisposto da Ferdinando
Martini, era però particolarmente significativo: “Se
cure dello Stato, mutando il
desiderio in rammarico, mi
tolgono di partecipare
alla cerimonia…non si
allontana…dallo scoglio di
Quarto il mio
pensiero. A codesta …sponda…che
vide nascere chi
primo vaticinò l’unità
della Patria (Mazzini) e il duce
dei Mille (Garibaldi) salpare…verso
immortali fortune, mando il mio commosso pensiero. E
con lo stesso fervore di
affetti che guidò
il mio grande
Avo traggo la fede
nel glorioso avvenire d’ Italia.”, ed il
successivo discorso il 16
maggio dalla ringhiera del
Campidoglio.
Giolitti, non era
a Roma, dove giunse
da Cavour, la mattina del
9 maggio, trovando i
famosi trecento biglietti
da visita di parlamentari
suoi devoti, ed ebbe
subito colloqui con
Salandra, ed il successivo 10
maggio con il Re,
dove spiegò il
suo pensiero ed
anche l’origine del
suo neutralismo, che non
era antipatriottismo, ma nasceva
dalla sua visione, oltre modo
pessimistica dell’Italia in
caso di guerra, sia
sul terreno militare, sia
per possibili rivolgimenti
interni, il che è
ben strano nell’uomo
che tanto aveva contribuito alla
crescita economica, politica e
sociale dell’Italia stessa
nei tredici anni
dei suoi governi, e
che aveva condotto
positivamente la recente annessione
della Libia. Di fronte
a questa posizione
il Governo ritenne
doveroso dimettersi il
successivo 13 maggio, ed
il Re , nel suo
abituale rispetto delle
consuetudini parlamentari, iniziò con
estrema urgenza le
consultazioni per la
soluzione della crisi, convocando per
primi i Presidenti
delle Camere, Manfredi e
Marcora, poi Giolitti, che dichiarandosi
non disponibile per
costituire un nuovo
governo, suggerì il nome
dell’on. Carcano, e poi ancora
un vecchio stimato
parlamentare, Boselli, ma
avendo avuto tutte
risposte negative, il Re non
potè che respingere
le dimissioni del governo, rinviando lo
stesso alle Camere. Con
questa decisione,
statutariamente ineccepibile, il Re, come
sempre si assumeva
le sue responsabilità, mentre altri
sfuggivano le loro, per cui
non può parlarsi, come da
alcuni fu detto
allora e ripetuto successivamente, di “colpo
di stato”, termine assurdo
se consideriamo che
il Re era
il Capo dello
Stato. Quindi mentre Giolitti
ripartiva il 17
per Cavour, il successivo 20
si apriva la Camera ed il
Governo presentava un
disegno di legge, di
un solo articolo, che
attribuiva al governo
stesso, “..in caso di
guerra e durante la
guerra….”, poteri
straordinari per agire ,“..dalla difesa
dello stato, dalla tutela
dell’ordine pubblico, e da urgenti e straordinari bisogni
della economia nazionale….”, disegno di
legge che veniva approvato
con 407 voti
favorevoli, 74 contrari, in gran
maggioranza socialisti e
un astenuto, ed il
21 maggio il Senato
confermava l’unanime l’approvazione da
parte dei 281
senatori presenti.
Così
dopo dieci mesi
di discussioni anche
accese, di ragionevoli
incertezze, di trattative necessariamente nascoste, l’ Italia entrava
in guerra il 24 maggio, in
quella che fu anche
definita “Quarta Guerra
d’ Indipendenza”, e
sottolineo questa dizione,
a dimostrazione che
la nostra guerra
non aveva fini
imperialistici, ma quello di raggiungere i
confini storico-geografici della
Nazione Italiana e compiere
così l’impresa del
Risorgimento, per cui la
formale dichiarazione di
guerra, che statutariamente spettava
al Re, fu inviata
alla sola Austria-Ungheria, e non
alla Germania, con la quale
non avevamo alcun
contenzioso, ed alla quale fummo costretti
ad inviarla il
successivo 25 agosto
1916.
Il
larghissimo voto favorevole
della Camera e
la successiva entrata
in guerra, se non
crearono quella “unione
sacra” che sarebbe stata
necessaria, perdurando
l’atteggiamento negativo dei
socialisti, ebbero però un
riscontro positivo, anche in
chi, fino ad allora
aveva professato convinzioni
neutraliste ed a
tale riguardo ritengo
particolarmente
significativo citare il
discorso che proprio
Giolitti tenne al
Consiglio Provinciale di
Cuneo, di cui era
Presidente, il successivo 5
luglio, che per nobiltà
di termini ,oggi desueti, andrebbe affisso
a testimonianza di un sentire
nazionale, altrettanto oggi desueto: “Quando il Re chiama
il paese alle armi, la
provincia di Cuneo, senza
distinzioni di parti
e senza riserve, è
unanime nella devozione
al Re, nell’appoggio incondizionato al
Governo, nell’illimitata
fiducia nell’esercito e
nell’armata….L’ impresa cui l’Italia
si è accinta
è ardua e richiederà
gravi sacrifici, ma nessun sacrificio
ci parrà troppo
grave se ricorderemo
sempre che dall’esito
di questa guerra,….dalla situazione
politica che ci troveremo a
pace conclusa, dipenderà l’avvenire
dell’Italia per un lungo periodo della sua storia”, invocando infine
“concordia, perseveranza e la
calma dei forti.” Con l’entrata
in guerra, il Re, partendo
per il fronte
dove per quaranta
mesi avrebbe seguito
giornalmente e personalmente
le operazioni, la cui
responsabilità tecnica era
demandata al Capo
di Stato Maggiore, Cadorna, nominava suo
Luogotenente Generale, lo zio
Tommaso di Savoia, Duca
di Genova, fratello della
Regina Madre Margherita, onde assicurare
la continuità dell’attività
governativa, legislativa ed amministrativa del
Regno, e con il Re,
tutti gli altri
componenti della Casa
Savoia assumevano posti
di responsabilità nella
conduzione della guerra
stessa, dal Duca d’ Aosta,
comandante della Terza
Armata, al Conte di
Torino, comandante dell’Arma di
Cavalleria ed al Duca
degli Abruzzi, comandante della
Forze Navali, mentre tutti
i più giovani principi
dei due rami, Genova
ed Aosta, partecipavano alle
operazioni belliche dando
prova di valore
e di coraggio ed
infine le Regine
Elena e Margherita
trasformavano in ospedali
militari il palazzo
del Quirinale ed
il Palazzo Margherita, e
la Duchessa d’Aosta, ispettrice nazionale
della Croce Rossa, visitava instancabilmente gli ospedali
da campo e
le altre strutture
sanitarie in zona
di guerra.
