25/10/2011 Il Discorso di Gianfranco Fini
Montecitorio, Sala della Lupa - La Camera dei deputati è lieta di presentare la raccolta degli interventi parlamentari di Alfredo Covelli.
Saluto e ringrazio gli illustri relatori: Gerardo Bianco, Gianni Bisiach, Beniamino Caravita di Toritto, Vincenzo Trantino.
La pubblicazione dei discorsi di Covelli rappresenta il giusto riconoscimento a una figura che ha onorato la Camera con il suo senso della legalità istituzionale e della democrazia parlamentare, occupando un posto di tutto rilievo nella storia politica italiana.
I due volumi che compongono l'opera, oltre a rispecchiare i molteplici ambiti dell'impegno di Covelli in Parlamento, restituiscono un quadro vivido del suo tempo e del mondo di cui egli fu autorevole protagonista.
La sua cifra culturale e ideale la troviamo innanzi tutto nel desiderio di ricomposizione delle fratture storiche dell'Italia, a partire dalla più grave, la contrapposizione politica tra le forze repubblicane e i sostenitori della dinastia sabauda che si svolse in occasione del referendum istituzionale del 2 giugno 1946 e che si protrasse idealmente, ancorché in forme sempre più attenuate, negli anni immediatamente successivi.
Covelli fu il leader di quei settori di elettorato e di opinione pubblica che credevano nei princìpi della monarchia costituzionale e che -vale la pena ricordarlo- svolsero in una certa fase, soprattutto negli anni Cinquanta, una non trascurabile influenza sul mondo politico italiano.
Un indubbio merito storico che va riconosciuto al leader del PNM (poi divenuto PDIUM) è quello di aver favorito la partecipazione dei monarchici alla vita democratica repubblicana, rifuggendo dalla tentazione dell'estraniazione o del radicalismo.
La vita politica di Covelli fu improntata al più compiuto senso della legalità e della dignità della funzione parlamentare.
Le sue idee non lo portarono a essere tra la stragrande maggioranza dei costituenti che approvarono il testo della Costituzione repubblicana.
Ma poi, i princìpi democratici e liberali posti alla base della Carta del '48, li osservò sempre con lealtà e dedizione non venendo mai meno ai propri doveri di deputato: costante fu il suo appello al rispetto delle Istituzioni e al prestigio del Parlamento.
Covelli credeva in un parlamentarismo democratico e moderno capace di rappresentare in modo compiuto il pluralismo culturale e ideale della Nazione e di ispirare le grandi scelte politiche del Paese.
"Il concetto che un governo si qualifichi politicamente - disse in una seduta alla Camera del luglio 1955 - con i voti che esso attinge per formare e completare la sua maggioranza, non solo non può reggere ma è in assoluto contrasto con un sano e aperto regime parlamentare. In una vera democrazia parlamentare le maggioranze governative devono formarsi su un programma".
In tale prospettiva, e di vivissima attualità, il Parlamento, lungi dal configurarsi come mera istanza di ratifica della decisione governativa, era concepito come fonte primaria ed imprescindibile di legittimazione democratica.
Il leader del Partito monarchico considerava inoltre la massima Istituzione rappresentativa come una grande, libera ed intangibile assemblea di uomini eminenti, collocata al centro della società e capace di influenzarne il progresso Covelli attribuiva in tal senso al Parlamento ed alla classe politica anche la responsabilità di esercitare una delicata funzione pedagogica; la funzione, cioè, di "educare la Nazione", attraverso l'esempio, l'autorevolezza, la sobrietà e l'adempimento dei doveri civili.
Sul piano ideale e culturale, la sua costante preoccupazione fu di ribadire l'importanza di mantenere viva la memoria del ruolo cruciale svolto dalla dinastia sabauda nel processo di unificazione nazionale.
Il sentimento della lealtà che aveva ispirato l'atteggiamento dei monarchici nei confronti dello Statuto Albertino e della Casa Reale costituiva un patrimonio che la Repubblica non poteva permettersi di disperdere.