Dal
Quartier Generale, il 26
maggio il Re
indirizzava un proclama
ai Soldati di
Terra e di
Mare, messaggio, che lo
storico Perticone nella sua opera
già citata considera
in termini positivi
e per il
quale il periodico
“La Voce”,
che non
era certo una
voce cortigiana, scrisse questo
commento: ”Il proclama del
Re: eccellente. Tutti lo dicono. Tutti
lo sentono. Breve, sobrio,
efficace, senz’ira, senza vanteria.
Se lo
Stato Maggiore condurrà
la guerra con
lo stessi stile, l’ Italia farà
una bella figura. Ma c’è di più
: il proclama del
Re è una
lezione di scrittura. Dovrebbe essere
dato come modello
ai giornalisti, agli oratori, agli
studenti. Senza Dio e
senza paura, proprio moderno. In
questa Italia, dove non
si sa far
nulla senza l’ aquile
romane, il proclama del
Re ha portato una
nota simpatica e
nuova” .Ed ecco il
proclama :
“L’ora solenne
delle rivendicazioni nazionali
è suonata. Seguendo l’esempio
del mio grande
Avo, assumo oggi il
comando supremo delle
Forze d Terra
e di Mare, con
sicura fede nella
vittoria, che il vostro
valore, la vostra abnegazione , la vostra
disciplina sapranno conseguire. Il nemico
che vi accingete
a combattere è agguerrito e
degno di voi. Favorito
dal terreno e
dai sapienti apprestamenti
dell’arte, egli opporrà tenace
resistenza, ma il vostro
indomito slancio saprà
di certo superarlo. Soldati, a
voi la
gloria di piantare
il Tricolore d’ Italia sui
terreni sacri che
Natura pose a
confine della Patria
Nostra; a voi la
gloria di compiere
finalmente, l’opera con tanto
eroismo iniziata dai nostri
Padri. “
Domenico
Giglio
Bibliografia:
- Antonio Salandra: “La
neutralità italiana”-
Collezione italiana diari etc. diretta da Angelo Gatti.- Edizioni Mondadori -
1928
- Antonio Salandra: “ L’ intervento- 1915-“ Collezione
italiana diari etc. diretta
da Angelo Gatti- Edizioni Mondadori – 1930
- Amedeo Tosti: “ Storia
della Guerra della
Guerra Mondiale”. vol.2 (
volume primo)- Edizioni Mondadori – 1937
- Gian Dauli : “ L’
Italia nella Grande
Guerra” – Edizioni Aurora
–Milano- 1935
- Giacomo Perticone : “ L’ Italia contemporanea – 1871- 1948 “ dalla
“Storia d’ Italia illustrata”
vol.8 . Edizioni Mondadori- 1962
- Gioacchino Volpe: “L’ Italia Moderna” vol . 3 ( volume terzo
dal 1900 al
1915 ). Editore Sansoni – 1952 (
l’opera è stata
ristampata con prefazione
del prof, Francesco Perfetti)
- Indro Montanelli: “L’ Italia
di Giolitti“ – editore Rizzoli
1974
- Aldo A. Mola : “Giolitti – lo statista
della nuova Italia“ . Collana “Le Scie”- Edizioni Mondadori- 2003
- Documenti
diplomatici presentati al
Parlamento Italiano dal
Ministro degli affari
esteri.-Roma Tipografia Editrice
Nazionale -1915
- Alberto Pollio: “Custoza -1866-“, edizione della Libreria
dello Stato –Roma -1935. IV edizione.
- Domenico
Fisichella: “Dal risorgimento
al fascismo “, editore Carocci -2012
Nota sui
Principi di Casa
Savoia dei Rami
Aosta e Genova
impegnati al fronte,
- Amedeo – n. 1898 –
Duca delle Puglie - volontario - artiglieria
da campagna – una medaglia
di bronzo e due di
argento ( duca d’ Aosta dopo
la morte del
Padre, Emanuele Filiberto.)
- Aimone - n. 1900 – Duca di
Spoleto – guardiamarina, poi
capo squadriglia idrovolanti – due medaglie
di bronzo ed
una di argento
(Duca d’ Aosta dopo
la morte del
fratello Amedeo )
- Umberto – n. 1889
– m.1918 – Conte di Salemi - tenente, due medaglie
d’argento
- Ferdinando – n.1884
– Principe di Udine – tenente di
vascello – due medaglie di
argento (Duca di Genova
dopo la morte
del padre Tommaso)
- Filiberto – n. 1895
- Duca
di Pistoia- ufficiale di
cavalleria – una medaglia di
bronzo
- Adalberto - 1898 – Duca
di Bergamo – ufficiale di
cavalleria nei Lancieri
di Novara