E qui è importante sottolineare che la consapevolezza di quella ricchezza storica e ideale trasmessa dall'Italia liberale e monarchica all'Italia democratica e repubblicana rappresenta uno degli elementi culturali più significativi emersi nel corso delle intense celebrazioni per il Centocinquantenario dell'unità nazionale.
Nell'orizzonte politico e ideale di Covelli non c'erano comunque soltanto l'espressione di lealtà verso Casa Savoia e l'affermazione dei princìpi della monarchia costituzionale: c'era anche il suo profondo legame con il Meridione.
Di quelle terre conosceva le potenzialità e le risorse, ma anche le tragiche contraddizioni sociali, soprattutto nel dopoguerra, quando si imponevano la ricostruzione e la pacificazione del Paese. A proposito della politica di intervento straordinario per il Mezzogiorno, Covelli si batteva perché questa fosse guarita da ogni forma di inefficienza e dissipazione, spesso causate da pratiche clientelari. "La Cassa per il Mezzogiorno che noi aiutiamo a difendere - disse nel corso di un intervento parlamentare dell'aprile del 1969 - deve essere liberata dai rami morti e restituita alla funzione propria di fornire, come disse De Gasperi, polmoni al Mezzogiorno, dando ad esso un aspetto sociale conforme a tutte le altre regioni più progredite del nostro Paese".
Per quanto riguarda il profilo strettamente politico, è importante rilevare che Covelli sosteneva una linea di allargamento dello spazio e dell'influenza delle forze politiche di destra attraverso una loro intesa sempre più stretta con i settori moderati dello schieramento italiano.
Tale politica portò, fin dagli anni Cinquanta alla vicinanza e alla collaborazione tra il Partito monarchico e il Movimento sociale italiano e alla proposta, negli anni Sessanta, di allargare l'intesa al PLI, che però non trovò disponibile il partito allora guidato da Malagodi.
Quella linea sfociò, nel 1972, nella fusione del Pdium con il Msi, che da allora aggiunse alla denominazione di partito l'espressione "Destra nazionale". In tale ambito va ricordato che Covelli partecipò nel 1976 alla breve esperienza di Democrazia nazione.
Al di là dei diversi giudizi storico-politici che si possono dare della strategia di unione delle destre perseguita a lungo da Covelli e da Almirante, si deve onestamente rilevare che l'esponente monarchico fu tra coloro che individuarono con indubbio anticipo la necessità di fornire espressione politica unitaria, attraverso una cultura moderna e democratica, a quei settori di elettorato e di società, di ispirazione di destra, che non si sentivano rappresentati, o che non si sentivano sufficientemente rappresentati, dalle forze moderate al governo nel nostro Paese.
Vale la pena sottolineare che non si trattò di una preoccupazione effimera, ma di una esigenza importante, ancorché poco riconosciuta per molto tempo, della politica italiana, come le trasformazioni degli anni Novanta hanno del resto, per molti versi, dimostrato.
Non si possono infine dimenticare, nel tratteggiare il profilo politico di Covelli, le sue capacità di oratore vivace e facondo. Il suo messaggio programmatico contenuto nei suoi interventi in Parlamento egli sapeva comunicarlo direttamente ed efficacemente anche a quanti accorrevano ad ascoltarlo nei comizi o seguivano davanti al televisore le prime esperienze mediatiche di comunicazione politica, quali erano allora le "Tribune elettorali".
In quelle occasioni, si faceva apprezzare per la passione politica, per la veemenza oratoria e per la fermezza nei momenti di pur aspro confronto dialettico, criticando, se necessario, le idee, ma rispettando sempre le persone.
Lo stile di Covelli ci riporta ad un'Italia di valori e sentimenti certo lontana nel tempo, ma non per questo meno ricca di insegnamenti e di modelli. A partire dall'ideale della pacificazione nazionale, di cui Covelli fu coerente interprete e di cui noi abbiamo sempre il dovere di conservare vivida memoria.
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